Interview – Ariù

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Ariù, nome che nasconde in realtà il progetto solista di Enrico Scanu (che aveva già militato in alcune formazioni della Milano-Jazz come i Deaf Kaki Chumpy) che ha di recente pubblicato un nuovo EP dal titolo Nottetempo. Ecco cosa ci ha raccontato!

Ciao Enrico, da dove viene il nome Ariù e che cosa ci racconta di te questo nome?
Ciao a tutti gli amici di Indie-Roccia. L’ origine del mio nome è molte semplice: Ariu è il cognome di mia madre e io ci ho semplicemente aggiunto l’ accento. L’ ho scelto per due motivi principali: il primo è che mi è sempre piaciuto e non ti saprei neanche dire il perchè; è corto, particolare, non molto diffuso e mantiene un legame chiaro con la mia terra di origine che è la Sardegna. Il secondo motivo, che forse è il più importante, è che caratterialmente assomiglio molto a mia madre e utilizzare il suo cognome ha per me un valore molto importante. È come se mi ricordasse chi sono anche quando, nei momenti difficili, perdo un po’ la mia identità.

Come è nato Nottetempo e quanto è stata lunga la sua gestazione?
Nottetempo è nato dall’ esigenza di tradurre in musica qualche momento che ho vissuto negli ultimi anni. Sono per lo più una raccolta di sensazioni legate sia alla mia vita privata che al mio punto di vista su determinate cose legate al mondo esterno. Il lavoro ha avuto una gestazione di circa un anno. Avevo avevo bisogno di fare una cernita tra i brani che avevo tra le mani per sviluppare l’ arrangiamento di quelli che mi sembravano più maturi e significativi.

La tua è una voce che ha un timbro particolarissimo che si avvicina al soul e ad altre aree che non appartengono al pop. Sbagliamo? Hai fatto esperienze anche in quella direzione?
Si, in effetti ascolto molto quel genere. Negli ultimi anni ho studiato la musica jazz e ho cantato il diverse formazioni che fondono un po’ tutti generi di derivazione afroamericana, quindi soul, r’n’b, blues, fusion. In questo senso amo alla follia tante voci del passato come Stevie Wonder, Pino Daniele, Marvin Gaye, Bill Withers, Jeff Buckley e appezzo moltissimo nuovi artisti come Hozier, Paolo Nutini, Jordan Rakei, Daniel Caesar e gli italianissimi Ghemon e Mahmood.

Parliamo anche del video di Cose Nuove, che attinenza ha col brano?
Il videoclip di “Cose nuove” è stato un unione di intenti tra la mia musica e le idee di Luca Nistler (regista) e Paolo Ermanno (movement director). Volevamo raccontare una storia diversa, lontana da idee troppo didascaliche. Tutto è partito dal fatto che la canzone parla di amore e attesa. Ci siamo fatti guidare dalla musica e per questo abbiamo scelto come cornice quella bellissima realtà che è Casa Verdi, una casa di riposo per musicisti. Ci siamo chiesti quale poteva essere il soggetto che potesse interpretare questa attesa, lo scorrere del tempo attraverso l’ amore per la vita e abbiamo scelto le mani di quei fantastici musicisti che tanto hanno vissuto e tanto hanno da raccontare. Abbiamo pensato che il loro fluttuare libere nello spazio potesse rappresentare al meglio quello che avevo scritto. Una visione poetica, romantica e anticonvenzionale.

E adesso, quarantena permettendo, quali sono i tuoi piani?
In questo momento di surreale stallo sto riflettendo molto. Raccolgo nuove idee ogni giorno. Sto componendo nuovi brani e vorrei prendere una strada un po’ più precisa rispetto a Nottetempo che in realtà è un lavoro molto eterogeneo e stilisticamente slegato. Per ora mi sto concentrando molto sulla musica. Ho abbozzato anche qualche testo ma stare chiusi in casa rende le cose un po’ più difficili.

Cosa ti manca di più di tutto quello che è rimasto là fuori?
Sicuramente il contatto con le persone. Sarò molto banale ma il semplice andare a bersi una birra con gli amici, condividere le emozioni di un concerto, immergersi in una mostra, andare al cinema, fare una passeggiata al parco. Ecco, cose molto semplici ma che oggi purtroppo sono impossibili.

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