Roccia Ruvida: Ottodix
“…è un tantino da paraculo anche il fare interviste e un giornalismo che cerca ad arte la polemica e quindi il “like” facile?”
Ed ecco che si fa subito chiaro il quadro della situazione. Come volevasi dimostrare quando ho a che fare con ARTISTI il gioco della polemica ha vita dura e decisamente breve. Dalle istallazioni “all’ermetismo” (manco per niente) della sua musica digitale. Artista a tutto tondo che difende la sua necessità espressiva di andare oltre l’immediato…ed io l’ho punzecchiato a dovere…e lui ha saputo mettermi alle strette. Il suo nuovo disco è un pop spazialmente digitale. E si caro Ottodix, l’ho ascoltato…ma dirti che sei ermetico è cosa buona giusta se voglio farti sventolare l’ascia di guerra come si deve. Probabilmente, fino ad ora, è questa l’unica volta che le mie domande idiote sono state trattate da idiote come meritano ma colte come scusa utile e intelligente per fare un’analisi importante. Perchè Roccia Ruvida vuole proprio questo…fare analisi importanti. E non c’è astuto più intelligente e impegnativo di colui che di primo acchito si mostra imbecille. Solo che alla fine resta sempre il dilemma di capire perché non è alternativa anche il modo di mostrarsi al proprio pubblico. Resterà una domanda irrisolta per i secoli a venire. Per ora vi invito a leggere questa splendida intervista ad Ottodix
Installazioni e psichedelia. Poi musica visionaria. In genere gli artisti del tuo calibro si tengono alla larga da un certo cliché e dalle mode della comunicazione. Eppure alla fine siamo tutti ad inseguire interviste, visualizzazioni etc. etc. etc. Insomma la domanda alla fine potrebbe essere uguale per tutti. Ma non sarà una paraculata questa cosa dell’arte per l’arte? Fare gli alternativi mi sembra spesso una giustificazione al fatto di non diventare famosi…
Ciao, mi piace il taglio volutamente polemico che date alle vostre interviste, quindi vedrò di contraccambiare con lo stesso spirito
Vi giro subito la domanda: volendo, non è un tantino da paraculo anche il fare interviste e un giornalismo che cerca ad arte la polemica e quindi il “like” facile?
La risposta credo sia sì, ma anche no. Dipende dalla qualità dei contenuti polemici e da come li si gestisce, così come dipende dalla qualità e del peso dell’arte che si mette sul tavolo.
L’arte per l’arte è una grandissima paraculata, sono d’accordo con te, infatti spesso gli artisti “del mio calibro”, se la tirano “ad arte”, più come atteggiamento che per reale spessore. Poi a volte li senti parlare a tavola e scopri che hanno la cultura di base di un analfabeta, allora capisci che l’ermetismo e l’arroganza sono una maschera di comodo per suggerire mistero e profondità laddove magari c’è il vuoto pneumatico e una carenza di attenzione da colmare con la supponenza.
Non mettetemi dentro a questo calderone, però, altrimenti non starei qui a mescolare arte contemporanea con musica pop, ritornelli e divulgazione scientifica. “Micromega”, il nuovo album, è un viaggio cinematografico dentro la poesia della scienza e dei misteri dell’infinitamente grande e infinitamente piccolo. Sono temi trattati in modo emotivo, leggero, che riguardano tutti e sono esposti nei testi, non come trattati di fisica quantistica, bensì sotto forma di canzoni in rime baciate, che a colpi di slogan cercano di far capire quanto di scientifico e inevitabile ci sia in natura, nel nostro affanno quotidiano. Non si può mica parlare solo di amore, sesso e di politica, no?
Sono uno dei pochi che cercano di cucire un dialogo tra l’intellighenzia che se la tira e un modo più modaiolo o “nazional popolare” di fruire di musica e arti varie, quindi spostate il mirino del vostro fucile altrove, please, che di target più appetitosi ce ne sono ovunque. Quello che faccio è fantascienza visionaria, con l’approccio di un regista; non è pop, ma neanche una tesi di astrofisica, sù… è la colonna sonora di un mio film mentale, alla Kubrick, quello che vi propongo, un disco che spera di far ragionare, ma che intrattiene anche un bel po’ con atmosfere hollywoodiane, orchestre e ritmi incalzanti. È cinema, e neanche tanto d’essai. Rispolvera cose che si imparano a scuola a 15 anni. Forse è un po’ un disco nerd, ma non se la tira affatto, anzi, divulga cose che Piero Angela spiegava a tutti, ma che pare si siano dimenticate.
Se volessi fare il professore di arte & scienza non rilascerei interviste a webzine musicali.
Statue e canzoni. So che hai fatto molte esposizioni anche all’estero. Quindi? Italia o Resto del Mondo? No perché dai noi se non finisci nei Talent non sei nessuno…
Dei talent non voglio neanche sentir parlare, si basano sul talento esecutivo, mai su quello compositivo: è un carrozzone che va a caccia di meri esecutori di musica fatta in laboratorio.
Si, ho fatto anche mostre all’estero, ultimamente a Pechino, dove ho presentato l’installazione-scultura che è la copertina di questo disco.
Ho anche cantato in diretta una canzone che anticipava l’album, alla tv cinese!
L’italia è un Paese che spesso si accorge di te solo se te ne vai a fare cose all’estero; se proprio devo scegliere, dunque, preferisco questa via più meritocratica, per quanto assurda, per attirare un po’ di attenzione, piuttosto che un talent.
Che poi l’essere così ermetico impedisce una comprensione univoca. Ognuno può metterci del suo e a questo punto ne ha tutto il diritto di farlo. Questa cosa è voluta oppure è un compromesso che devi accettare se vuoi fare musica come quella a cui ci hai abituato? Ma non sarà anche questa una scusa facile per non dire di non saper bene comunicare le cose? Allora faccio l’artista ermetico e se tu pubblico non capisci sono problemi tuoi…
Ermetico? Sei sicuro di avere ascoltato l’album o hai letto solo la cartella stampa come spesso accade?
Ho pubblicato un singolo che ripete ossessivamente “boy boy micromega boy boy” – “i like, i like it”, con una cassa in 4/4 e che parla di social in modo molto chiaro.
Il problema di oggi, credo, sia la totale incapacità di affrontare letture un tantino più lunghe o complesse o stratificate.
Viviamo in una società complicata, globalizzata e sfuggente, quindi ci vorrebbe una maggiore abitudine a leggere cose articolate. Invece, cosa si tende a fare? L’opposto: semplificare. Post efficaci = non più di tre righe; canzoni efficaci = niente parole difficili, ritornello entro i 30 secondi, durata breve; notizie efficaci = bufale eclatanti per sempliciotti; tg che fanno audience = notizie in pillole.
Approfondimento zero, memoria storica di fatti, nomi e tendenze, sempre più volatile. Chi approfondisce, oggi, è barboso e anacronistico (ops, ho usato un termine démodé ).
In questo quadro generale è chiaro che al minimo sforzo di rendere interessante e un po’ di spessore un disco o un libro, diventi un luminare accademico col minimo sforzo. Se questa è la base di partenza, sembri uno stronzo intellettuale anche se infili due congiuntivi esatti di seguito.
È il livello generale che si è abbassato in modo impressionante, non sono io che me la tiro o che viaggio sopra vette irraggiungibili, anzi.
Tutto oggi deve essere semplificato: minimalismo imperante ovunque, e qui ci va a nozze la famigerata avanguardia musicale e artistica che se la tira, di cui sopra, che fa l’ermetica e alla quale io non appartengo, ma che sta diventando altrettanto cool del mainstream alla Fedez. Io sono un massimalista nei contenuti e cerco di renderli ben chiari con immagini e parole. Sono uno che spiega cosa ha in mente, non occulto mai nulla, anzi. Micromega è l’ennesima operazione schierata e spregiudicata che faccio, senza lasciare adito a dubbi o furbizie di sorta. È tutto lì sul tavolo, a costo di essere pesante. Infatti le major discografiche mi reputano di nicchia, mentre la musica di ricerca mi reputa un artista troppo “pop”. È la dimostrazione che sto nel mezzo, a ricucire gli strappi.
Un Battiato, con tutti i suoi deliri citazionistici (ben più di me) fatti di tappetari berberi e reminiscenze balcaniche e filosofia greca, se uscisse oggi sul mercato, sarebbe deriso e si esibirebbe nelle cantine di Catania. Si, è vero, lui ha anche fatto “cucurucucù paloma, haiaiaiaiai cantava”, per arrivare alla gente, come io faccio “boyboymicromegaboy-i like it”, ma oggi non basta più.
Una volta il tessuto culturale medio era un tantino più curioso e rispettoso verso idee nuove e di contenuto. La musica che faccio io, in altri anni avrebbe e ha avuto una nicchia maggiore. Ad esempio ho piazzato singoli e video su Virgin Radio e MTV, negli anni, con brani dalle intenzioni molto similia quelle di oggi. I tempi cambiano, purtroppo.
Poi c’è un’altra cosa, sintomo preoccupante dei tempi. Il fastidio per la cultura, per l’ “intellettuale”, parola ormai divenuta dispregiativa, sinonimo di “saputello”. Da una parte il pubblico abbassa la sua asticella e semplifica letture di cose più complesse in modo esasperante, dall’altra, in effetti, la suddetta categoria intellettuale, a furia di tirarsela, ha creato un danno molto serio, trincerandosi nella sua gelida torre d’avorio, scollegando i reparti. Questa vacanza degli intellettuali sta lasciando la società in balia del populismo, perché non ha più filtri e si beve di tutto da tutti: mi pare che lo scenario internazionale parli chiaro.
Digitale. Ecco il mondo che prima di tutto ti viene in soccorso per dare voce alla tua musica. Se non ci fossero computer? Sicuro che non faresti solo installazioni? Con le tecnologie di oggi direi che ci vuol poco a fare un disco…sopratutto poi se vuoi farlo ermetico e privo di logiche concretamente terrene…forse…
È una polemica vecchia di 35 anni almeno e ampiamente superata. Con le tecnologie di oggi fai anche le installazioni. E vero, ci vuole poco a fare un dischetto, ma per fare un Disco ci vuole comunque molto di più.
Per questo io ci metto due o tre anni ogni volta.
Sono mezzi attuali potentissimi che io benedico. Si, per uno come me che non si può permettere di dirigere, arrangiare e registrare un’orchestra vera di 100 elementi, il poterlo fare gratis (parola magica) intrecciando singoli suoni e ottenendo un effetto credibile, è una vittoria, e ringrazio la tecnologia.
Provaci tu e confrontiamo il risultato. In teoria, se il software fa tutto da solo, dovremmo avere grosso modo uno stesso risultato qualitativamente alto.
È il solito vecchio discorso delle idee: se la scrittura della musica è buona, se i testi sono interessanti, se le idee di come arrangiare un brano sono valide, la tecnologia è un amplificatore eccezionale di un prodotto di qualità, altrimenti diventa un mezzo per furbi per sopravvivere. E ritorniamo lì: se il pubblico non ha i mezzi per discernere le buone idee da quelle scarse, è un problema di cultura e di capacità di analisi, come con le bufale.
E ancora. Perchè lo pseudonimo? Da qualche parte ho letto che sia una delle tante maschere che le risposte facili dell’essere artista ci consente di dare per sfuggire alla sfida…
Per le arti visive uso il mio nome di battesimo Alessandro Zannier, mentre Ottodix era il nome di una band, anticamente, divenuto da tempo il mio pseudonimo come solista in musica negli album. Dal vivo “gli” Ottodix continuano a esistere e oggi ho anche una formazione parallela per elettronica e quartetto d’archi on stage. E per chiudere il cerchio, Otto Dix è stato un grande, importantissimo pittore tedesco, critico con la società che lo circondava, che assomiglia in modo preoccupante a questa, a cominciare dalla derisione verso i “saputelli”. La chiamavano “arte degenerata”, all’epoca.
Come sempre rinfoderiamo l’ascia anche stupida delle volte e torniamo a parlare seriamente della musica di Ottodix. Un sesto disco che nella sua visionaria meticolosità descrive l’evoluzione, se vogliamo l’origine della materia umana. Oggi purtroppo è quasi certamente defunto il concetto che lega a se le parole cultura e musica. Eppure artisti come Ottodix imperterriti producono grande bellezza e fanno – o quantomeno cercano di dare il loro contributo – al patrimonio culturale del proprio paese. Da un veterano come te…servirà tutto questo sforzo? La scimmia che vedo in copertina sul tuo disco si è evoluta. Noi ci stiamo involvendo. Ottodix come reagisce?
Ti ringrazio, ripongo anch’io l’ascia volentieri. Ottodix reagisce restando in trincea lavorando tanto e studiando bene ciò di cui parla, cercando di produrre cose complesse, da scoprire pian piano con più ascolti nel tempo, facendo dischi consultabili come libri anche domani. Almeno spero.
L’importante è essere credibili e fare al meglio il proprio lavoro. Sempre.