Roccia Ruvida: Matteo Bonechi

Rileggo alcune delle sue risposte e penso di non averle capite. In particolare mi riferisco a quella velenosa e puntuale su Spotify. Ma che significa quella risposta caro il mio Matteo Bonechi? Mi sembra tanto che certe volte, risposte che vogliano sembrare “assurde” come per paraculare le intenzioni velenose, finiscano per fare solo una scena misera… o forse sono io a non aver capito niente. Di certo da chi scrive e suona e produce un disco come “L’estate spietata” mi sarei atteso ben altro acume nelle argomentazioni. Matteo Bonechi sfoggia un bel “jazz” (con le dovute virgolette) fumoso alla Conte / Capossela / Compagnia cantando… registrando in presa diretta ogni cosa, fotografa l’italiano medio alle prese con l’estate e i suoi conformismi e di contorno, oltre alla sottilissima critica sociale (per palati fini o visionari) ci mette dentro anche una potenza romantica che dimostra altitudini per niente scontate. Detto questo, capite che un poco, da queste risposte, resto deluso. Ci speravo…

I cantautori… razza non ancora in estinzione a quanto pare? Ma sei sicuro che serviva a noi altri un disco simile?
Molto probabilmente no, ma nemmeno credo ci sia tanto di innovativo in Italia dall’inizio di questo secolo, autotune compreso.

Te lo chiedo perché siamo tutti in prima linea per apparire con opere… siamo artisti… o mille altre cose. Siamo o non siamo nel tempo dell’estetica a tutti i costi del nostro ego?
Un’era egocentrica come la nostra si nutre dei riflessi dei social senza badare troppo ai contenuti. Se anche un video di dieci secondi non ha speranza di attenzionare nessuno, allora tanto vale allargare la lente e fare ciò che più si preferisce senza troppo pensare al contesto.

E questo suono privo di futuro? Come a dire: io sono quello che le cose le fa per davvero?
È divenuto necessario cullare le orecchie in morbidi abissi senza speranza.

Tanto lavoro per regalare poi tutto alla rete e ai click gratuiti. Come ci racconti la tua visione di questa eterna contraddizione che mettete in scena voi artisti? Vi lamentate tanto della musica ormai trattata male e non più come lavoro e poi siete i primi a regalare tutto in rete…
Chissà, forse tra cento anni si parlerà di quanto bene abbiano guadagnato gli artisti negli anni d’oro delle case discografiche e non del fatto che molti musicisti del periodo attuale facessero altri mestieri per campare.

Chiudiamo sempre tornando seri… anzi grazie per aver accettato questo gioco. Comunque è vero che questo è un disco che sfida i tempi e richiama alla mente tessitore di grandissima classe antica. Che tipo di ispirazioni e che tipo di processo decisionale c’è alla base?
C’era la voglia di provare a registrare delle idee in presa diretta senza perdersi nell’odissea della preproduzione. Cercare un suono uniforme per il disco. Divertirsi. La speranza, come si diceva prima è una trappola: meglio liberarsene.

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