Paolo Benvegnù: un nome da usare al plurale

Come purtroppo sappiamo tutti molto bene, lo scorso 31 dicembre è stata diffusa la notizia della tragica scomparsa di Paolo Benvegnù.

Da subito, si è scatenato un torrente inarrestabile di ricordi e emozioni sotto forma di post su Facebook, un social ormai usato quasi solo da gente di una certa età, l’età di chi ha avuto a che fare con la musica e la persona di questo straordinario uomo e artista.

Se state leggendo queste righe, fate quasi certamente parte di una bolla strapiena di gente che ha avuto l’impulso irrefrenabile di mettere per iscritto quando Paolo abbia significato per loro, e quasi sempre in questi post viene messo l’accento sull’aspetto personale, ovvero quanto è stato bello conoscere come persone sia lo stesso Benvegnù che tutti gli altri fan che andavano ai suoi concerti.

Il rischio, se così lo si può chiamare, è quello che Paolo passi alla storia più per aver creato un vero e proprio mondo attorno alla propria figura che per meriti strettamente musicali, che invece, sono indubbi. È indiscutibile, infatti che prima di ritrovarsi ad amare Benvegnù come essere umano e a trovare affinità con gli altri fan, a quei concerti siamo stati spinti ad andarci grazie alla sua musica, compresa quella fatta con gli Scisma. E siccome concetto come il presenzialismo e la cosiddetta FOMO erano ben lontani dal sentire comune sia ai tempi di Rosemary Plexiglas e Armstrong che quando sono usciti Piccoli Fragilissimi Film e Le Labbra, non si può certo dire che qualcuno fosse lì perché ci andavano tutti, anche perché sì, un po’ di gente ci andava, ma non certo tutti, visto che onestamente non ricordo di aver mai acquistato una prevendita, né per gli Scisma, né per Paolo.

Prima di essere assidui frequentatori delle serate in cui suonava Paolo Benvegnù, o, meglio, suonavano “i Paolo Benvegnù”, siamo stati tutti avidi ascoltatori delle sue creazioni musicali e le abbiamo interiorizzate, accettando di farci trasportare da esse senza condizioni e senza porci domande, senza chiederci quale fosse il messaggio dietro a certe frasi un po’ bizzarre tipo “sublimare l’agreste bisogno di svendere fluidità”, o “stralci di rivista in alba livida nel vento freddo”, o “io so che i treni e le radici scambiano segnali in codice”, o ancora “sento nelle vene lo stupore dei colori primordiali”.

Abbiamo tutti quanti deciso, ognuno per sé, che valeva la pena abbandonarsi a quelle immagini poco nitide ma capacissime a darci suggestioni intense, e così è stato naturale guardarci negli occhi sotto a quei palchi e capire che eravamo tutti della stessa pasta.

Pasta di cui erano fatti sia gli altri Scisma, che i musicisti che hanno suonato con Benvegnù nei suoi vent’anni di percorso a proprio nome, che non vuol dire solista, perché non c’è mai stato niente di solistico (esiste questo aggettivo in lingua italiana? Non lo so ma ci siamo capiti) nell’attività di Paolo. Come fai a saperlo, mi si potrebbe chiedere.

Sui musicisti dei Paolo Benvegnù lo so perché alcuni di loro li ho conosciuti anche di persona, segnatamente nel periodo in cui la band fissa era formata da Guglielmo Ridolfo Gagliano, Luca Baldini, Igor Cardeti e Andrea Franchi; sugli Scisma non posso dire lo stesso, se non aver incontrato Sara Mazo in un paio di circostanze molti anni dopo la fine della band, ma già il fatto che la motivazione dello scioglimento sia stata, semplicemente, “troppo amore” fa chiaramente capire che il trasporto che avevamo noi nell’ascoltare le loro canzoni era, come minimo, lo stesso che avevano loro nel crearle e interpretarle, e anzi, probabilmente ne avevano molto più loro di noi.

Per questo ho sempre trovato particolarmente corretto e bello usare il nome Paolo Benvegnù al plurale: perché lui è stato l’iniziatore, ma se non avesse trovato sul proprio cammino le persone giuste, quelle capaci di catturare non solo il suo modo di fare musica, ma anche di essere come persona, avrebbe fatto molta meno strada e avrebbe coinvolto molte meno persone e certamente non con in modo così totalizzante.

Infatti, quando la formazione citata sopra ha iniziato a perdere pezzi, i concerti erano sempre belli, ma qualcosina mancava, ho ritrovato i Paolo Benvegnù al massimo della forma solo nel concerto di Bergamo dell’agosto 2023, con la lineup ormai consolidata composta dall’unico “superstite” della prima ondata Luca Baldini assieme a Gabriele e Daniele Berioli, Saverio Zacchei e Tazio Aprile.

Si sentiva che, finalmente, si era tornati a quell’unità di intenti dei tempi migliori, a quell’essere un tutt’uno non solo musicalmente, ma anche umanamente, e quindi posso essere più che sicuro che anche questi musicisti siano persone come Paolo e come noi fan, perché non c’è mai stato il vero Benvegnù senza i Benvegnù, quelli sul palco con lui e quelli in platea che lo adoravano e che dopo ogni singolo concerto non mancavano l’occasione per un saluto e quattro chiacchiere.

In definitiva, è vero che nell’espressione dei nostri ricordi la musica sta avendo una parte minoritaria, ma ciò non significa che non fosse fondamentale tanto quanto quella umana. Semplicemente, sul pianeta Benvegnù non c’è posto per una senza l’altra e questo rappresenta un unicum nella musica italiana, ma direi nell’arte italiana tutta. E anche ora che la vita su questo pianeta non vedrà più l’arrivo di nuove creature, noi credo proprio che noi, i suoi abitanti, lo abbandoneremo, ma, dopo che sarà finito questo normale periodo di smarrimento, faremo tutto ciò che potremo per tenerne viva l’idea che ne sta alla base, ovvero che la musica è il miglior veicolo possibile per valorizzare al meglio l’affinità tra le persone.

Lo dobbiamo a Paolo e anche a noi stessi.

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