Roccia Ruvida: Alèm

L’album l’ho ascoltato caro Alessandro Minichino che in arte ti firmi Alèm, ma penso sia il solito problema di sempre. Tanti artisti sfoggiano l’arrogante presunzione di fare cose originali sfoggiando nomenclature ed etichette dettagliatissime, dense di citazionismi vari… ma alla fine, peccando altresì di un uso eccessivo di etichette di sintesi, la storia sempre quella è. Vorrai forse che il singolo “Chissenefrega” batta percorsi mai veduti prima? Certo un disco come “Sogni Virtuali” è sicuramente un disco denso di contaminazione, libero, dalle mille facce diverse che si stenta a credere sia la farina di un unico sacco. Ma sempre che parliamo di mera estetica… ingredienti abusati, conosciuti, mescolati assieme, altri nomi da dare agli stessi cocktail. Encomio all’estro e alla libertà creativa di Alèm, encomio per un disco che non stanca, sorprende e si distacca dal piatto imbruttimento delle mode moderne. Niente di nuovo sotto al sole però… compresa la risposta omologata sul tema Spotify. Nessuno è costretto mai… forse anche li, sarebbe utile arrendersi al fatto che non abbiamo più il coraggio di osare…

Devo dire che ormai la trap, il rap e quanto altro sono il pane quotidiano… ma davvero non esiste più niente da inventare? Tutti a fare i trasgressivi con le strade già battute?
Leggendo questa domanda mi chiedo se abbiate ascoltato l’album… Niente di più lontano dallo standard a cui ci abitua trap, rap, drill e la cultura hip hop in generale. In ogni brano ci sono decine di strumenti e influenze di generi musicali diversi, brani Ska, reggae, trap, rock, punk, jazz e chi più ne ha più ne metta. Direi che non siamo mai stati così lontani da una strada già battuta, già solo portare testi con dei contenuti attualmente è controtendenza. Penso che la novità e la sperimentazione abbiano comunque dei limiti. I futuristi hanno provato a rompere totalmente le regole musicali in modo fallimentare. Potrei anche io inventare un nuovo metodo di approccio alla musica ma il messaggio arriverebbe? Se il fine è la trasgressione potrei pubblicare un album fatto unicamente di rutti, nessuno penso l’abbia fatto e sarebbe quindi “originale”, tuttavia appunto l’originalità e la sperimentazione non sono il fine ultimo, facciamo musica non arte concettuale. Conta il contenuto e la qualità delle canzoni.

E poi anche in questo caso la critica sociale… ma alla fine, criticando criticando, si finisce per farlo aderendo a pieno alle regole che si stanno criticando. Che controsenso è?
Penso sia giusto distinguere la critica sterile da quella con un senso logico. Nelle mie canzoni ridicolizzo spesso i problemi del quotidiano ma l’intento non è la critica alla società bensì riuscire a cambiare l’approccio dell’individuo alle dinamiche della vita. Se avessi voluto cambiare in modo pratico il paese avrei fatto politica. Invece cerco di parlare di sensibilità ed emotività in un mondo dove queste cose vengono viste come debolezze. Parlo di “essere” nel periodo della massima omologazione. Dopodiché non so a quali regole vi riferite ma si torna alla risposta della domanda precedente. Purtroppo in questo paese viviamo la politica come fosse spettacolo e il mondo dello spettacolo come fosse politica.
Il mio obbiettivo è abbracciare le persone e riuscirne a responsabilizzare di più anche solo una sarebbe una vittoria. Di certo non posso avere in tasca le risposte per far uscire dalla povertà gran parte della nazione. Per la risoluzione dei problemi si va a votare, non si comprano i dischi… ma tanto al giorno d’oggi nessuno fa entrambe le cose.

I tempi capitalistici che annientano l’essere… per questo voi artisti che cantate questo alla fine fate musica cercando continuamente di apparire? E l’essere che fine fa?
Nei miei profili social non pubblico foto con la mia faccia, o reel in costume. Al centro metto l’arte. Ogni post è un disegno, ogni reel/video un’animazione che punta solo a far immergere maggiormente chi mi segue nei mondi che canto. Anche questa domanda non penso mi riguardi. L’apparire non mi riguarda e credo che per tanti artisti sia solo un modo per cercare di creare attenzione dove la musica sola non basta. Ognuno gioca le proprie carte.

E a proposito di contraddizioni arriva la domanda di tutte: SPOTIFY. Perché l’essere ok… ma l’apparire? Conta talmente tanto che alla fine annientate tutto il valore del vostro lavoro regalando a tutti il frutto del vostro lavoro. Pagate per fare dischi ma poi li mettete gratis sulle piattaforme. Ma ovviamente poi ci lamentiamo del capitalismo e del fatto che non si vendono più dischi. Questo paradosso come lo risolviamo?
Purtroppo gli artisti sono costretti a svendere il proprio lavoro con l’obiettivo (almeno per quanto mi riguarda) non di apparire, bensì di riuscire a far ascoltare la propria musica e veicolare i propri messaggi nel modo più efficace possibile. Quindi preferire che la propria arte venga apprezzata pur non avendo un ritorno economico idoneo. Ho fatto molti lavori, almeno la musica appaga l’essere. Lavare i piatti, consegnare cibo o fare altri lavori di fatica totalmente sottopagati è decisamente peggio. Non siamo di fronte a una problematica legata unicamente al mondo della musica che può anche essere un lavoro quasi “elitario”, ma il problema è il non poter arrivare a fine mese con lavori che tolgono la vita senza dare nulla indietro. Secondo voi se io non caricassi i miei lavori sui distributori online avrei possibilità di crescita e di ascolto tramite le copie fisiche? Compreresti un album di un artista sconosciuto? Non penso, neanche io lo farei. I tempi cambiano, non ci resta che trarre il meglio dai mezzi che abbiamo a disposizione. Le generazioni precedenti ci hanno lasciato un mondo a pezzi e si lamentano con noi se disprezziamo queste macerie e non ci comportiamo come hanno fatto loro. I ragazzi di oggi per quanto criticati penso abbiano una sensibilità morale che difficilmente riscontro nei più vecchi. Se gli artisti già affermati e le major si adattano e creano delle logiche di mercato, chi sono io per ribaltarle? Mi porterebbe a qualcosa? Questo mondo capitalista non l’ho creato io, la mia musica su Spotify è un cavallo di Troia, dentro si trovano le armi che magari un giorno potranno ribaltare questo sistema penoso.

E come sempre chiudiamo abbassando l’ascia di guerra… anzi grazie anche a te per esserti prestato. “Sogni virtuali” alla fine ha davvero forme e colori diversi. Mi ha colpito tanto in questo… ho come avuto l’impressione che per ogni argomento e stato d’animo tu cercassi un linguaggio appropriato. Ed è vero che nonostante la mutevolezza della forma, tu restavi sempre il centro. Qual è stata la ricetta di tutto questo mosaico? Come l’hai costruito? Venuto da se o ragionato con consapevolezza?
Grazie per la piacevole chiacchierata, penso che anche le mie risposte prolisse non possano bastare per sviscerare al meglio alcuno concetti davvero molto interessanti che andrebbero dibattuti per ore. La ricetta penso sia stata la perfetta alchimia che si è creata fra me, Artigian studio (Gianluca Zanin) e tutti i musicisti che hanno preso parte al progetto. Sicuramente c’è la spontaneità che si crea nel far musica “sincera” ma siamo molto lontani dalla causalità. Ogni mossa è stata ragionata chirurgicamente. Spero che si percepisca, così come il divertimento nel creare questo progetto, che è solo l’inizio di un viaggio che spero si concluda il più tardi possibile.

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