Roccia Ruvida: Magazzino San Salvario
E questa volta devo dargli ragione… la varietà di un disco non significa certamente mancanza di idee. Però ecco: c’è modo e modo di impastare gli stessi ingredienti dentro un disco soltanto. Punto e a capo: sono ragazzoni forse un po’ troppo poco ragazzini, sono uomini fatti e maturi, ragazzini dentro nel DNA e questo da al disco eponimo dei Magazzino San Salvario una scanzonata energia di pulita libertà. E certamente parliamo di quel pop rock che non amo particolarmente e che trovo sempre troppo in bilico tra allegorie “fumettistiche” e un senso romantico e serio del tutto. Si prenda ad esempio questa foto improbabile con lo sfondo verde che non capisco se cerca la risata o non trova la professionalità. Non a caso il singolo “Europa chiama Italia” si sposa bene con lo stile che mette in scena, anch’esso forse un po’ troppo lontano dagli standard di oggi. Un disco che ho mal digerito ma che, a parte il mio personalissimo senso, è maturo e – bello o brutto che sia – sa quel che vuole e lo mette in scena. Serve altro? Non credo… E io levo il cappello alla maturità, alla coerenza e anche al pop rock italiano anni ’90 anche molto figlio del punk nostrano…. che ci sta sempre bene.
Dopo anni di musica e contaminazione, siete stati capaci di fare un rock così antico nelle linee di pop? Per voi il tempo si è fermato agli anni ’90 o cosa?
Una cosa è innegabile: dal punto di vista musicale noi siamo figli degli Anni ’90 e dunque nella nostra musica puoi facilmente ravvisare le tipiche sonorità di quel periodo, dal Grunge al Brit Rock. Ritengo quel momento uno dei punti più alti della storia della musica del Dopoguerra, paragonabile forse solo, per ricchezza e qualità, al periodo a cavallo tra i ‘60 e i ’70. Siamo dunque molto felici che il disco vi abbia suscitato quelle sensazioni e quei riferimenti. E poi vedi, noi siamo soprattutto noi stessi, non inseguiamo mode o tendenze; se per essere considerati moderni e al passo con i tempi, intendi inserire un po’ di merdosi campionamenti o batterie elettroniche, scoreggiare nel microfono o magari un bel featuring di qualche rapper, allora ci va benissimo passare per antichi. Credo che il problema di certa critica sia proprio quello di confondere “nuovo” con “bello” e “strano” con “interessante”… ma ripeto questo un problema soprattutto di chi ascolta e non certo di chi suona.
Che poi oggi ha senso ancora parlare di dischi? Ecco, anche questo significa essere “antichi”…
Su questo hai perfettamente ragione. Il concetto di Album è diventato del tutto anacronistico, sostituito da una serie incessante si singoli usa e getta con relativo abbassamento della qualità; già solo questo aspetto la dice lunga sui tempi di merda in cui viviamo. Sembra di essere tornati agli anni ’50 e ’60, quando di fatto si stampavano e si vendevano quasi esclusivamente i 45 giri. Ci vollero i Beatles, e poi tutti gli altri grandi dopo di loro, per dare per la prima volta valore agli Album che da quel momento in avanti divennero il mezzo attraverso il quale un artista poteva davvero esprimere in un arco di tempo ampio tutto il ventaglio delle proprie qualità. Ora invece assistiamo ad una involuzione clamorosa ed infatti i nostri amici e collaboratori ci hanno sconsigliato fortemente di fare un Album. Noi ovviamente ce ne siamo fottuti, e per di più abbiamo voluto pure stampare il CD, un oggetto (quello sì) veramente legato agli anni ’90 e ormai in disuso. Personalmente a noi non frega nulla di avere qualche centinaio di streaming in più su di un singolo su Spotify; ci interessa molto di più che quei pochi che hanno voglia di ascoltare il disco intero possano capire davvero chi siamo e tutte le cose che abbiamo da dire.
Parlando di suono: lo sento ancora per tutto il disco dentro una soluzione soltanto. Cioè il disco suona allo stesso modo dall’inizio alla fine. Mancanza di idee?ì
Onestamente, mi pare che tu non abbia ascoltato il disco con la necessaria attenzione, fermandoti forse solo al singolo; perché invece in molti hanno apprezzato la ricchezza e la varietà di atmosfere presenti nell’Album. Ma poi a parte tutto, anche se così fosse, non capisco davvero il senso della tua domanda? Cosa c’entra il sound di un disco, uniforme o meno che sia, con la presunta mancanza di idee? Prendi ad esempio alcuni capolavori come “Nevermind” dei Nirvana o “Blood Sugar Sex Magic” dei Red Hot Chili Peppers; sono dischi che suonano volutamente tutti uguali dall’inizio alla fine, eppure nessuno si sognerebbe mai di dire che mancano di idee!!! Cioè, in sostanza, al di là del suono, ciò che conta dovrebbe essere la qualità della composizione, gli intrecci armonici e le linee melodiche, ed infine ovviamente i testi, che sono parte fondamentale di una canzone. Ogni tanto penso che se Lennon e McCartney fossero giovani ora, con il loro stile compositivo, farebbero fatica a far riconoscere il loro genio a certa critica alternativa che recensisce come oro colato certe cagate inascoltabili.
Anche il video di “Europa chiama Italia” sembra un pop da cassetta di collage adolescenziali… ma perché?
“Europa chiama Italia” è senz’altro il pezzo più allegro e scanzonato dell’intero Album. Con questo brano, con atteggiamento ironico e provocatorio mettiamo in ridicolo quel tipico provincialismo dell’italiano medio nel porsi di fronte al Mondo. Anche il video (realizzato degli amici della LOOKUP Music Staff), procede in questa direzione, e vuole proprio ricreare quell’atmosfera festaiola e spensierata da vacanza estiva, tipica degli anni del benessere e del boom economico, a cui gli italiani nel profondo sono ancora tanto affezionati. Quella delle cartoline (oggi rimpiazzate dai selfie) e dei souvenir da portare ai parenti. L’Italiano in vacanza è una categoria antropologica che andrebbe studiata. Anche immerso in luoghi magnifici e città che trasudano cultura e tradizione, il vero turista italiota cerca comunque una pizzeria nei paraggi ed in fondo rimpiange la vita tranquilla e monotona del suo paesino di provincia. Per conferire ancora più peso a questo testo, abbiamo coinvolto il nostro amico fraterno Federico Sirianni. Considero Fede uno dei migliori cantautori del panorama italiano. Da persona intelligente e spiritosa qual è, ha subito colto lo spirito dl brano e se n’è subito innamorato. Trovo davvero magnifico l’effetto straniante che produce la presenza di un artista del suo peso in un pezzo come questo.

E come sempre abbassiamo l’ascia di guerra e anzi, come sempre, dico grazie a voi che vi prestate a questo gioco di domande velenose. E alla fine anche l’ironia colora il tutto, si sente e arriva in modo intelligente. Per voi, per il vostro rock, l’ironia è un mezzo o una soluzione ad alleggerire le cose che ormai nessuno ha più le capacità di gestire? E parlo di coscienza sociale, di come la gente reagisce di fronte ai problemi e ai discorsi impegnativi…
Grazie a voi… è stato bello sottoporsi al fuoco. Dici bene; per noi l’ironia è certamente un mezzo fondamentale; una lente attraverso cui guardare la realtà che ci circonda; ma dietro un’apparente leggerezza si nasconde sempre una riflessione più profonda. Nella nostra formazione musicale, oltre al rock, è stata fondamentale la lezione di alcuni grandi cantautori italiani, da Bennato a Rino Gaetano da Jannacci a Gaber (tanto per citarne alcuni); autentici maestri che hanno fatto dell’umorismo (nel senso pirandelliano del termine) un’arma tagliente con la quale affrontare anche argomenti e tematiche molto serie. Detto questo, ci tengo però a sottolineare come il nostro disco contenga anche numerosi brani, che invece abbandonano la cifre dell’ironia per farsi davvero più intensi, profondi e personali. Nell’album ci sono canzoni che parlano di alienazione, isolamento e depressione, altre più dichiaratamente impegnate politicamente; c’è un pezzo a cui tengo molto che si intitola “Cose che non ti ho mai detto” che ho dedicato alla morte di mio Padre; ed infine ci sono addirittura due canzoni d’amore in senso tradizionale. Ecco, penso che proprio questa alternanza di situazioni rappresenti uno dei punti di forza del nostro Album; ovviamente dedicato solo a chi avrà voglia di ascoltarlo tutto, come si faceva una volta.