Le scelte dello staff: Vittorio Lauri
Premessa: di fare un discorso per generi non ne sono in grado e non so quanto servirebbe. Ho cercato quindi arbitrariamente di fare una classifica eterogenea in modo da toccare più cose possibili, senza l’obbligo di doverle toccare tutte per forza.
1. Matilde Davoli – I’m calling you from my dreams
2. Iosonouncane – Die
3. Capra – Sopra la panca
4. Any Other – Silently. Quietly. Going away
5. Caso – Cervino
6. Scisma – Mr. Newman
7. Godblesscomputers – Plush & Safe
8. Olso Tapes – Tango Kalashnikov
9. Calcutta – Mainstream
10. Nient’altro che macerie – Hai perso.
La prima della lista è Matilde Davoli, perché I’m calling you from my dreams funziona in maniera esagerata. È un electro dream pop ballabile e etereo, psichedelico e seducente.
Il Teatro degli Orrori, Ministri e Drunken Butterfly han fatto degli album importanti ma troppo didascalici. Che non sarebbe un problema di per sé: oltre ad essere didascalici hanno anche un qualcosa di pretenzioso – e su questo oltre ai dischi basta leggere un po’ di interviste – e quasi irritante (ciò non toglie che Slint e Una donna de Il Teatro degli Orrori siano comunque tra le canzoni più importanti scritte ultimamente, non solo del 2015). Facendo quindi un discorso politico, sono molto più incisivi Die di Iosonouncane e Sopra la panca di Capra, perché riescono a mandare messaggi forti, attuali, senza dover per forza apparire ‘sul pezzo’ e fare la cronaca dal mondo – o peggio ancora la rassegna stampa della propria provincia. Die e Sopra la panca sono due dischi che possono sembrare opposti: il primo racconta la storia universale di un uomo e una donna, il secondo più intimo (anche se Capra non è il primo ad averlo fatto, un disco garage intimo è già in sé una cosa interessante) con tutti i testi in prima persona, descrive momenti e sensazioni della vita di Capra. Ma più che opposti sono complementari. Insieme farebbero un bel trittico con un altro album, uscito quest’anno, politico senza didascalie: Nazienda dei Resurrecturis, sorprendentemente anche disco del giorno su Rockit.it. Nazienda racconta la giornata di un impiegato, affrontando il tema dell’alienazione dal lavoro in maniera dura, senza sconti ne cliché.
Il ritorno di Adele Nigro lo aspettavamo in molti, le Lovecats ci avevano lasciato la delusione per quelle cose a cui ti affezioni immediatamente ma poi da un giorno all’altro non le trovi più. Any Other da un certo punto di vista non c’entra nulla con le Lovecats, da un altro è perfettamente in sintonia. Suoni azzeccati per dieci tracce di indie-rock sincero e sporco al punto giusto – come ha detto Colasanti qui: “Ha senso fare indie rock in Italia, nel 2015, con i Built to Spill come numi tutelari e per giunta cantando in inglese? No, nessun senso. Ed è per questo che mi piace un casino.” Continuando a parlare di band, che siano esordi o quasi, vanno citati anche Erebus dei Moustache Prawn, Giving Up On People dei Pueblo People, Gli Elefanti di Calvino, II di Wolther Goes Stranger. Per quel che riguarda invece i ritorni importanti, sono da segnalare quelli di Scisma, Aucan e port-royal. Che sia piaciuto o meno, è impossibile poi ignorare il doppio volume di Enkadenz dei Verdena.
Di elettronica è uscita parecchia ottima roba (Osc2x, Yakamoto Kotzuga, Vaghe Stelle, Nrec e ben due – due!- album di Go Dugong) ma Plush & Safe è probabilmente il più maturo tra questi lavori. Perché Lorenzo Nada ha preso una strada imprevedibile e difficile, dimostrando ancora una volta il suo valore, ma concentrandosi su aspetti quasi opposti rispetto a Veleno (decisamente più fruibile di Plush & Safe e comunque dannatamente geniale).
Parlando di cantautori (oltre Iosonouncane) quello che mi ha sorpreso di più è Caso. Completamente conquistato da Cervino e da quel modo neanche troppo originale che Andra Casali ha di tratteggiare momenti e personaggi su un tessuto rock di riff, chitarre che si sovrappongono e qualche urletto che non guasta mai. Come cantautori rock vanno citati anche Umberto Maria Giardini con Protestantesima e un altro illustre escluso da questi dieci nomi di cui ci ricorderemo tra qualche anno, ossia Giovanni Truppi con il suo omonimo e brillante album. Così come ci ricorderemo di Mainstream, anche solo per continuare a chiederci se Edoardo Calcutta sia straordinariamente d’avanguardia o solo estremamente paraculo.
Di sicuro non sono paraculi gli Oslo Tapes: la band abruzzese con Tango Kalashnikov raggiunge un livello di ricerca che lascia indietro di molto non solo il loro primo lavoro OT – un cuore in pasto a pesci con teste di cane ma anche tanti altri dischi del genere: Marco Campitelli & co. han fatto una prova di grandissimo coraggio, che merita di diventare punto di riferimento. Tipo i Lush Rimbaud, solo di più.
Rimangono fuori dalla lista degli ottimi gruppi, di cui attendiamo l’esordio sulla lunga distanza, come la rivelazione Erio appena entrato nella squadra de La Tempesta, la promettente pop-band O A K e l’indiegaze sporchissimo dei The Yellow Traffic Light.
Chiude la classifica Hai perso. (V4V come Albedo e Gouton Rouge) dei Nient’altro che macerie, uno dei pochi album belli urlati sofferti emozionanti e sinceri del 2015 che non sia un EP. Perché tra Futbolìn, Regarde e Winter Dust, di roba bella ne è stata prodotta quest’anno.
Aspettando il primo gennaio 2016 per ascoltare i Marnero.