Interview: Be Forest

INTERVISTA DI GIUGNO 2014

All’inizio dell’anno i Be Forest hanno pubblicato, via WWNBB, il loro secondo LP, ‘Earthbeat’, che ha ottenuto buoni riscontri anche al di fuori dei confini italiani. La band di Pesaro, che ha di recente aggiunto un nuovo elemento, Lorenzo Badioli, in questi ultimi mesi ha girato la nostra penisola prima e ha suonato anche in giro per l’Europa poi, per promuovere il proprio sophomore. Noi di Indie-Roccia.it li abbiamo intervistati all’Hana-Bi di Marina Di Ravenna, poco prima del loro concerto al Beaches Brew Festival, l’importante rassegna gratuita sulla spiaggia, che quest’anno ha visto la partecipazione di band incredibili come Neutral Milk Hotel, Lee Ranaldo And The Dust, Cloud Nothings e Suuns.

Indie-Roccia: Ciao, per prima cosa vorrei chiedervi quando avete iniziato a suonare insieme e come si è formata la vostra band.

Nicola Lampredi (chitarra): Abbiamo iniziato nel 2010. All’inizio eravamo solo io e Costanza, abbiamo fatto qualche prova insieme perché volevamo realizzare qualcosa. Abbiamo cominciato usando una drum-machine, ma poco dopo abbiamo capito di aver bisogno di un’altra persona, perché non ci piaceva come stavano andando le cose, quindi abbiamo chiamato Erica, che già conoscevamo. Ci siamo trovati subito bene, il primo EP è uscito ad agosto e poi, a settembre, un mese dopo l’uscita dell’EP, ci ha contattato la WWNBB, con cui abbiamo pubblicato il primo album a marzo 2011. Poi tour su tour, sia in Italia che in Europa, il tour insieme ai Japandroids e ora siamo arrivati qua al secondo album.

Parliamo proprio di ‘Earthbeat’: quanto siete cambiati rispetto al vostro debutto? Quali pensi siano le differenze più evidenti rispetto a ‘Cold’? Quanto vi ha influenzato l’entrata di un nuovo elemento (Lorenzo Badioli, synth) nella scrittura delle vostre canzoni?

N.L.: Sicuramente il sound è più pieno, è meno minimale. C’è sempre quella vena minimale, però il sound è più ricco. Il suono è molto meno freddo e scuro rispetto a ‘Cold’ che, come dice il nome, era superfreddo. Sicuramente una delle differenze più importanti è l’aggiunta di un quarto elemento, che ha aiutato molto nella realizzazione del disco, che risulta molto più caldo e più luminoso rispetto al primo.

La voce di Costanza è comunque sempre melodiosa e morbida.

N.L.: Sì, sì, assolutamente. Molte cose sono rimaste le stesse, sono cambiate leggermente.

Costanza Delle Rose (voce, basso): E’ naturale. Sono passati diversi anni.

N.L.: Dal primo al secondo disco c’è stata un’evoluzione.

C.D.R.: Siamo più maturi. Per il primo album è stata la prima volta che suonavamo tutti e tre insieme, alcuni di noi prendevano in mano uno strumento per la prima volta, in sala prove era tutto molto più veloce. Invece, con il secondo, la costruzione dei pezzi è stata più ragionata.

Ci avete lavorato sopra di più?

N.L.: Sì, è venuto più naturale, ma è stato più ragionato.

Erica Terenzi (batteria): La maggior consapevolezza porta maggior lavoro sui pezzi, cioè cercare di arrotondare gli spigoli che magari si sono creati all’inizio con l’aggiunta di un quarto elemento, abbiamo cercato di riamalgamare tutte le canzoni, sicuramente è stato un lavoro più di fino.

N.L.: L’album puo’ essere piaciuto oppure no, ma secondo noi è riuscito a stupire un po’ quelli che avevano apprezzato ‘Cold’. E’ abbastanza diverso, avevamo un po’ paura di spiazzare forse un po’ troppo, ma è andata bene così.

Nicola, tu hai suonato insieme ai Brothers In Law in questi ultimi anni: questa sperienza ti ha influenzato in qualche modo nella scrittura di ‘Earthbeat’? Hai preso qualche spunto?

N.L.: No, direi che siano due cose differenti.

Parliamo del tour insieme ai Japandroids nel 2012: che esperienza è stata per voi?

N.L.: Credo sia stata l’esperienza più bella da quando abbiamo cominciato. Il concerto al Covo di Bologna è stato stupendo: lì abbiamo suonato con loro, per la prima e unica volta, ‘I Quit Girls’. E’ stato veramente figo e emozionante. Ogni concerto è stato bellissimo, fosse Budapest o Barcelona, avevi sempre la certezza di avere davanti almeno cinquecento persone. Loro sono persone molto gentili e alla mano, abbiamo fatto subito amicizia, è stato molto divertente. Molto spesso abbiamo fatto anche serata insieme dopo il concerto, quindi è stata una bellissima esperienza. Non ci aspettavamo che una band come i Japandroids potesse chiamare una band come noi, però alla fine ha funzionato tutto.

Parlando del Beaches Brew, cosa vi aspettate da stasera e in generale da tutto il festival?

N.L.: L’anno scorso avevo suonato qui con i Brothers In Law ed era stata una bella serata. Ci aspettiamo che anche oggi sia una bella serata, tanto l’Hana-Bi non delude mai.

Il mese prossimo aprirete l’unica data italiana degli Slowdive a Padova? Cosa vi aspettate? Io li ho appena visti al Primavera Sound di Barcelona e vi posso garantire che sono fantastici.

N.L.: Li ho visti pochi giorni fa a Londra, so benissimo di cosa stai parlando. Non vediamo l’ora.

E.T.: E’ un sogno che si avvera.

Penso che vi invidino in tanti.

C.D.R.: Ne siamo consapevoli. Siamo molto, ma molto felici.

N.L.: Non vediamo veramente l’ora. Sarà sicuramente una bellissima giornata. Durante il tour europeo alcune volte siamo partiti subito dopo il concerto per fare quelle 12 / 15 ore di macchina, è stancante, ma salire sul palco ripaga tutto. Starei in tour perennemente.

Quali band vi hanno influenzato maggiormente nel corso della vostra carriera?

N.L.: Non saprei dirti, sono tante. Per quanto mi riguarda direi le Organ, gli XX, gli Horrors, gli A Place To Bury Strangers, i Wild Beasts, i Japandroids, per il periodo di ‘Cold’. Durante la scrittura di ‘Earthbeat’ ho ascoltato parecchio Melody Echo’s Chamber, poi non ho mai smesso di sentire gli Slowdive. Sono talemente tante!

Come funziona il processo creativo nella vostra band?

N.L.: I pezzi nascono bene o male in sala prove, tutti insieme, facciamo un po’ di jam.

E’ un processo collaborativo, quindi?

N.L.: Sì, assolutamente. Poi quello che ci piace lo teniamo, il resto lo scartiamo. Di solito partiamo da un giro di chitarra o di basso o anche da un beat di batteria, da lì nasce tutto, ci lavoriamo insieme, è un po’ come parlare.

Le parole vengono dopo?

N.L.: Sì, i testi, che scrive Costanza, vengono dopo.

Venite da Pesaro, dove c’è una scena musicale molto interessante e in continua crescita: vi ha influenzato in qualche maniera provenire proprio da quella città?

E.T.: No, perché fondamentalmente quando abbiamo iniziato noi, hanno iniziato tutti. Eravamo tutti agli inizi, se non si vogliono citare i gruppi storici tipo Altro, però è difficile parlare di influenze.

N.L.: No, sicuramente avevamo un po’ tutti gli stessi ascolti, uscendo spesso insieme. Ci conosciamo tutti e siamo stati tutti legati dalla musica e anche gli ascolti erano più o meno gli stessi. Quello ha un po’ influenzato, ma non ci sono state band pesaresi da cui abbiamo preso ispirazione.

Cosa ne pensate di questo importante ritorno del vinile negli ultimi anni? Siete pro o contro?

N.L.: Assolutamente pro. In Europa abbiamo venduto in prevalenza vinili, a differenza dell’Italia, dove si vendono soprattutto cd.

Ultimamente ci sono tanti appassionati: il vinile lo puoi toccare, puoi sentire il suo profumo.

N.L.: Sì, sì. Anche l’artwork è molto più grande, puoi vedere tutto molto meglio. E’ sicuramente un bel oggetto. Credo che prima o poi, a livello di supporti musicali, rimarrà solo il vinile.

Ultima domanda: quale vostra canzone possiamo usare come soundtrack per questa intervista?

C.D.R.: ‘Hideaway’.

[Si ringraziano Jessica Clark di Belmont Booking, Enrico Martinelli, Chris Angiolini e tutto il gentilissimo staff dell’Hana-Bi per la preziosa collaborazione nel realizzare questa intervista.]

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