Interview: Giorgieness
In questo 2016, ma già dall’anno passato, abbiamo visto diverse realtà al femminile premiate da un’attenzione di pubblico e critica che mancava da diverso tempo. Sono donne sicure e determinate e tra queste c’è Giorgia D’Eraclea titolare del progetto Giorgieness, a nostro parere uno dei più interessanti.
L’abbiamo intervistata prima del concerto tenutosi ad Agrate Brianza nell’ambito della rassegna Pentagrate curata da PierAngelo Cantù. Giorgia non si è risparmiata evidenziando una forte personalità e una determinazione che anche live viene fuori senza timori.
(foto by Martina Colonna)
IR: Il progetto Giorgieness esiste da ormai 5 anni, dal 2011, si sta evolvendo come speravi?
G: adesso è come me l’ero immaginato all’inizio: una band che suona su palchi grossi, senza strumenti acustici, tranne ogni tanto la mia chitarra, con una formazione classica rock. L’inizio è stato difficile poiché ero da sola poi ho conosciuto Andrea (De Poi ndi) eravamo un trio con un altro ragazzo, poi è entrata tutta la produzione: a conti fatti è già oltre le mie aspettative iniziali.
IR: dai brani delll’album esce molta acredine e rabbia, è la tua vita che è così incasinata? (ridiamo ndi)
G: sì sì anche se poi faccio una vita come tutti ma la trovo abbastanza complessa, con anche tutte le cose belle. Nelle canzoni esce quello che più ti fa male. L’ultimo anno, dove ho scritto gli ultimi pezzi del disco, è stato particolarmente denso di cose che mi sono successe ed è tutto vero quello che si sente. Prendi Strano rumore, è un pezzo che ho fortemente voluto nel disco ed è stato anche difficilissimo realizzarlo, essendo nuovo andava digerito da tutti e anche farlo chitarra/chitarra e basta non è stato semplice. Trovo importante scrivere cose vere perché le devo cantare ed essere convinta nel farlo. Se scrivessi cose di cui non sono convinta si sentirebbe.
IR: pensi che ricantando fatti, anche dolorosi, della tua vita ti aiuti a superarli?
G: superate è un parolone. Sicuramente mi ha aiutato a razionalizzarle e dovendo ributtare tutto fuori almeno tre volte alla settimana ci fai il callo. C’è un libro che si chiama Trilogia della città di K. che racconta la storia di due gemelli che durante una guerra vengono affidati ad una nonna molto cattiva e per sopportare le sue vessazioni, fanno degli esercizi come tagliuzzarsi, bruciarsi o dirsi cose cattivissime, il tutto per sopportare il dolore e ripetendo tutto questo fanno il callo al dolore. Dal mio punto di vista il ricantare i miei brani mi aiuta a ridimensionare tutto.
IR: anche gli arrangiamenti sono frutto di quello che raccontano i brani?
G: Avendoci messo un po’ per registrarlo ho avuto modo di cambiare e arricchire i suoni. I pezzi che erano nell’EP (Noianess -2015 ndr) registrati in pochi giorni non erano così a fuoco e mentre ora lo sono. Testo e musica arrivano insieme ma parto sempre da una base voce/chitarra tenendo a mente dei riferimenti precisi che poi porto agli altri. C’è tutto un mondo dietro ad ogni brano e bisogna cercare di tirarlo fuori. L’album lo trovo compatto, anche nello scorrere, pur partendo molto incazzato per finire molto più areoso e anche sereno se vuoi.
IR: l’uso della voce è molto diverso tra i primi e gli ultimi pezzi.
G: sì quello è proprio perché ho imparato ad usare la voce. All’inizio urlavo e basta, poi ho imparato a dire le stesse cose con la stessa intensità usando la voce come strumento. Ad esempio in Lampadari, Dare fastidio, Strano rumore ci sono un sacco di giochi di voce ed è una cosa su cui sto lavorando ora e verrà fuori nel prossimo lavoro. Mi fa piacere che si senta questa cosa (ridiamo ndi).
IR: per arrivare al disco finito, stampato e distribuito che percorso hai seguito?
G: è stato difficile ma anche consequenziale. Difficile perché per un sacco di tempo sembrava non si muovesse niente: tanti complimenti, pubblico numeroso ma non arrivava mai quel punto in più per farci fare un saltino in avanti. Poi è arrivato tutto insieme, a partire da Carlo (Garrè ndr) del nostro ufficio stampa, poi Davide (Lasala ndr) che ora suona con noi ma è il nostro produttore che ha deciso di investirci. Per tutto questo è avvenuto nell’arco di cinque anni. Ad oggi più delle difficoltà per ‘partire’ veramente mi sono molto resa conto di quanto sia difficile fare questo mestiere nella vita. Devo vivere al minimo con tanti sacrifici di cui sono felice: non puoi farti una vacanza, programmare un fine settimana da qualche parte e pensa che vivo in una doppia con altre due persone! Però non posso fare diversamente: più suoni, più cresci e senza questo non riesci ad arrivare da nessuna parte. Non è che abbia dovuto vendere mia madre per farlo, ma soprattutto nel periodo in cui ho registrato il disco, ho capito che se non si è più che motivati e vuoi fare questo oppure molli e sei tu che scegli di farlo. Tu scegli se andare avanti o fermarti ed è tutto sulle tue spalle.
IR: tornando al discorso musicale ad esempio Che Strano Umore o Farsi Male hanno dei testi che vanno nella stessa direzione ma musicalmente sono molto differenti: non scegli il tipo di musica a seconda di quello che vuoi dire?
G: no poi spesso nascono diversi da come vengono fuori dopo. Il risultato finale è frutto di confronto e ripensamenti. Farsi Male è nato come pezzo elettronico e poi risuonato tre volte ci ha convinto che la strada era un’altra, abbiamo tenuto solo la linea vocale ed è venuto bene così. Altri brani come Non ballerò che è proprio una ballata è nata e rimasta in questo stile. Oppure Io torno a casa l’avevo scritta come una ballata ed è diventata altro.
IR: Negli ultimi anni e soprattuto nel 2016 in Italia si sono aperte tante strade per le voci alternative femminile (Giungla, LIM, Joanna Thiele, Verano…) sai darne una spiegazione? Ti senti parte di una sorta di movimento?
G: sicuramente è bello andare in giro e trovare altre ragazze che fanno quello che fai tu. Ad esempio Giungla l’ho conosciuta da pochissimo ed ha una presenza scenica e un talento davvero notevoli. Sale sul palco sola con la chitarra e con questi capelli che volano ovunque e se la suona dall’inizio alla fine, veramente coinvolgente. Ci sono sì diverse ragazze ma c’è ancora molta divisione per parlare di una vera ‘scena’ musicale. Sarebbe comunque pesante e anche con poco senso. Mi ritrovo di più vicina a gruppi come i Fast Animals and Slow kids che a Levante, ma proprio per quello che facciamo poi. Ti posso dire che c’è sicuramente più invidia tra gli uomini che tra le donne, almeno musicalmente parlando (ride ndi). Poi siamo poche e quelle che arrivano si devono fare doppiamente il culo e devono avere veramente qualcosa da dire non solo provarci. C’è molto sessismo nella musica, quello sì.
IR: E’ lo stesso che è saltato fuori parlando con Adele degli Any Other. Tu come lo affronti?
G: con Adele mi è capitato di confrontarmi su questa cosa, lei è molto schierata, io un po’ meno ma nel senso che cerco di preoccuparmene meno. Poi quando ti capita il problema in concreto lo affronto. Ad esempio: serata tutta al femminile con una che fa folk, una rock e una elettronica e ti domandi che senso ha? Oppure al checksound e trovi quelli che ti vogliono collegare tutto loro perché pensano che tu non sia capace. Questo dà molto fastidio. Oppure anche cose del tipo: vuoi trovarmi una data o portarmi a letto? E purtroppo mi è successo anche se io cerco di non partire prevenuta, in quel caso la data se la possono tenere con tutto il resto. Il problema è che a parte arrabbiarmi, mi fa dubitare di me stessa: ho talento o è solo perché sono una ragazza carina c’è un tipo di interesse? Penso sempre a quello che ha detto PJ Harvey “cerco di non preoccuparmi di essere donna nel fare musica”. Poi è bello quando vengono dei ragazzi a dirti che si ritrovano in qualche pezzo e lì ti dici: è questo che voglio, qui mi sento realizzata.
IR: ho trovato che non tutti i testi siano prettamente femminili, ci sono dei punti di vista condivisibili.
G: sì alcuni hanno dentro molta sensibilità femminile ma guarda Vasco Brondi (Le luci della centrale Elettrica ndi) molto spesso ha dei testi con più sensibilità femminile che maschile. Parlo di immaginario e sensibilità. Spero che poi diventerà una cosa normale e non essere ‘la ragazza che fa rock’. Alcuni si aspettano altro ma insomma “te l’ho detto prima!”.
IR: State facendo molte date trovi sempre un bel riscontro di pubblico o dipende dalle situazioni?
G: persone ce ne sono sempre, è capitato che ce ne fossero poche ma il riscontro è super positivo, non c’è mai stata una sera in cui siamo andati via scontenti. I problemi se ci sono sono a livello tecnico, per il resto come dicevo prima: contro ogni aspettativa. Noi eravamo convinti del discorso che portavamo in giro e però non lo sai come va a finire. La prima data che abbiamo fatto in Santeria a Milano era piena e tutti cantavano i pezzi e noi non ce lo aspettavamo. Abbiamo fatto delle date in Campania, in Sardegna e anche lì tutti che conoscevano i pezzi. Questo ci può dare la misura di quello che noi da dentro non riusciamo a percepire.
IR: quindi non c’è molta differenza per voi suonare a Milano o altrove.
G: ad oggi penso verrebbe meno gente a Milano, avendo già suonato un po’ dappertutto nei dintorni e non puoi pensare che vengano ancora tutti. Ci hanno sorpreso dei ragazzi che sono venuti in trasferta in Emilia oppure ad Avellino tantissima gente che cantava i pezzi! Lo stesso a Roma, molta gente, abbiamo venduto tanti cd e merchandising. Sai non è detto che fuori dalla tua zona tu abbia il seguito che hai vicino a casa.
IR: Cosa stai ascoltando ultimamente?
G: ultimamente non molto a dire la verità. Mi avevano preso molto i pezzi di Mecna, per i testi e le basi soprattutto. E’ tutto molto elettronico. Per il resto faccio fatica ad ascoltare qualcosa, forse è perché sono sempre in giro a fare quello! Figurati che non ho più neanche in iPod!
Grazie a Carlo Garrè e Pierangelo Cantù per la disponibilittà.