Beta Libre: visioni di nuovo cyberpunk
Potenza della lirica direbbe qualcuno… perché è da li che arriva Benedetta Gaggioli, classe ’88 di Pistoia in arte Beta Libre. E se la voce resta un centro nevralgico di questo disco, è vero pure che il classicismo si fa da parte in ogni suo aspetto e lascia posto al punk digitale di tempi nuovi, distopici. “Winter Circle” uscito per Corbellice Records è un pezzo ancora da rifinire con cura, un pezzo da novante dentro la nuova scena futurista italiana.

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Parli di circolarità… che rapporto hai con il concetto di vita e di morte?
Un rapporto sofferto. Sebbene sia affascinata e catturata dalla circolarità della natura, dal susseguirsi delle stagioni e anche dal ciclo mensile che vivo in me in quanto donna… faccio una gran fatica ad accettare la morte di chi mi sta vicino (come nel mio brano “Lost”, che parla proprio di un lutto e della disperazione, del senso di vuoto che mi ha portato) o i cambiamenti importanti che non desideravo. La circolarità è un concetto che mi è caro ma nella pratica non è mai facile abbandonarmi al fatto che tutto scorre e evolve, nasce e muore, spesso sfuggendo al mio controllo.
In che modo il suono e la scrittura parlano di tutto questo?
Intanto il cerchio si apre con l’infanzia (il primo brano del mio album) e si chiude con una improvvisazione post mortem, quindi l’album parla di vita, morte e finisce con una specie di rinascita. Il suono e i temi racchiudono tante sfumature diverse, a volte dolci e intime che cullano amorevolmente e trasportano in altri luoghi (specialmente quando uso l’organo e parlo di infanzia, speranza e malinconia), altre volte violente e oscure, che turbano e scuotono, che vanno a scavare nelle nostre profondità (quando uso i sintetizzatori e parlo di morte, separazione e insicurezza).
Perché le maschere? Perché la rottura di una maschera?
Le maschere sono il nostro tentativo di adeguarci al mondo che ci circonda, quando troviamo uno spazio che ci piace e sposiamo il ruolo che ci permette di inserirci in esso. Non sono una cosa negativa, ma credo che dobbiamo essere in grado di romperle e toglierle, senza lasciare indietro parti di noi, senza rinnegare la nostra unicità e autenticità. Non dimentichiamoci mai la possibilità di ribellarci a ciò che abbiamo scelto o ci è stato imposto, di andare oltre, di evolvere, di essere liberi… è questo che sottintende la mia “Decadence”.
Che poi sempre alludendo al video, l’allegoria di qualcosa di violento che ci si leva da dosso o che ci si incolla addosso… come la leggiamo? O siamo fuori pista?
Spogliarsi di ruoli e maschere, ribellarsi non credo sia un processo semplice e pacifico. È una lotta interiore e spesso anche una lotta con l’ambiente che ci circonda. Mi piace parlare di emozioni violente che ci scuotono e che ci si incollano addosso, sensazioni viscerali che non ci danno tregua finchè non decidiamo di accoglierle e seguire la nuova direzione che ci indicano… infatti in “Matriarchy” parlo di una rivoluzione femminista, in “Nightmare” di una consapevolezza antispecista ed empatica, in “Enjoy” di un modo più libero di vivere relazioni e sessualità, mentre in “Solitude” la solitudine diventa uno stimolo per riscoprire la pace con se stessi. Credo che la chiave sia accogliere dolori e contrasti perchè ci indicano un cambiamento necessario.
Quanta apocalisse c’è nel suono di Beta Libre?
Il mio suono spesso di tinge di oscurità e sconvolgimento, con momenti cyberpunk, distopici, graffianti ed elettronici (grazie ai miei sintetizzatori). Ma a volte è anche intimo, sacro, dolce, che guarda al passato (grazie agli strumenti vintage che ho avuto la fortuna di poter usare, come un organo a transistor e un piano Rhodes). Il mio album è un viaggio lungo e vario durante il quale si incontrano mondi diversi e cangianti. C’è morte e apocalisse, bassi che si rincorrono e modulano, ma c’è anche luce e suoni brillanti, acqua che scorre impetuosa e galli che cantano ricordandoci dell’alba che sta arrivando.