Roccia Ruvida: Marilena Anzini
Quando va bene, quando non si trovano artisti ipocriti o piegati alle apparenze che ammettono le cose con chiarezza – e Marilena Anzini è una donna assai lontana dal “far risuonare risposte omologate” – resta comunque chiaro un evidente ingrediente che sinceramente trovo più drammatico del controsenso Spotify in genere. E cioè che tutti si lamentano ma tutti si piegano. Tutti dicono: “e che ci possiamo fare?”. Poi diamo del preistorico a chi diceva che ai tempi suoi, quando il padrone tirava la cinghia, si scendeva in piazza con mazze, pietre e chissà cos’altro. Qui ci lamentiamo soltanto. Bando alle ciance, “Bio-“ è il nuovo disco di Marilena Anzini, disco che riporta la voce al centro nevralgico di tutta la narrazione e del suono. Un disco pulito, spirituale sicuramente, delicatissimo… belle tinte antiche di coralità grazie al suo ensemble vocale femminile Ciwicè.
La spiritualità sembra tornare così tanto in voga che quasi quasi è divenuta una moda o un modo per darsi un tono. Quanto meno per distinguersi… non trovi?
Penso che il modo in cui vivere la spiritualità sia del tutto personale: ogni individuo sceglie se e come entrare in relazione con Dio, comunque Lo si voglia chiamare. Il tempo che stiamo vivendo è molto difficile e pieno di paure: è naturale che le domande esistenziali – le stesse per tutti gli esseri umani di ogni tempo e dove – chiamino sempre più persone ad entrare in relazione con l’ignoto, con ciò che è oltre il nostro controllo e la nostra comprensione, per cercare un senso più profondo in tutto ciò che accade. Certo c’è il pericolo che alcune caratteristiche dei nostri giorni quali la frenesia, la performatività, il “tutto subito”, la vanità, inquinino anche questo ambito, ma un vero percorso spirituale si riconosce da caratteristiche opposte: dura tutta la vita, richiede calma e introspezione e ci cambia in profondità, spesso andando proprio nella direzione contraria alle mode e al “darsi un tono”. Ma, ripeto, è una questione personale. È il dono più alto e la responsabilità più cruciale che abbiamo: essere liberi di scegliere.
E questo disco che dentro custodisce la dimensione della voce… anche questo è un modo per darsi un tono? Visto che ormai tutti sono figli delle macchine…
Darsi un tono e anche un semitono, direi! 😉 Con la voce l’intonazione è più difficile che con uno strumento (a parte gli archi…): richiede un lavoro attento e un allenamento all’ascolto acustico e anche sensoriale perché la voce è il risultato della vibrazione delle corde vocali che poi si espandono nel corpo, per poi risuonare anche con le emozioni, i pensieri, lo spirito…per poter interagire con la voce, bisogna imparare a riconoscere sempre più la relazione e il dialogo che tesse con tutti gli ambiti dell’umano. Anche questo è un lavoro che richiede tempo, introspezione, ascolto e attenzione, ma il risultato di una voce autentica, cioè intimamente connessa con chi sta cantando, tocca e commuove chi ascolta in un modo che non può fare nessuna macchina. L’intonazione non riguarda le note, riguarda l’essere umano.
Che poi questo titolo così scomodo da scrivere, giornalisticamente parlando… una provocazione? Ma sai quanti errori porta con sé quel trattino? Ma poi che significa?
Ops…non avevo pensato che potesse essere una scocciatura per voi giornalisti, sorry! In realtà il trattino c’è perché “bio-” è un prefisso che si mette davanti alle parole relative a “tutto ciò che vive” e sta a significare che l’album nasce da uno sguardo sui tanti aspetti della vita, uno sguardo in bilico tra la gratitudine per le sue meraviglie e lo sconforto per le sue difficoltà. Così in “Lezione da un seme” c’è il tema della connessione con la natura che ci è maestra, in “Communication Haze” e “Tra il silenzio e le parole” quello della comunicazione, in “Unknown drummer” e “Tai Chi” quello della mutevolezza dell’esistenza e della fiducia necessaria per farsi portare dal suo fluire…cose della vita, insomma. Il trattino lo intendo come segno di unione, come simbolo di connessione tra l’essere umano e le diverse cose che lo rendono tale.
E anche a te la domanda di Spotify: perché ci lamentiamo tutti che la musica non è lavoro ma poi la regaliamo. Siamo noi i primi a regalarla. Un click e ciao. Non trovi che sia un profondo controsenso?
Eh…certo che è un controsenso, ma siamo nelle condizioni di non poterne fare a meno: non ci sono riusciti nemmeno i grandi come Neil Young e Joni Mitchell e dopo due anni di boicottaggio sono tornati su Spotify! Mi fa arrabbiare l’inequità della distribuzione dei proventi. È davvero assurdo che chi è ai vertici della compagnia guadagni milioni di euro all’anno e chi produce la musica ne ricavi solo pochi spiccioli, ma quel che è peggio è che questo è quel che accade praticamente in tutti i settori commerciali a partire da quello alimentare, ad esempio. Il vero problema è che la musica è diventata un semplice prodotto di consumo e l’aspetto economico è diventato più importante di quello artistico, cosa che è accaduta anche in altri ambiti non solo culturali, come la sanità, per esempio. Insomma, è una situazione generale molto complessa e difficile e l’unica cosa che forse si può fare è sostenere il più possibile le realtà piccole e indipendenti che vanno in direzioni più artistiche ed eque: comprare dai contadini e andare ai concerti!
Archiviate queste domande spigolose, grazie per esserti prestata. Torniamo seriosi e però torno anche sul punto della voce perché questo disco è un disco in cui la voce non solo canta ma suona anche. Ed è
qualcosa che stai portando avanti da tempo… ha una ragione particolare? Perché la voce e non altro?
Perché la voce mi ha sempre attratto ed è ancora adesso il suono che mi affascina di più in ambito musicale. È un suono versatile che non ha la sola funzione di veicolare le parole del testo nel canto: con la voce si possono infatti imitare gli strumenti e addirittura ‘inventarne’ di nuovi utilizzando fonemi e rumori. Dal punto di vista artistico apre orizzonti pressoché infiniti: basti pensare a Demetrio Stratos, Cathy Berberian, Bobby McFerrin… E poi, ultimo ma non ultimo, il canto non ha solo fini artistici ma anche umani e sociali: è uno strumento eccezionale per conoscersi meglio e per crescere nella relazione con sé stessi e con gli altri. Tutti dovrebbero sperimentare la sensazione che si prova quando si canta insieme in un coro, o in una circlesong (canti corali in cerchio basati su improvvisazione e ripetizione): si crea una connessione profonda tra esseri umani, una vibrazione comune che commuove. Se tutti cantassero in un coro, sono sicura, e non è una battuta, che il mondo sarebbe un luogo migliore.