Interview – Giuseppe D’Alonzo
Giuseppe D’Alonzo torna con la sua chitarra e la sua voglia di farci emozionare con il singolo “Canzoni per chi…”. Il brano è disponibile su tutti i digital store dal 5 gennaio e vede la collaborazione della cantante Elisa Sandrini. La voce di Elisa accompagna il profondo messaggio di Giuseppe in una canzone che sa emozionare e coinvolgere. Una melodia pop in cui gli strumenti predominanti sono la fisarmonica, il contrabbasso, il pianoforte e la chitarra acustica.
Un arrangiamento volutamente sobrio che permette all’ascoltatore di ricevere con più attenzione il messaggio nascosto tra le righe del testo.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per questa lunga chiacchierata.

Ciao Giuseppe, bentornato su Indie Roccia. La volta scorsa avevamo parlato della musica e la sua potenza sociale. Quest’anno sei tornato con un brano sempre abbastanza in linea con tutto ciò “Canzoni per chi…”. La prima cosa che ti chiedo è: per chi è questa canzone?
Ben ritrovati e grazie per lo spazio che ci dedicate.
Una domanda che mi pongo da tempo è: tutte queste canzoni, tutte queste informazioni, come vengono metabolizzate oggi? Abbiamo il tempo di emozionarci oppure le ascoltiamo tra un reel, una storia e un’altra? Ecco, volevo scrivere una canzone per quelle persone che cercano ancora l’emozione di una volta, non solo la condivisione, ma l’introspezione, non la perfezione ma l’unicità.
Cosa si nasconde dietro al processo creativo? Quali sono le situazioni o le emozioni che ti spingono a creare e dar vita a nuova musica?
Il processo creativo è assai complesso e misterioso.
Nel mio caso di sicuro i viaggi costituiscono uno dei momenti di intensa riflessione che mi permettono di prendere le distanze dal quotidiano. Amo viaggiare, giro il mondo da quando avevo 17 anni.
Molti brani sono nati in viaggio o di ritorno da un viaggio. Canzoni per chi è nata a circa 2000 mt di altitudine in un paesino del Kenya che stavo attraversando per andare al Masai Mara.
Ho registrato l’idea vocale sullo smartphone in un retrobottega di un umile ma molto pulito e dignitoso negozietto di alimentari, punto di ristoro che “offriva” caffè caldo. Quei ritmi così “umani” quelle persone così in contatto con la realtà, con la natura, mi hanno indotto a scrivere quel verso, “canzoni per chi, sa di tè dentro un caffè”. Quel verso racchiude in sé un istante vissuto in quell’alimentari e tutta una vita da criceti che facciamo in un occidente che ci rende così duri. Un contrasto con quella forma gentile di “baratto” con un sorriso e una delicatezza che solo un popolo che vive così lontano da questo stress, autoindotto figlio di un modello fallimentare, può avere.
In questo momento molti artisti hanno iniziato a creare musica con l’intelligenza artificiale, ci sono addirittura influencer che hanno successo e non sono reali. Pensi che si stia perdendo un po’ il contatto con la realtà? O credi che siano strumenti utili per il futuro anche dell’arte?
Io sono anche molto attento alle tecnologie e amante della scienza in generale, sono di estrazione formativa un ingegnere elettronico, quindi conosco un pochino la materia.
Credo che le tecnologie abbiano sempre dato una mano all’arte, quando sono state utilizzate dall’uomo come strumento al servizio del proprio cervello e della propria creatività, in ogni settore, nella musica penso banalmente ai primi sintetizzatori.
Oggi l’Intelligenza Artificiale, e nello specifico il Deep Learning, ovvero la forma avanzata del Machine Learning che cerca di emulare il modo in cui il cervello umano apprende, è un qualcosa che tende a sostituire il ruolo del cervello umano, in questo caso, nel processo creativo, simulando una rete neurale artificiale.
Considerata l’enorme complessità del nostro cervello, di cui come sappiamo non ne conosciamo l’esatto funzionamento neppure di una minima parte, inevitabilmente, il modello è assai semplificato.
Il rischio, secondo me, è che mentre nel passato la tecnologia aggiungeva alla nostra creatività, facendo crescere la parte destra del nostro cervello (quella emozionale/creativa), oggi sottrae.
La parte destra è sempre più piccolina.
La tendenza purtroppo è questa, i dati sono reali, le scuole stanno pensando di eliminare i PC dalla didattica scolastica, se continuiamo così le macchine avranno probabilmente maggiori capacità creative di noi, perché seppur meno complesse a livello emozionale, hanno delle potenze di calcolo oramai che scalano verso valori idealmente infiniti se confrontati con il singolo individuo; quindi, non c’è competizione. Se c’è una cosa che ho imparato è che il mondo occidentale non torna indietro se non in seguito ad eventi davvero catastrofici…quindi abituiamoci all’omologazione e a “subire” quello che stiamo creando nostro malgrado. Se i Boomers ci hanno lasciato “in braghe di tela”, noi verremo ricordati come coloro che lasceranno le future generazioni con un cervello umano meno sviluppato, c’è poco da fare…l’inversione di tendenza è iniziata dalla nostra generazione e ne siamo responsabili.
Quindi va bene tutto, amo la tecnologia ma deve essere utilizzata in modo etico e funzionale all’uomo, sempre per accrescere le nostre potenzialità non per far confluire più risorse al solito club degli 1%, visto che il modello economico occidentale non sa trovare più motori di crescita “sostenibili”. Attenzione perché una volta pompavamo idrocarburi, adesso pompiamo cervello umano: è quello che le future generazioni si troveranno a dover preservare.
Tornando invece al tuo brano, raccontaci come è nata la tua collaborazione con Elisa Sandrini.
Con Elisia siamo entrati in contatto grazie ad un collaboratore dell’etichetta discografica.
Volevo qualcuno che apportasse valore al brano, sia a livello strumentale che vocale, non era adatto alla mia vocalità e, avendo in testa un arrangiamento sobrio per un brano che non doveva avere una collocazione temporale precisa, la fisarmonica era perfetta.
Con Elisa c’è stato subito feeling artistico e umano. E’ una grande professionista, non potevo chiedere di meglio. Lei ha tirato fuori anche quell’assolo di fisarmonica che mi ha subito rapito, poi il resto lo potete sentire voi stessi.
Cosa ne pensi delle “regole” del marketing attuale che vuole che gli artisti tirino fuori un brano ogni mese? Pensi che artisti con strategie diverse possano avere comunque futuro?
Anni fa scrissi che i cantautori erano diventati gli operai dell’industria musicale, questa domanda non fa che confermare la mia tesi di allora. Purtroppo, è andata così e, ripeto, l’evoluzione sarà proprio questa purtroppo, serviranno più uscite per fare reel sempre “freschi” e con tutta probabilità queste produzioni saranno automatizzate, le competenze saranno sempre più tecniche e meno “artistiche” e delegate quasi totalmente all’IA e gli artisti saranno sempre più dei performer più che creator.
Quello che spero, improvvisandomi visionario, è che accada con l’artista quello che è accaduto con il vinile o l’analogico/valvolare se vogliamo. Io ed altri inconsapevolmente stiamo già cercando di fare questo, stiamo preservando la creatività “reale” o IR se vogliamo. Il futuro mercato potrebbe avere una nicchia in cui la creazione “umana” venga apprezzata e riconosciuta come valore di livello economico superiore, altrimenti non sostenibile.