Melty Groove: una Los Angeles tutta italiana
Mai titolo fu più visivo: “Free Hands” che suggerisce “a mano libera” come anche “per il solo stinto”, dentro cui l’imprecisione significa pathos ed emotività. Mescolando soul, jazz, rock, pop, fusion, r’nb e inevitabilmente il soul. Mescolate tutto questo prima di premere play su un disco che merita il volume alto. Ritmo e glamour anche dentro l’omaggio a De André che qui ritrova una direzione decisamente inattesa. Sono i Melty Groove, all’anagrafe Edoardo Luparello (batterista), Alice Costa (bassista e cantante) e Carlo Peluso (tastierista). Arrivano da Torino e ci regalano un disco che dobbiamo assolutamente sottolineare.
Un disco fantastico grazie. Splendido l’omaggio a Faber con una riscrittura quasi turca, quasi balcanica… da dove nasce?
(Alice) Grazie a voi per averlo ascoltato e apprezzato! La cover di “Amore che vieni amore che vai” nasce quasi per caso durante una prova, Carlo fa partire questo loop di tabla, Edoardo ci improvvisa sopra un groove e a me viene in mente immediatamente la melodia di questo celebre brano di Faber, tra l’altro una delle mie canzoni preferite in assoluto. Il resto è venuto spontaneamente! Certo è che questa cover (o come le chiamiamo noi “hypercover”) dialoga molto con la parte della carriera di Fabrizio De Andrè che esplora sonorità etniche…penso alla collaborazione con la PFM. Devo dire che il risultato finale ha sorpreso molte persone ed è stato apprezzato anche dai musicisti che hanno collaborato con De Andrè (Roberto Colombo ed Ellade Bandini), insomma una bella soddisfazione.
Il taglio di voce rispecchia molto quel fascino internazionale, anzi direi molto Inglese… che ne pensate?
(Carlo) Le nostre produzioni musicali, curate dall’amico fidato Simone Ferrero, ingegnere del suono del Ciabot Music Production, si ispirano indubbiamente al sound della musica americana e anglosassone. Una delle nostre sfide è riuscire a far apprezzare anche in Italia questo tipo di sound e perché no anche con dei testi in italiano… ma non possiamo spoilerare troppo (ride)
E questa cover che richiama molto dell’immaginario “africano”? Come mai visto che, al mio orecchio, c’è poco di quella cultura?
(Edoardo) La copertina dell’album è di Alice, la nostra cantante. C’è poco di africano nel disco ma c’è molta della cultura del sud nella genesi di questo album. Carlo ha portato il suo background dal Salento al Piemonte che si sposa molto bene con la mia passione per il groove batteristico, essendo cresciuto a pane e Peter Gabriel (ride). Diciamo che ci piaceva l’idea di dare un’immagine artigianale al disco, senza patinature ed orpelli.Questo rispecchia un modo di suonare molto analogico e poco digitale.. ed anche il titolo “Free hands” porta in sé la nostra idea di “manualità”.
https://www.youtube.com/watch?v=Lkjl_z_Z
La dimensione del pop quanto contamina il vostro essere “apolide”? Cioè in qualche modo risentite un poco l’appartenenza alle abitudini italiane?
(Alice) Ascoltiamo e apprezziamo la musica italiana sia del passato che dei giorni nostri però musicalmente ci sentiamo più vicini al mondo della black music internazionale. Alcune nuove idee che su cui stiamo lavorando in questi mesi strizzano l’occhio anche alla musica indie italiana e pensiamo il futuro possa riservare delle sorprese in tal senso.
Altre radici geografiche? Da dove viene tutto questo disco?
(Edoardo) Carlo è onnivoro di musica e amante del progressive rock, Alice piemontese D.O.C che arriva dal gospel e dal blues, io mezzo siciliano e mezzo piemontese onnivoro di musica e con alle spalle anni di studi del mondo del jazz e della musica afroamericana in generale. “Free Hands” è un album che racchiude un po’ le radici geografiche e musicali di tutti noi.