Interview: Calliope
Lo scorso 16 maggio è uscito Immagini Sensibili, prima raccolta di canzoni di Calliope, al secolo Giulia Agostini. L’etichetta è Panico Dischi. L’ascolto di questi brani molto interessanti e ricchi di spunti a livello compositivo, sonoro e testuale mi ha generato una serie di domande da mandare via mail alla protagonista. Le risposte sono profonde e significative come la sua musica, che vi invito caldamente a ascoltare.
Presentando il disco, dici che hai iniziato a lavorarci nel 2022. Prima hai fatto qualcos’altro dal punto di vista musicale? E com’è nata la tua passione per la musica e per il fare canzoni?
La mia passione per la musica è nata presto. Avevo sette anni quando mia zia mi regalò la cassetta di Asile’s World di Elisa e ricordo perfettamente lo stupore che provai: fu la prima volta che la musica mi suscitò dei brividi, fu la prima volta che entrai “nella mia bolla”, pienamente in contatto con la mia parte emotiva, e la prima volta che sentii la necessità di ascoltare in loop alcune canzoni. Però ci è voluto molto tempo prima che capissi che era lì che stavo davvero bene, che quella era la mia strada.
Ho cominciato a studiare canto a 18 anni, poi sono arrivati il pianoforte e la chitarra. Ma solo a 23 ho iniziato a mettere insieme tutti i pezzi, a scrivere cose mie. Alcune canzoni del disco sono nate in quel periodo, anche se il lavoro di produzione è cominciato davvero nel 2022.
Prima del covid stavo portando avanti un altro progetto solista, con uno stile musicale molto diverso da quello attuale. Non avevo ancora trovato la mia vera voce, né nella scrittura né nel sound. Ma è stato comunque un passaggio fondamentale, mi è servito a capire cosa non volevo essere, ad avvicinarmi a chi sono oggi, artisticamente e umanamente.
Il tuo primo singolo “Terra” è rimasto fuori dall’album, c’è un motivo in particolare? Forse vedi l’insieme di queste sette canzoni come perfetto così e aggiungerci un altro brano avrebbe portato a un risultato complessivo meno organico?
Il motivo principale per cui il singolo non è entrato nell’album è legato al contesto in cui è nato. È un brano realizzato durante Music for Change, il concorso organizzato da Musica contro le mafie, dove a ciascun artista veniva assegnato un tema — nel mio caso, l’ambiente — su cui scrivere una canzone. Ho scritto e prodotto terra all’interno di una residenza artistica a Cosenza: è stata
un’esperienza molto preziosa, ma il brano ha una genesi diversa rispetto agli altri, che sono nati in un percorso più personale, libero e organico. Alla fine ho sentito che l’album, così com’era, era già completo, e che inserire terra avrebbe rischiato di spezzarne l’equilibrio.
Detto questo, anche se ho deciso di lasciarla fuori dalla tracklist, ho voluto comunque che terra rimanesse collegata al progetto. Come tutte le canzoni del disco, anche lei ha il titolo in minuscolo, perché la terra non è solo il pianeta di cui parlo nel brano, ma anche il principio di ogni cosa, il luogo da cui tutto nasce. Visto che nell’album molte canzoni hanno nomi di piante o fanno riferimento alla natura, mi piace pensare che proprio da terra — che è stato appunto il mio primo singolo — siano germogliate le altre tracce.
Come se terra fosse il terreno da cui è cresciuto tutto il resto.
A tal proposito, noto una forte attenzione nella compilazione della tracklist, con ogni canzone che è nel proprio posto non certo a caso. Ad esempio, trovo molto azzeccata la successione delle prime tre canzoni, con un inizio soft che sfocia in un prosieguo ritmato per poi aumentare l’intensità emotiva. Vuoi dirmi qualcosa su questo aspetto del disco?
Sì, ho prestato molta attenzione alla costruzione della tracklist. Il fatto che il disco abbia avuto una gestazione lunga mi ha permesso di dedicarmi con cura a ogni dettaglio: volevo che il messaggio fosse chiaro, coerente e intenzionale. La sequenza delle tracce non è casuale, è pensata per accompagnare l’ascoltatore in un viaggio, sia sonoro che emotivo.
Mi sono fatta guidare molto dal sound: ho scelto di iniziare in modo più soft, per poi crescere gradualmente in ritmo e intensità emotiva. Con sempreverde, l’ultima traccia, ho voluto chiudere in modo più deciso rispetto all’inizio, ma comunque morbido, come un cerchio che si chiude senza forzature.
Anche a livello tematico c’è un filo narrativo. La prima canzone parla di morte, l’ultima di un’eternità possibile nei sentimenti. Con gli ultimi due brani — erba e sempreverde — arrivo a nuove consapevolezze: in erba c’è la presa di coscienza di me stessa, mentre in sempreverde quella delle mie emozioni e della relazione che vivo con mio marito. Tutto ciò nelle prime canzoni, come zagara o fertili, non c’era ancora. Lì c’era la crisi, la confusione. Alla fine, invece, c’è una forma di equilibrio.
La tua proposta è molto caratterizzata dal suono, dal ritmo e dall’intonazione della voce. Questi elementi quando arrivano nel processo di realizzazione delle canzoni? Sempre nella presentazione, dici che le canzoni partono dal testo e nascono al pianoforte o alla chitarra, e poi come prosegue il processo? Tra l’altro, immagino che il testo debba essere già in metrica, ma poi non ti è mai capitato di renderti conto che fosse necessario cambiare la metrica e quindi parte del testo?
L’idea dell’arrangiamento arriva sempre dopo la scrittura della canzone, che per me nasce quasi sempre da un’urgenza testuale, trasferita poi al pianoforte o alla chitarra. Però, anche se la produzione viene in un secondo momento, spesso mentre scrivo ho già in mente una direzione sonora, una linea ideologica da seguire. Non è mai qualcosa di rigido: mi piace lasciare spazio all’istinto e farmi ispirare anche dalle persone con cui lavoro.
Non sempre ho avuto le idee chiare sulla direzione da far prendere ai brani, e in questo il contributo di Andrea Scardigli e Renato D’Amico è stato fondamentale. Con loro ho trovato il modo giusto per “vestire” ogni canzone, trovando per ciascuna l’abito più adatto.
Per quanto riguarda il testo, sì: parto da parole che sono già pensate in metrica, ma non è raro che, durante il lavoro sulla melodia, sia necessario modificarle. A volte una frase bella può non funzionare musicalmente, e allora mi capita di dover riscrivere per non sacrificare la melodia (cercando sempre di mantenere intatto il messaggio che volevo trasmettere).

Leggo che anche il lavoro sulla produzione è iniziato nel 2022. Quanta evoluzione c’è stata da quando è iniziato a ora? E che contributo hanno dato le persone che hanno lavorato con te a questo aspetto?
Le persone che hanno lavorato con me, come accennavo prima, sono state fondamentali. Senza di loro molti brani sarebbero rimasti troppo “carichi”, meno accessibili. Un esempio è zagara, che inizialmente era stata pensata in una versione molto intensa, solo piano, voce e harmonizer. Poi, grazie a un’intuizione di Renato, il pezzo è stato completamente stravolto: abbiamo intravisto una chiave più chill, più leggera, che ha dato al brano un respiro nuovo.
Anche fertili, all’inizio, non era pensata per avere un ritornello ballabile. Ma poi ci siamo lasciati guidare dall’istinto, e quel cambiamento ci è sembrato naturale, giusto.
La cosa più bella è che abbiamo sempre lavorato così: di pancia e di cuore. C’è stata una grande apertura reciproca, e questo ha permesso al progetto di evolvere tantissimo rispetto all’inizio. Ogni canzone è cresciuta anche grazie agli occhi e alle orecchie degli altri.
Dal vivo come ti proponi? In generale, vedi il live come una sorta di estensione del lavoro in studio o come un ambito nel quale proporre soluzioni diverse rispetto a come il pubblico conosce le canzoni?
Dal vivo ci presentiamo come trio: io alla voce, Andrea Scardigli al basso e synth, e Carlo Peveri alla batteria. Finora il live è stato una naturale estensione del lavoro fatto in studio, cercando di restituire il più possibile l’atmosfera dei brani così come sono nati.
Ma visto che ormai suoniamo queste canzoni da due anni, per quest’estate abbiamo deciso di cambiare un po’ le carte in tavola e portare in giro uno spettacolo diverso, con nuove soluzioni sonore e una scaletta rivista. Non voglio svelare troppo… quindi non vi resta che venire a sentirci per scoprirlo.
Leggendo la presentazione mi ha colpito molto il modo in cui hai descritto il periodo tra i tuoi 25 e i 30 anni. “Anni di crescita e di scosse, di fondamenta che crollano e mani che ricostruiscono. Anni di solidificazione, quando scopri di aver sbagliato tutto e vuoi rimediare”. Io di anni ne ho 19 in più di te e rivedo molto il me stesso di quel periodo nelle tue parole. Adesso che i 30 li hai scollinati, senti di essere riuscita a ricostruire e rimediare?
Sì, direi che a molte delle cose che mi affliggevano a 25 anni ho trovato un rimedio. Ma, com’è naturale, ora ci sono nuove montagne da scalare. La differenza è che oggi affronto tutto con uno spirito diverso: ho imparato ad apprezzare la cima anche se il cielo è coperto, e forse proprio per questo riesco a godermi molto di più il percorso.
Se la risposta alla domanda precedente dovesse essere affermativa, ti chiedo altre due cose. La prima è: che peso ha avuto e sta avendo questo traguardo del primo album pubblicato? La seconda riguarda come ti immagini le tue prossime canzoni, visto che i testi di queste riflettono molto, a mio parere, lo stato d’animo da te descritto. Se ora senti di esserti lasciata alle spalle le “fondamenta che crollano” e che quelle di ora sono più solide, pensi che i tuoi prossimi testi saranno diversi?
Pubblicare il disco è stata una vera liberazione. È come se fossi uscita dalla gabbia dorata della mia camera, dove per anni ho scritto, suonato, registrato, custodendo tutto in una dimensione intima e protetta. Condividerlo con il mondo ha significato espormi, certo, ma anche riguardarmi con occhi nuovi. In qualche modo, pubblicare questo album è stato come riconoscere la persona che sono diventata.
Per quanto riguarda il futuro, sì, credo che i prossimi testi saranno diversi, perché sono cambiata. Se prima scrivevo da un luogo di crisi e trasformazione, oggi mi sento più stabile, più centrata. Alcune tematiche però torneranno sicuramente, forse con uno sguardo nuovo, con un linguaggio diverso, ma continueranno ad abitare le mie canzoni. Alla fine scrivo sempre partendo da me e da ciò che vivo, quindi ogni nuova fase della vita può aprire porte inaspettate.