Scusate il ritardo: dicembre 2024

Portare avanti una webzine amatoriale di musica indipendente non è assolutamente facile. Lo si deve fare nel tempo libero, nei ritagli di tempo dopo il lavoro o lo studio, e lo si fa unicamente per passione. È capitato dunque – e continuerà a capitare specie in realtà come le nostre – che durante il corso dell’anno si siano trascurati dischi particolarmente ben riusciti per pura mancanza di tempo. Con questo articolo cerchiamo dunque di rimediare ad alcune nostre mancanze, consapevoli del fatto che molto è ancora da fare.

di Stefano Bartolotta, Raffaele Concollato

TV Lumière Il gioco del silenzio (2024, I Dischi del Minollo)

Mixato da Amaury Cambuzat (Faust,Ulan Bator), i TV Lumière, band di Ferruccio e Federico Persichini, Yuri Rosi e Marta Paccara, danno alle stampe il loro quinto album, un lavoro che sentito nella sua interezza riesce a sintetizzare il percorso di una storia lunga più di vent’anni.

La band umbra riesce a passare dal folk più estremo(Eppure l’ho persa), alle sonorità del post-rock (Per confortare il tuo pianto), fino agli echi di un cantautorato più profondo (Manifesto) con un atteggiamento che da anni non si riesce più a trovare.

Non manca un incursione nel folk di stampo più americano con Ultima Corsa e la strumentale Mondanità tra post-rock e dark riesce ad ampliare gli spazi di uno spettro sonoro già completo.
Un disco che si dimostra necessario per confermare la solidità di un progetto che meriterebbe molta più attenzione in un panorama troppo pieno di progetti effimeri (RC).

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Lamante – In Memoria Di (2024, Artist First)

Ci dobbiamo scusare in modo particolare per aver totalmente mancato di dare attenzione a questo disco e a quest’artista fino ad ora. Eppure Giorgia Pietribiasi è stata in tour coi CCCP, eppure il suo disco ha sfiorato la Targa Tenco come album d’esordio, però riusciamo ad ascoltare questo splendido album solo ora, ma meglio tardi che mai.

Perché è particolarmente grave non avergli dato una possibilità quando è uscito lo scorso maggio? Perché in queste canzoni c’è tutto ciò che dovrebbe piacere a ogni appassionato di musica e a ogni persona che sa stare al mondo. Ci sono, infatti, canzoni costruite benissimo, con un sound dinamico, stratificato e in equilibrio fra tradizione e modernità; ci sono melodie impeccabili e un’ottima capacità di alternare momenti cantabili ad altri nei quali l’aspetto melodico è più sfuggente e il primo piano viene dato ad altri elementi, come l’espressività vocale e la storia che viene raccontata; c’è una risolutezza che, purtroppo, è merce sempre più rara al giorno d’oggi, con una vocalità che bada molto più alla forza espressiva che non al formalismo; ci sono testi nei quali il concetto di senza filtri e di mettersi a nudo sono spinti su un piano davvero nuovo per il panorama italiano e affermano con una forza non comune concetti che dovrebbero essere normali per ogni essere umano, ma che purtroppo non sempre lo sono.

Lamante potrebbe essere definita la Porridge Radio di casa nostra, e non per una similitudine musicale, ma di attitudine. Non fate il nostro errore e se vi siete persi questo disco finora, rimediate assolutamente (SB).

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I Hate My Village – Nevermind The Tempo (2024, Locomotiv Records)

Il super gruppo di Alberto Ferrari (Verdena), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle) con questo disco, il secondo, confermano il loro ruolo di gruppo (quasi) a tutti gli effetti.

Certo in alcuni casi sembra più una playpen dove ognuna ci butta dentro brani sia con una chiara struttura o totalmente destrutturati e altri ancora sperimentali.

Passare dal singolo Water Tanks lineare, pizzicata e con un chiara linea a Eno Degrado, rumorista, o alla sperimentale Mauritania Twist è un bel passo ma conoscendo la storia di chi sta dietro agli strumenti si può capire che e chi ha condotto le danze di volta in volta.

La vera differenza con il precedente è la ricerca di sonorità originali e spaziare di più attraverso territori non consoni ai gruppi di appartenenza.

L’esempio di un suono che forse sarà il futuro è Jim, un pezzo molto ‘nero’ per il groove e un cantato proiettato verso territori molto interessanti, piacerebbe a Leon Bridges.

Insomma per vedere che destino avrà questa band si dovrà aspettare l’evoluzione e quale parte dei numerosi semi che hanno piantato attecchirà, intanto prendiamo quello che i quattro hanno creato e godiamone (RC).

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Stefanelli – Gentile (2024, Dischi Rurali)

Il progetto quasi omonimo di Luca Stefanelli è da tempo sotto la nostra attenzione, e siamo quindi contenti dell’arrivo di questo primo album.

Il disco non delude le attese e ci consegna un lavoro decisamente catchy e capace di catturare ascoltatori con diversi gusti musicali grazie alla capacità di unire tra loro con gusto e naturalezza stili differenti come il big beat, il trip hop, il pop puramente inteso e il cantautorato.

Ritmiche spesse, atmosfere sognanti e un filino distorte, melodie pulite e testi intriganti si fondono ottimamente in canzoni dai mille spunti e con una forte varietà fin dall’impostazione, tra brani più lineari, altri con cambi e intermezzi inaspettati e efficaci stacchi strumentali.

Davvero un lavoro riuscitissimo che merita di essere ascoltato e vissuto, perché non è solo una raccolta di canzoni, ma fa vivere all’ascoltatore un vero e proprio percorso (SB).

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Generic Animal – Il canto dell’asino (2024, La Tempesta)

Luca Galizia, in arte Generic Animal, dopo quasi tre anni di silenzio termina uno dei suoi lavori più maturi e vicini all’indie-rock, lasciandosi alle spalle tutta una serie di incursioni nella trap che aveva usato negli esordi mantenendo però quegli inserti di elettronica e synth che caratterizzano la sua musica.

Mentre scorrono i quaranta minuti dell’album troviamo sprazzi di Verdena, Venerus, Marta del Grandi (in italiano!) in Karaoke e dove di alternano tra gli altri Arianna Pasini, Jacopo Lietti e Marco Giudici, la mente viaggia tra le immagini e i testi mai così lucidi e quindi Tokyo 20, Stare 1, Bobby Ballad (i TARM! i TARM!) sono tutti brani che farebbero gola ad ogni indie-qualcosa degli ultimi anni e Luca le ha scritte di fila, con una semplicità disarmante.

E’ inutile sottolineare che è un piacere trovare ancora qualcuno che riesca a tirare fuori QUEL suono, QUEI temi che da troppo vengono inquinati e inseguiti senza un vero e proprio risultato.
Disco da ascoltare e riascoltare (RC).

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