OBICI: in anteprima il video di “Catafalco”
Shoegaze, post rock, come dicevamo noi nella nostra intervista “non collocabili a prima vista” (leggi qui la nostra intervista). Torniamo a parlare di “Solipsistic Horizon”, torniamo a parlare con gli OBICI progetto fondato da Francesco Armani e Maurizio Viviani. Torniamo sul pezzo perché vi presentiamo in assoluta anteprima il bellissimo video di “Catafalco”, il nuovo singolo estratto, unico brano in italiano di un disco che cerca tra Londra e Berlino le sonorità giuste per identificarsi. Una bella animazione grafica curata da Frank Burgess dentro cui si rinnova il bisogno di evasione, di ricerca, di salvezza da una società probabilmente in declino. Si rinnova un suono di chitarre decisamente apolide…
In anteprima questo video: il singolo cantato in italiano. Sicuramente una domanda iniziale dovuta e inevitabile: perché cantata in italiano visto il resto del disco?
Maurizio: il processo creativo di Catafalco è stato impostato in modo particolare. Ha un approccio che mi è molto caro. Da qui il desiderio di dedicargli un testo in italiano visto l’impegno in prima persona. Attraverso le diverse esperienze musicali e i vari progetti a cui ho collaborato si è sempre deciso di stilare testi in inglese perché si riteneva fosse la soluzione più immediata per ottenere un testo che funzioni e risulti musicale. Non mi sono stufato dell’inglese nei testi, anzi. Penso comunque sia un linguaggio che non mi appartenga del tutto per quanto accessibile. L’italiano al contrario mi ha liberato dal sentirsi rallentati da una forma lessicale e grammaticale, come quella inglese, che conosco solo in superficie e ha portato quell’entusiasmo tipico di quando ci si misura con qualcosa di “nuovo”.
Francesco: sull’argomento io ho una visione opposta in quanto vengo da una serie di album scritti e cantati in italiano e mi sono convinto che la lingua italiana non sia adatta a questo genere. Quando si canta rock in italiano ci si trova a forzare accenti, pronuncia, struttura delle frasi o addirittura grammatica per stare dentro un genere che non è nato in questa lingua. Chiaramente scrivere in inglese comporta più lavoro in fase di scrittura se non si vogliono scrivere delle banalità, ma per uno come me che parte dalla melodia per arrivare al testo i vantaggi sono maggiori.
Lo shoegaze: che rapporto avete con questo genere e con questo modo di restare sospesi e indeterminati?
Francesco: sicuramente lo shoegaze è una delle correnti che ci ha attraversato nel passato ed è presente soprattutto nel modo di utilizzare gli effetti e nella sovrapposizione fragorosa delle chitarre. Per il resto le influenze sono molteplici e credo che nessuna sia prevalente.
E ancora: sento il post rock che al mio orecchio suona molto berlinese… qui diventa decisamente americano… che mi dite?
Maurizio: l’unione di tutti gli elementi compositivi di Catafalco ha dato un diverso risultato rispetto all’aria generale del disco. In primis a causa della genesi del brano che si appoggia a giri armonici più canonici se vogliamo, e quindi conferisce delle sonorità che risultano familiari all’ascolto.
Francesco: come ho detto prima, io stesso faccio fatica ad inserire i brani in un genere e questa Catafalco viaggia su un binario ancora più particolare rispetto alle altre. Se mi chiedessero, da ascoltatore, il basso mi ricorda Lemmy, una chitarra sembra western, l’altra è quasi solo white noise mentre il main riff in tapping sarebbe metal, se non fosse per dove è posizionato. Batteria e voce hanno la loro personalità indipendente. La magia è che ne esce comunque un pezzo coerente.
Che poi è la dimostrazione che questo genere può vivere anche da noi e in italiano. O sbaglio?
Maurizio: assolutamente si. Non vedo elementi che possano indicare il contrario. Personalmente credo che potrebbe rivelarsi un territorio semi esplorato che può dare ancora qualcosa.
Francesco: non è certo compito mio stabilire chi può vivere e chi no. Si tratta di esperienze e di gusto personale. A volte però si bolla come “provinciale” un italiano che canta in inglese senza rendersi conto che cantare rock con pronuncia inglesizzata è ancora peggio. Non è certo questo il caso, ovviamente.
E questo mix che vuole la voce indietro decisamente al limite di intelligibilità?
Maurizio: l’intenzione era quella di creare un fronte coeso della resa del brano come per tutto l’album. Non tanto che un elemento fungesse da ariete, ma che tutti gli aspetti contribuiscano al risultato finale.
Francesco: confermo che c’è stata una precisa richiesta che la voce diventasse un elemento quasi musicale senza prevalere sugli altri anche per non sacrificare gli altri elementi che si muovono con lei. Siamo al limite, ma ci piace così.
Bello il video a cura di Frank Burgess. Siamo alla fine di ogni ragione? Conviene lasciarlo questo mondo? “simulazioni che insegnano – generazioni che non pesano”?
Maurizio: Frank è un grandissimo amico. Oltre ad essere un grandissimo musicista è un grandissimo animatore e assegnargli il lavoro è stata questione di una telefonata. Frank ha curato l’animazione della sceneggiatura che ho scritto e sicuramente ha riportato un’atmosfera che secondo me si abbina bene e calza il clima generale del pezzo. Non so se convenga lasciarlo o meno questo mondo e non so nemmeno se siamo alla fine di ogni ragione. Il videoclip tratta del mito del Viaggio e in particolare rappresenta gli attimi che vanno dalla decisione di partire alla partenza vera e propria. Si sofferma sulla preparazione di quest’ultimo, sull’entusiasmo che porta con se ogni partenza o quantomeno i posti sconosciuti, ed infine la partenza vera e propria. L’accenno alle “simulazioni” e “generazioni” sono il bagaglio iniziale che ognuno ha. Abbiamo scelto il viaggio interstellare perché, chi non vorrebbe partire con uno starfighter?