Anteprima: Baseball Gregg – Waiting (Streaming) + intervista
Qualche settimana fa i Baseball Gregg hanno annunciato il loro terzo album, Calendar, che arriverà alla fine dell’anno: nel frattempo la band italo-americana pubblicherà una nuova canzone al mese per tutto il 2019, raccogliendole poi in un LP. Oggi abbiamo l’onore di presentare in anteprima il brano di febbraio, Waiting, che vede la partecipazione della giovanissima e talentuosa musicista bolognese Sleap-e (Asia Martina Morabito).
Sam Regan, la parte americana dei Baseball Gregg, ci spiega questo nuovo singolo: “Nel 2012 vivevo a Santa Barbara: mi sentivo parecchio isolato dal punto di vista sociale. Ero ad una serata Open Mic, quando la persona davanti a me ha iniziato ad attaccare bottone. Abbiamo parlato per un’oretta del più e del meno, quando all’improvviso mi ha detto che stava morendo di AIDS. Il ricordo di quella conversazione è un po’ sfuocato, ma da quanto rammento la sua famiglia sostanzialmente lo diseredò quando scoprirono che era gay e aveva contratto l’HIV.
Aveva deciso di ritornare a Santa Barbara, dove era cresciuto, perché c’era uno scoglio specifico che potevi vedere solamente quando si abbassava la marea. Voleva vedere di nuovo quello scoglio prima di morire. Quella stessa settimana scrissi questo pezzo. Il demo del brano è rimasto a prendere polvere nel nostro account di Soundcloud privato per anni, fino a che Luca non ha deciso di riregistrarlo per il febbraio di Calendar. Ha chiesto ad Asia Martina Morabito (Sleap-e) di cantare nella traccia e ha fatto un ottimo lavoro con la produzione. Questa canzone è improvvisamente riapparsa nella mia vita, la marea degli anni ha rivelato un ricordo che è sempre stato nascosto sotto la superficie. I dettagli sono leggermente cambiati, i bordi sono più lisci, erosi dalle correnti del tempo. Ma lo scoglio era sempre lì, aspettando di riapparire.”
Inoltre qui sotto potete anche leggere la nostra intervista – registrata lo scorso dicembre – con il componente italiano della formazione, l’emiliano Luca Lovisetto, con cui abbiamo parlato del recente Sleep, pubblicato lo scorso agosto, ma anche della particolare storia di questa band, della Barberia Records di Modena, del nuovo progetto Calendar e perfino del noto regista tailandese Apichatpong Weereasethakul. Ecco cosa ci ha raccontato:
Ciao Luca, benvenuto sulle pagine di Indie-Roccia.it. Per prima cosa ci puoi raccontare in breve come è iniziato il vostro gruppo?
Luca Lovisetto: I Baseball Gregg hanno una storia abbastanza peculiare, nel senso che io e Sam ci siamo conosciuti grazie alla mia fidanzata, che all’epoca (2013) studiava matematica. Durante la prima lezione dell’anno accademico le si avvicina questo ragazzo americano, che non aveva capito una parola di ciò che stavano spiegando e dubitava di essere finito al corso giusto. In effetti doveva frequentarne un altro, ma si era sbagliato. Poi hanno chiacchierato e Sam ha raccontato che era arrivato a Bologna da poco tempo e non aveva ancora amici. Dopo aver passato la pausa pranzo insieme, al pomeriggio la mia ragazza lo ha invitato a vedere un film: anch’io sono uscito dall’università (ai tempi studiavo medicina) e siamo andati alla cineteca a vedere Bling Ring di Sofia Coppola. Alla sera siamo andati a mangiare una pizza insieme e Sam mi ha raccontato di avere una band negli Stati Uniti e anche io ne avevo una qui in Italia (Absolute Red). Abbiamo parlato di band che ci piacevano e di conoscenze comuni. Lui proviene da Stockton, California e allora io ho citato due band locali, i Pavement e i Craft Spells, che sono nostri coetanei. Loro pubblicano i loro dischi per la Captured Tracks. Ho scoperto che Justin (Vallesteros, titolare del progetto) è uno dei suoi migliori amici. Da lì abbiamo iniziato ad approfondire il discorso, visto che abbiamo scoperto di avere gusti in comune. Da quella conversazione è nata un’amicizia che è durata tutto l’anno. Lui ha fatto una sorta di Erasmus internazionale – si chiama Overseas – in cui gli studenti statunitensi possono venire per un semestre o due a studiare in Italia. Sarebbe dovuto rimanere fino a gennaio, ma si è trovato talmente bene a Bologna, che ha prolungato il suo soggiorno fino a maggio. Questa è stata la nostra fortuna, perché in questi mesi in cui non doveva studiare, aveva molto tempo libero. Gli ho prestato la mia chitarra per scrivere delle canzoni. Ci ha contattato Enzo Baruffaldi, che aveva chiesto alla mia band dell’epoca di fare una canzone di Natale, e allora gli ho proposto anche di ascoltare Sam e ha preso questo pezzo, Santa On The Bleach, il primissimo che aveva registrato. L’abbiamo registrata in un pomeriggio in camera mia ed era più o meno Natale 2013. Nei mesi successivi abbiamo scritto qualche canzone insieme e deciso di registrare una cassetta. A maggio, poco prima che lui partisse, stavamo cercando di organizzare un concerto per dare ai nostri amici questa cassetta, ma non abbiamo trovato nessuno che ce la stampasse. Abbiamo chiesto aiuto a degli amici e Jonathan Clancy mi indirizzo al suo socio di allora negli A Classic Education, Luca Mazzieri, che, insieme a Giovanni Papalato, ha un’etichetta che si chiama La Barberia Records. Quindi mi disse di chiedere a loro dove si fanno stampare le cassette. Mandai una mail a Luca e Giovanni per chiedere appunto dove le stampavano e Giovanni si offrì di stamparle lui, visto che gli piacevano molto le nostre canzoni. Il giorno prima di partire ci siamo trovati allo Juta Café di Modena con Luca e Giovanni e una nostra amica californiana e ci siamo presentati. Sam è ritornato negli Stati Uniti e ognuno di noi ha continuato a lavorare sui propri progetti, ma a settembre, in occasione del Cassette Store Day, è uscito il nostro primo EP. Noi non avevamo in progetto di fare altri dischi e nemmeno dei live, ma Giovanni credeva molto in questo nostro gruppo e ci chiese di fare un concerto di presentazione della cassetta a Modena nell’ex negozio di barbiere di suo padre. Quindi abbiamo suonato lì e in contemporanea anche a Stockton: ovviamente abbiamo dovuto coinvolgere dei nostri amici, che facevano i turnisti. Da lì è nata questa idea non premeditata di fare le due band in parallelo. Abbiamo continuato a suonare, io in Italia, lui negli Stati Uniti e poi ci incontravamo durante l’estate e preparavamo nuove canzoni. Anch’io sono andato in California per registrare Vacation, mentre lui è venuto qui per Sleep. La prima cassetta è nata come un ricordo per gli amici, più che qualcosa che doveva essere ascoltato anche da altri.
Ti volevo proprio chiedere di questa dinamica delle due band che possono coesistere in contemporanea.
Ora le cose sono un po’ cambiate rispetto ad allora: una volta facevamo semplicemente le canzoni come erano nel disco, poi nel corso degli anni hanno preso delle fisionomie un po’ diverse. Io ho suonato sia in quella americana che in quella italiana e ti posso dire che ci sono alcune differenze. Qua in Italia suoniamo con una formazione a tre – chitarra, basso e batteria – e, volenti o nolenti, facciamo una sorta di arrangiamento indie-rock, lo rendiamo più guitar-oriented, soprattutto rispetto all’ultimo, che ha delle sfumature più tranquille, più ambient. In America hanno una formazione a cinque, hanno anche la tastiera e fanno un sound più fedele (rispetto al disco) e un po’ diverso rispetto al nostro. I componenti delle formazioni durante gli anni sono un po’ cambiati, perché ognuno aveva i suoi progetti e altre band: il concetto, però, è sempre stato quello di avere una sorta di ancora nella propria città in cui continuare a suonare, mantenendolo separato dal duo, che, invece, non ha un luogo specifico. Ogni tanto lavoriamo a Bologna, altre volte da lui a Stockton: probabilmente la nostra band risiede nell’internet perchè ci scambiamo sempre i progetti online e parliamo spesso in chat e quindi il luogo dove nasce la musica è la rete.
Un’altra cosa che ti volevo chiedere era quelle delle vostre due città, Stockton e Sasso Marconi (o Bologna): pensi che possano avere avuto qualche influenza all’interno della vostra musica?
Credo di sì. Per Sam il fatto di essere cresciuto in una città come Stockton, che ha avuto negli anni della sua adolescenza una forte scena musicale – prima citavo Craft Spells. C’era una scena molto forte e anche la stessa band di Sam fece diversi tour della West Coast. Questo sicuramente lo ha influenzato e, se fosse nato altrove, avrebbe fatto un altro genere di musica o non si sarebbe nemmeno appassionato a essa. In quegli anni Stockton era terreno molto fertile. Posso dire la stessa cosa anche per Sasso Marconi. Quando ero più piccolo ho incominciato a suonare perché ho visto dei ragazzi più grandi che frequentavano una sala prove del luogo, Casa Papinsky, dove, senza soluzione di continuità, ci potevano essere band un po’ più grandi di noi come Le Altre Di B, oppure delle star più affermate come Nico Royale, che al tempo era una piccola star del reggae. Al di là dei generi c’erano davvero tante band che suonavano e, se ho iniziato a suonare, era proprio per sentirsi parte di questa scena. E’ stato più uno stimolo che mi ha fatto iniziare a suonare e non le influenze musiciale. Quelle invece hanno preso altre strade. Sicuramente, però, vedere delle persone suonare o anche dei concerti, in un piccolo paese come Sasso Marconi, è stata un’influenza forte per decidere di cominciare.
Parlando del processo creativo mi dicevi che lavorate via internet, vi vedete in chat e vi scambiate i file con Wetransfer.
Sì, ma in alcuni casi registriamo anche una canzone da zero in presenza dell’altro e poi in seguito l’altra persona la arrangia. Tendenzialmente, però, capita magari che io scrivo una melodia e gli accordi di un pezzo, poi mando una base ancora abbastanza grezza a Sam e lui ci costruisce l’arrangiamento e viceversa. Cerchiamo di non interferire l’uno con il songwriting dell’altro, però poi le arrangiamo a vicenda, le mixiamo l’un l’altro. Credo che questo crei una sorta di unità. E’ un grande atto di fiducia abbandonare una canzone che hai appena scritto nelle mani di un altro. Negli anni abbiamo anche capito come relazionarci da questo punto di vista e credo che la distanza possa anche aiutare. Magari i tempi sono più lunghi perché a farle dal vivo ci metteresti un pomeriggio, mentre così ci puoi impiegare anche dei mesi, ma allo stesso tempo dà molta soddisfazione.
Quindi in un certo senso puo’ essere il simbolo del rispetto e dell’amicizia che c’è tra voi due.
Sì, certamente. Credo che la band sia stata un’ottima scusa in questi anni per coltivare un’amicizia che dura tuttora. Ci sentiamo ogni giorno e più volte al giorno. Se non avessimo avuto la band non credo che, dopo cinque anni, avrei mantenuto rapporti così frequenti con Sam. Ho anche altri amici californiani, che erano anche loro qui a Bologna a studiare, ma ora li sento solo un paio di volte all’anno. Con il fatto della band siamo davvero diventati migliori amici e penso che sia la cosa più importante di questa nostra avventura.
Parlando dei testi di Sleep, di che cosa trattano? Da cosa siete stati ispirati – almeno per quanto riguarda le canzoni che hai scritto tu?
Sleep ha una genesi molto particolare. Sam ha avuto l’idea di creare un concept album, ma inizialmente doveva essere un visual album. Voleva creare una sorta di film la cui colonna sonora doveva appunto essere questo album. In seguito il regista che doveva realizzare questo film si è laureato all’Università del Cinema ed è andato a vivere in Canada, quindi il progetto è sfumato, ma l’album è rimasto. E’ un concept che ha partorito Sam ed è un percorso che parte dal tramonto e arriva fino all’alba. Segue quest’uomo di mezza età, che è un professore a scuola, ha una famiglia, dei figli, è una persona che dall’esterno si puo’ dire affermata o comunque arrivata, che però soffre di tanti piccoli problemi interiori e di non accettazione. Questo viaggio nella notte è una sorta di viaggio metaforico attraverso l’accettazione di se stesso ed è scandito dalle canzoni. Basta leggere i titoli, si parte dal tramonto e si arriva all’alba e ci sono varie fasi della notte che corrispondono alle varie fasi della vita di questo personaggio e anche di quelle del passare dal conflitto interiore all’accettazione di quello che si è. Era qualcosa che era già presente nelle canzoni, anche in quelle che avevo scritto precedentemente io, pur non conoscendo questo concept. Paradossalmente sono entrate nell’album anche senza adattarle o senza dover cambiare il testo. Una canzone come Yo Tengo, quella in spagnolo, che avevo scritto molto prima che Sam mi parlasse di questo progetto, è un brano che si infila perfettamente nel fil rouge tematico dell’album e nell’inquietudine di questo personaggio. Anche un altro pezzo scritto da me, Gemini, prosegue molto bene nel discorso del disco. E’ un LP molto intimista e parla in prima persona di questo personaggio e della sua nottata travagliata. Se uno legge i testi c’è sempre il mare che torna perché ci piaceva dare una certa continuità con il disco precedente, Vacation, dove spesso si sentiva il mare, anche come suono di sottofondo. Era importante creare questa sorta di soundscape sonoro in cui proseguiva la narrazione del mare.
Il personaggio a cui vi riferite è qualcuno di veramente esistente o puo’ essere chiunque di noi o comunque qualcosa di più generale?
Senza dubbio questo personaggio è ispirato a noi, sebbene né io né Sam siamo questo personaggio. Le canzoni che uno scrive finiscono inevitabilemente per essere una sorta di sfogo, vanno ad attingere dal nostro vissuto e dai nostri ricordi. Se c’è una persona a cui sono ispirate le vicende, quelli siamo sicuramente noi, sicuramente Sam, che ha creato questo concept e a cui vanno dati i meriti per la linearità della narrazione.
Poco fa hai citato la vostra canzone in spagnolo, Yo Tengo. Volevo chiederti come è nata la decisione di scrivere una canzone in quella lingua.
E’ una canzone che è nata in spagnolo. Questo mio grande amico, David, che ora vive in Francia, all’epoca abitava in Spagna ed era anche fidanzato con una ragazza spagnola: io avevo iniziato a imparare lo spagnolo e questo era un tentativo di sperimentare con un’altra lingua. Lui e Fatima, la sua ragazza, mi hanno dato una grande mano nello scriverla. In realtà avevamo scritto anche una canzone in francese, ma non è poi entrata nell’album e anche Saudade, la canzone che chiude Vacation, originariamente doveva essere in portoghese. Ci è sempre piaciuto molto sperimentare con le lingue. Certamente l’inglese è un linguaggio più fruibile da tutti, ma allo stesso tempo magari non è così importante per tutti capire perfettamente capire i testi. Anche nell’EP uscito dopo Vacation, Ciao For Now, c’è un verso cantato in italiano da Setti. E’ un disco che è stato ascoltato molto di più fuori dall’Italia, stando alle statistiche di internet, ma questa cosa non ha dato fastidio. Il linguaggio, italiano o spagnolo, è un pretesto, è un mezzo per raccontare delle storie.
Parlando del vostro sophomore, Sleep, uscito lo scorso agosto, c’è un significato dietro a questo titolo?
Oltre al fatto che c’è anche una canzone con questo titolo all’interno del nostro album, il titolo è una metafora e dà l’idea che il protagonista stia dormendo e stia sognando. Lui sogna di andare al porto, prende la macchina e va dove deve andare, ma in realtà potrebbe essere anche una notte travagliata. Volevamo fare un album notturno e quindi Sleep ci è sembrato essere il titolo perfetto per questo tipo di narrazione.
In questi due anni tra l’uscita di Vacation e quella di Sleep, oltre ad aver pubblicato l’EP Ciao For Now, cosa è successo? Hai qualcosa di particolare da raccontare?
Vacation lo abbiamo registrato nel 2015 in California e in quella occasione ho avuto anche l’opportunità di conoscere i suoi amici. Nel 2016 Sam è venuto in Italia e nel 2017 è ritornato per registrare Sleep e nel 2018 l’abbiamo finalmente pubblicato per un’etichetta slovacca che fa cassette che si chiama Z Tapes e ovviamente per La Barberia Records. Adesso stiamo lavorando come al solito su dei pezzi a distanza. Prossimemente saremo in tour insieme: quest’estate siamo stati in tour qui in Italia – abbiamo fatto dodici date in agosto per presentare il disco – e a marzo ci ritroveremo a San Francisco e poi scenderemo verso Austin, dove suoneremo al SXSW. All’inizio ci avevano segnato come band degli Stati Uniti. Gli organizzatori si sono interessati al fatto che fossimo italo-americani. Non sono mai stato lì, ma sono interessato a vedere come sarà.
Tornando a Sleep, se parliamo delle vostre influenze musicali, dove dobbiamo andare a cercarle?
Per quanto riguarda Sleep, credo che Sam sia stato quello che ha dato il maggiore tocco produttivo all’album, è lui che ci ha indirizzato verso un determinato tipo di suono ed è lui che ha dettato le linee guida soniche. Credo che, dal punto di vista del suono, molti ascolti che lo possono aver influenzato e che sicuramente sono stati fondamentali per questo album sono quelli di dischi ambient che si possono trovare poi su pezzi come Insomnia o Sunset o Shine So Bright, cioè in questi momenti più calmi e meditativi del disco. Tutto questo deriva dal fatto che (l’album) nasceva come soundtrack e quindi questi dovevano essere dei momenti di accompagnamento a un’immagine. Nel momento in cui l’album è diventato un racconto, sono stati funzionali al lavoro in sé. Il disco è stato sicuramente influenzato molto da tutto ciò che abbiamo fatto in precedenza. Citiamo quasi gli Yo La Tengo nel titolo di un brano e non lo facciamo a caso, nel senso che è stato una sorta di Easter egg che abbiamo nascosto. Poi ci sono i soliti nomi tutelari: magari in brani come Welcome The Night citiamo Brian Wilson, mentre in uno come Gemini ci riferiamo a dei classici degli anni ’80 a partire da Robert Smith. Un grande album che credo ci abbia influenzato molto anche dal punto di vista sonoro è quello delle Strawberry Switchblade per quanto riguarda il sintetizzatore AR1, che abbiamo usato in tutto il disco. Rimanendo in Scozia, direi che ci abbiano influenzato anche quei gruppi dei primi anni ’80 dal suono synth-pop molto malinconico. Poi il funk-pop giapponese, che era già presente anche in Vacation, artisti come Eiichi Otaki, Yellow Magic Orchestra: quella è sicuramente l’influenza maggiore rimasta dal nostro primo LP. I primi lavori di Sakamoto pop, la lettura giapponese dei Roxy Music e della scena rock-glam. So che ho risposto in maniera molto vaga, ma noi ascoltiamo veramente di tutto, dal pop mainstream agli ascolti più oscuri e introvabili, quindi è molto difficile trovare una linea guida comune.
La cover del disco è stata realizzata dal regista tailandese Apichatpong Weereasethakul, che ha vinto la Palma D’Oro al Festival di Cannes nel 2010. Volevo chiederti come è nata questa collaborazione e come avete fatto a entrare in contatto con un personaggio che comunque è importante nel mondo del cinema.
Me lo chiedo anche io. E’ stato davvero un gran colpo. Non me lo so ancora spiegare a distanza di diversi mesi. Lui è un regista, ma soprattutto è anche un visual artist. Si è occupato di molte mostre, ha fatto tantissimi lavori per le gallerie. Io l’ho conosciuto nel lontano 2011, mentre ero in vacanza a Dublino e ancora non sapevo che fosse un regista. Mi sono imbattutto in una mostra di Apichatpong Weereasethakul al Museo di Arte Moderna di Dublino e mi innamorai di quella sua visione molto notturna. Tra le tante foto vidi quella di quei due ragazzi, di cui uno al neon, che si vede nella copertina del nostro disco. Comprai una cartolina ricordo e l’ho incorniciata e poi l’ho tenuta in camera per tutti questi anni. Anche quando registravo l’album e mentre lo mixavo avevo sotto gli occhi questa immagine che avevo preso a Dublino. Mi sono reso conto che quei due ragazzi potevamo essere io e Sam, anche se ovviamente non lo eravamo. Ho provato a mandare una mail. Anche in passato eravamo stati fortunati: per esempio, prima dell’uscita di Vacation mandai una mail a Gregg Popovich, un allenatore dell’NBA, per dirgli che il nostro nome era dedicato a lui e mi rispose. Fu una notizia che fu ripresa su internet e finì anche in televisione. Anche Apichatpong ci ha risposto. Abbiamo firmato un contratto di licenza. Chiaramente abbiamo pagato una cifra simbolica, garantendogli che era per un numero limitato di copie, che non abbiamo uno scopo di lucro e che siamo una band molto piccola. Ha voluto ascoltare l’album e gli è piaciuto molto. E’ stato davvero gentilissimo. Una volta realizzata la copertina ne ho mandato una copia in Tailandia e lui ha fatto una foto e l’ha messa su Twitter e ci ha pubblicizzato. Credo che lui sia uno dei cinque più grandi cineasti del mondo, anche per il mondo della critica più esperta.
Parliamo della tua attività a Radio Città Del Capo e del tuo programma Cotton Fioc, che mi pare sia abbastanza seguito a Bologna. So che fai molte interviste, passi tantissime canzone e fai anche qualche piccolo live all’interno dello studio. Hai qualche band che ti ha colpito particolarmente o qualche ricordo che vuoi condividere o magari qualcuno che puo’ eventualmente averti influenzato in qualche maniera?
Ho iniziato a fare il programma alla radio quando il disco era già finito, quindi, se ci saranno delle influenze, magari saranno nei prossimi album. Ho incontrato tanta gente che mi ha colpito per la sua gentilezza e per la sua umiltà e ho capito nel corso del tempo che spesso la comprensione e la grande umanità è direttamente proporzionale alla fama: ci sono artisti sconosciuti o esordienti che magari non hanno tempo per rispondere alle tue domande o ti trattano con sufficienza perchè non sei su una radio importante, ma ho anche incontrato certi titani della musica che si sono mostrati molto gentili e saggi. Tra questi ti posso citare Arto Lindsay, che conoscevo da quando ero molto giovane: per me è un gigante della musica per come ha saputo attraversare qualsiasi genere e distruggere qualsiasi tipo di preconcetto e di barriera musicale. Quando l’ho intervistato, mi si è presentata davanti una persona con una enorme cultura musicale e di grandissimo tatto anche sul presente: è capace di citarti dall’ultima sensazione pop o trap dagli Stati Uniti a dirti che la musica del futuro non sarà più musica, ma sarà solamente la scienza del rumore perché si liberalizzerà anche il rumore. E’ una persona avanti trenta anni. Come lui ce ne sono stati anche tanti altri. Più che influenzarmi musicalmente, mi hanno colpito e mi hanno influenzato con il proprio lavoro. Sin da piccoli qui in Italia siamo abituati a sentirci dire che i lavori nel campo della musica non sono dei veri lavori, ma più degli hobby. Questa è una cosa che è traslata su tutti i campi, sia per chi la musica la fa, sia per chi scrive di musica, per chi fa la radio, chi organizza i concerti. Conoscendo i grandi, o comunque persone che hanno fatto delle scelte, ho realizzato per la prima volta nella mia vita che non è necessariamente così: si possono fare determinate scelte e non si è condannati a fare delle cover band come il pubblico italiano sembrerebbe talvolta volere. E’ stata una cosa molto formativa, mi ha davvero insegnato molto.
Sleep, come dicevamo prima, è stato pubblicato da Z Tapes e La Barberia Records ed è uscito in vinile e in cassetta, che sono due formati tornati molto forti negli ultimi anni dopo parecchio tempo.
Per quanto mi riguarda, le cassette non sono mai tramontate perché fino a un anno fa ho avuto una macchina che aveva solo le cassette, quindi ne ho consumate tantissime. Anche quando andavo ai concerti compravo sempre quel formato. Per quanto riguarda il vinile, ci faceva piacere avere il nostro album su quel formato per avere una copertina più grande e per avere un disco più importante. Non sono però cresciuto con la cultura del vinile. Da piccolo sono cresciuto con i cd e sono stato sempre molto affezionato a quel formato. Ogni nostra pubblicazione la puoi trovare in cassetta. Il vinile è un mercato che è esploso e ci sono dei tempi molto lunghi per stamparlo, però sono soddisfatto perchè suona bene.
Cosa ci puoi dire della Barberia Records, la vostra etichetta? Giovanni Papalato e Luca Mazzieri, oltre a essere due persone stimate, mi pare che abbiano un certo modo di lavorare e stiano aiutando a crescere anche delle realtà locali, come credo sia giusto. Tu come ti sei trovato con loro? Cosa ne pensi di quello che fanno?
Come ti accennavo prima, se non ci fosse stata La Barberia Records, non sarebbero nemmeno esistiti i Baseball Gregg. I Baseball Gregg nascono da quella e-mail a cui Giovanni mi rispose, proponendo di realizzare i nostri pezzi, che li erano piaciuti molto. Se era per noi non avremmo mai proseguito. Di fatto La Barberia ci ha cambiato la vita. Questo non lo dimenticheremo e anche loro sanno di essere stati importanti per noi. Setti e anche altre band che lavorano con loro ti potrebbero dire la stessa cosa. Loro non sono un’etichetta classica, cioè quella che ti produce il disco e si aspetta un ritorno economico e ti gestisce l’ufficio stampa: loro sono molto amatoriali, ma sono delle persone fantastiche. Io la definisco come un’etichetta “boutique”: loro hanno pochi pezzi, ma li coccolano e li gestiscono quasi come se fossero dei figli. C’è un grande rapporto umano con loro, tanta sincerità e hanno anche grandissime conoscenze musicali. Non credo che in Italia ci sia un’etichetta i cui proprietari abbiano una così grande conoscenza musicale come loro due. Per rispondere alla tua domanda, ti dico molto semplicemente che, se non ci fosse stata La Barberia, non ci sarebbero stati nemmeno i Baseball Gregg.
Ti posso chiedere invece come è nata la collaborazione con la Z Tapes e Filip (Zemčík, manager della label)per la pubblicazione della cassetta di Sleep?
La Z Tapes è un’etichetta che a me e Sam è sempre piaciuta ed è stato proprio lui a farmela conoscere perché conosceva artisti che pubblicavano per loro. Ho iniziato a seguirla. Filip fa sempre dei “give away” di download code e quindi ho iniziato a farmi una piccola collezione di album pubblicati dalla Z Tapes sul computer. Li ho ascoltati e mi piacevano molto e mi piaceva molto anche il suo modo di scegliere gli artisti, non in base a un genere, ma in base a un’attitudine. Non deve essere per forza di un genere tipo dream-pop o indie, ma sai che è un lavoro DIY, spesso registrato in camera, oppure di artisti che hanno storie strane. Siamo appena tornati da un tour di un weekend con Andy Burns, un musicista australiano di Perth che vive da anni a Tokyo. Ora sta facendo un tour in Europa per due mesi e l’ho aiutato a trovare qualche data: abbiamo suonato a Roma e poi anche allo Juta Café a Modena, nella serata organizzata dalla Barberia Records. Abita a Tokyo e registrava i suoi album, noleggiando degli Air Bnb, dove sapeva che c’era un piano, così poteva utilizzarlo di nascosto. Filip ti potrebbe raccontare tante storie per ogni album. Il disco di Foliage, per esempio, era stato rifiutato da tutti, ma una volta entrato in Z Tapes, è riuscito a svoltare. E’ un’etichetta con una personalità. Non si parla di album che vendono tantissime copie o di artisti famosi, ma è un’etichetta che nella nostra scena indie-pop o bedroom-pop rimarrà perché sta unendo due aspetti che non sono scontati, cioè la quantità e la qualità. Ci conoscevamo già e un giorno gli ho scritto su Facebook: gli ho mandato Gemini e gli è piaciuta molto. Poi gli ho inviato anche alcune demo dell’album e si è entusiasmato e ha deciso di pubblicarlo. Adesso gli ho inviato anche qualche vinile perché vuole iniziare anche a fare un po’ di magazzino di dischi. Con alcune band hanno iniziato a fare i vinili anche da loro perchè è un prodotto su cui oggettivamente hai un margine maggiore. Dovremmo fare dei progetti con loro anche in futuro, anche dal punto di vista live. Siamo molto contenti di lavorare con loro. Anche lì c’è una sensazione di far parte di una famiglia, anche se sparsa in giro per il globo. Abbiamo creato anche una chat su Slack dove ci si confronta con altri artisti. Z Tapes è una bella realtà ed era anche inaspettato che ci rispondesse di sì. Filip è stato molto gentile e penso che sia l’etichetta perfetta per noi. Z Tapes è conosciutissima su Bandcamp e da quando siamo con loro abbiamo venduto molte cassette e vinili in più, ma nello stesso tempo ti lascia tutta la libertà del mondo e ti supporta. Inoltre è stata perfetta ad affiancarsi alla Barberia Records, ma senza sovrapporsi.
E’ un progetto che sta funzionando come volevate voi?
Sì, assolutamente, ma ne ero sicuro perché so che Filip è un grandissimo lavoratore. Lui è capace di mandare delle mail a orari incredibili. E’ molto bravo. Non so come faccia a gestire tutte queste cose contemporaneamente, però è veramente eccezionale.
Ci puoi raccontare del vostro nuovo progetto, Calendar?
Ogni mese, quest’anno, pubblicheremo un nuovo brano e a mano a mano queste canzoni finiranno per diventare parte di un album. Il disco, intitolato Calendar, prenderà quindi corpo a poco a poco, un brano alla volta: ogni uscita ha una copertina realizzata da uno dei miei artisti preferiti, nonché uno dei più vecchi amici di Sam, Eli Wengrin.
Abbiamo sempre posto molta attenzione sulla coesione di album ed EP nel passato: oggi, però, l’era degli album pare un po’ in declino. Comunque andrà, per noi sarà una sfida elettrizzante (e decisamente stancante!), scrivere, registrare e pubblicare una nuova canzone ogni mese.
Hai qualche band o musicista da suggerire ai nostri lettori?
Te ne dico una californiana e una italiana, una a nome di Sam e una a nome mio. Boy Romeo, che è la band di uno dei componenti della formazione americana dei Baseball Gregg. Loro mi ricordano Elvis Costello per il songwriting, ma hanno un’attitudine molto più chiassosa, punk. Hanno degli arrangiamenti molto quadrati ed eleganti, siamo dalle parti di Roxy Music e XTC. La band italiana, invece, è un progetto che si chiama Sleap-e. Io e Sam stiamo mixando a distanza il suo EP e speriamo di riuscire a finire entro sabato, quando apriranno per Any Other al Covo Club. Io ho registrato con Asia Morabito e poi ho fatto le take con Francesco Bonora per la batteria e con Luca Gruppioni per il basso. Insieme non li ho ancora sentiti suonare. Sono giovanissimi. Asia è nata nel 2000. Ha un grande talento. L’ho conosciuta mentre facevo il presentatore in un contest musicale patrocinato dalla radio: c’erano anche cover band. Questa ragazza era solo accompagnata dal batterista (Francesco) e si è messa a suonare canzoni indie-rock a-la-Courtney Barnett o Any Other, che credo sia un riferimento molto adeguato per lei, nonchè una delle sue artiste preferite. Lei era molto scazzata, svogliata, con un attitudine molto ‘90s, che faceva molto a cazzotti con l’immagine di questa ragazzina timida e docile, che in realtà sul palco mostrava questa indolenza ‘90s con queste chitarre molto Pavement. Mi è subito piaciuto il suo progetto e, quando quest’estate con Sam ci siamo decisi a chiederle se voleva registrare un pezzo, è venuta con Bonora nella nostra camera in Bolognina a registrare Hard Times, che è l’unico singolo pubblicato finora. E’ molto brava, giovanissima e credo che potrebbe diventare un talento internazionale. E’ molto brava nel songwriting e ha solo diciotto anni. Oltre al gusto c’è anche qualcosa di innato ed è raro trovare persone che abbiano una consapevolezza di sé a quella età e ciò si vede con il songwriting e con l’attitudine sul palco. Credo che, se avrà intenzione di continuare con la carriera artistica, potrà fare bene.