Interview: Bea Zanin

Con l’esordio A Torino come va Bea Zanin,dopo anni di gavetta passati tra l’underground torinese e alle spalle di altri artisti, è uscita finalmente allo scoperto e non ci siamo fatti scappare l’occasione di approfondire alcuni aspetti del suo lavoro.

IR: Cominciamo dalla copertina: ha uno stile che sembra proprio arrivare dai lavori artigianali che si facevano nell’era pre computer. Come è nata? come mai l’hai scelta?
BZ: La copertina  nata da uno scatto che il fotografo del rock Filippo Benjo Bongiovanni mi ha fatto mentre ero a spasso per Vanchiglietta a Torino. Stavo riprendendo il mondo attorno a me con il telefono e questa azione mi sembrava riflettere ciò che stavo cercando di fare con la mia musica. Ho deciso successivamente di aggiungere una “seconda Bea” all’immagine, perchè di fatto, con le stesse canzoni, stavo analizzando anche me stessa. Ho poi osservato la continuità di stile architettonico tra il centro e i quartieri più periferici: quel grigio e dorato di cui parlo nel mio brano Plaza Victoire, così è emersa l’idea del collage di cartoline paesaggistiche, reperite tra i tabaccai di via Po. Mi piaceva l’idea di fare tutto a mano, per richiamare lo stile immediato delle vecchie fanzine punk, quel “Do it yourself” che ha caratterizzato la stessa realizzazione dell’album, in quanto  stato registrato totalmente in casa. Una volta raccolte tutte le idee e le immagini ho presentato il progetto ai ragazzi di “Truly Design”, punta di diamante della grafica e della street art cittadina con riscontri a livello internazionale, che sono riusciti -nel pieno rispetto della mia idea iniziale – a rendere in modo esemplare il concetto e il senso di “brillantezza cupa” che volevo trasmettere. Le scritte sono tutte eseguite a mano, le immagini sono state ritagliate una ad una, così come ho fatto con l’editing dei miei brani.

IR: Il tuo background tra gli altri progetti ti vuole: violoncellista classica, pop singer chitarra e voce e solista folgorata dall’elettro-pop. Spiegami questo percorso.
BZ: Il percorso non ha uno svolgimento lineare, si tratta di un cammino multistrato in cui i vari livelli si sovrappongono senza soluzione di continuità. A 9 anni ho cominciato a studiare violoncello al conservatorio e quindi ad entrare in contatto con il mondo classico. Parallelamente ho sempre sentito una forte attrazione per la musica pop e per le hit radiofoniche, anche per le più becere. A 16 anni suonavo il basso in un gruppo punk, a 17 cantavo in una band SKA. Nel frattempo emergevano reminiscenze dall’infanzia, quando mio padre nei lunghi viaggi verso le mete estive proponeva sempre le stesse musicassette di classici pop americani anni 50. Intorno ai 20 anni, mentre ero impegnata nella sperimentazione di musica industrial e dark con la band Hidre Intime (ci ispiravamo a Einsturzende Neubauten, The Cure, Velvet Underground), ho iniziato a “giocare” con vari programmi per la scrittura di musica al computer, partendo da Fruity Loops, passando per Reason, approdando alla fine ad Ableton Live, così ho cominciato ad apprezzare anche la musica elettronica, da quella più fighetta , alla techno da rave. Ho inoltre attraversato una forte ossessione per la musica degli anni 80, dai riverberoni ai suoni più pacchiani, sviluppando un amore viscerale per i Depeche Mode. Successivamente sono stata coinvolta come violoncellista in alcuni progetti molto lontani dalla musica classica e lì ho dovuto totalmente reinventare il mio modo di suonare, rendendolo coerente con generi musicali completamente diversi tra loro – da Spaccamonti, a Morino, a Bianco, a Celona, a Estel Luz -, che in comune avevano la stessa gatta da pelare : mi hanno costretta a trovare il modo di rendere contemporaneo uno strumento antico, a partire dal problema dell’amplificazione. Ora puoi frullare il tutto.

IR: Torino quanto è importante per te ?
BZ: Sono nata a Vicenza e mi sono trasferita a Torino per frequentare l’università e per mettermi alla prova fuori dalla mura domestiche. Torino è un’entità, non solo una città, ha una sua personalità specifica e unica. Quando vi sono approdata non conoscevo nessuno, così ho cominciato a fantasticare su una sorta di dialogo tra me e la madama Augusta T., quasi fosse una persona, che mi accompagnava nelle mie giornate e nelle mie notti. Le ho attribuito colpe e meriti. Alla fine le ho dedicato un album.

IR: Hai voluto dare un’impronta prettamente pop anche se poi non è poi così accessibile ciò che suoni.
BZ: No non è stata una scelta quella di dare un’impronta pop e orecchiabile alle canzoni. Semplicemente sono nate così.

IR: La partnership con Diego Perrone come è nata? Ha influenzato le sonorità di Torino Come va?
BZ: Ho conosciuto Diego su Facebook. Mi ha contattata perchè stava lavorando ad un disco di collaborazioni e trovava che avessimo sonorità comuni – aveva ascoltato il mio ep. Così è nato il brano Pazzo di te. Gli ho chiesto se gli andava di produrre il mio disco e ha accettato. In quanto produttore artistico ha sicuramente influenzato le sonorità di “A Torino come va”, ma avendo gusti musicali affini ai miei la cosa è venuta molto naturale.

IR: I tuoi brani hanno tantissimi riferimenti al passato, agli anni 80, che musica ascolti? sei onnivora?chi te li ha fatti scoprire?
Sono assolutamente onnivora, ma non amo molto il metal e la world music. Ascolto moltissimo l’elettronica europea, dai Kraftwerk ai Modeselektor, anche se, da quando suono così spesso, sovente preferisco il silenzio. Il rischio di chi fa il mio lavoro  quello di percepire la musica in modo troppo analitico. Generalmente reperisco la musica esplorando il web, in particolare tramite youtube.

IR: Nei testi sei molto diretta ma riesci a rendere perfettamente l’idea, la loro scrittura ti è risultata difficoltosa?
BZ: Inizialmente scrivevo musiche senza testo perchè ritenevo che la musica strumentale fosse superiore e dicesse già tutto senza bisogno di parole. Poi ho cambiato idea. Purtroppo l’operazione di scrittura per me è molto lenta perchè  l’obiettivo finale è la sintesi, che comporta un lavoro molto lungo, soprattutto di rinuncia. Generalmente non apprezzo la prolissità nelle canzoni.

IR: Essendo frutto di un lavoro fatto in diversi momenti ho trovato una maturazione nel modo di vedere il mondo: com’è passare da studentessa fuori sede a musicista a tempo pieno?
BZ: Dici bene, i primi brani come Easy summer e Mistery Boy li ho scritti nel lontano 2011 e li sento ora molto distanti dal mio essere attuale. Nel frattempo sono cresciuta e, com’è naturale, sono cambiate tante cose nel mio modo di vedere il mondo. Tuttavia passare da studentessa fuori sede a musicista a tempo pieno non ha comportato grandi differenze nella mia vita: la frustrazione di lavorare senza vedere risultati immediati è la medesima. Inoltre si tratta di lavori intellettuali, che quindi non hanno un inizio e una fine all’interno della giornata. Non si molla mai veramente. Per fortuna sono sempre stata nottambula, anche nel periodo di studio, perciò non patisco molto il lavoro notturno. Sicuramente viaggio di più.

IR: Registrare un disco è comunque un dispendio di energie notevole, sia fisiche, di tempo e di soldi. Sei riuscita a trovare facilmente supporto o hai dovuto fare tutto da sola?
BZ: Il maggior supporto l’ho ricevuto dalla mia famiglia, che crede in me nonostante non sia facile vedermi vivere alla giornata. Per il resto ho investito tutto ciò che avevo, in termini di denaro, di tempo e di energie fisiche e psichiche. Non ho potuto godere di capitali giunti da altre fonti, se non dal mio lavoro, nè tantomeno di sostegno proveniente dal mondo moribondo della discografia. L’unica persona esterna che ha creduto subito nel progetto e che ha investito parecchio del suo tempo è stato Diego. Poi ho tanti amici, musicisti e non, che mi incoraggiano.

IR: Le diverse collaborazioni(con Daniele Celona ad esempio) che hai fatto come hanno influito in questo disco? Ne hai altre a breve?
BZ: La collaborazione che più ha influito sulla realizzazione di questo disco, a parte l’intervento di Diego ovviamente, è stata quella con Luca Morino dei Mau Mau. Proprio nel periodo in cui cominciavo a scrivere i brani, il 2011, ho iniziato a suonare con lui, nell’ambito del suo progetto MorinoMigrante. Dopo sole tre prove mi ha buttata sul palco del 150esimo dell’unità d’Italia: sono passata in pochi giorni dalla cantina al palcone con tanto di diretta Tv. Ho pensato:WOW! Da qui non scendo più. Lavorare con lui mi ha insegnato molte cose sul modo di fare spettacolo, sul rispetto del pubblico e sulla ricerca di un’idea musicale che non sia la solita minestra: Luca è sempre molto attento alle nuove uscite musicali e con i Mau mau ha creato qualcosa di unico e di ibrido che prima non esisteva: ha unito le sonorità della lingua piemontese con i ritmi della patchanka, le percussioni africane con la fisarmonica. Mi ha spinta a cercare un’idea nuova e a svilupparla.
L’esperienza con Bianco, con Celona e con Spaccamonti mi ha insegnato a non demordere: si tratta di artisti che in fondo hanno sempre creduto in ciò che facevano e l’hanno portato avanti nonostante tutto e tutti, raccogliendo ottimi frutti.
Per il mio futuro si vedrà!

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