Roccia Ruvida: Andrea Cavina
Quando le lettere sono opere d’arte. Che poi abbiamo sempre del parare ufficiale per parlare di “opere d’arte”? Quante etichette stupide usiamo ogni giorno con automatismi che sono più poveri di qualunque povertà esistente. E questa, signori cari e lettori affamati di Indie-Roccia.it, è forse una delle volte in cui l’intervista spigolosa è stata capita, digerita e gestita a dovere. Testimonianza di maturità, di equilibrio e di umile presa di coscienza. Quando accade questo, penso io, la palla passa al politicante di turno che oltre le chiacchiere non sa cos’altro sfoggiare.
Andrea Cavina, insegnante ma soprattutto autore e compositore. E con una chitarra classica dedica “lettere” a grandi nomi della cultura musicale, classica e moderna. E non solo chitarrista e non solo nomi “pop”. Si intitola “10 Lettere” questo lavoro in cui si decanta l’attesa e la riflessione, la pace e l’inquietudine. Si decanta una narrazione fatta di parole non dette ma immaginate. E qui ha ragione lui: che ognuno scriva le sue lettere, le sue parole, le sue personali riflessioni. Che la musica di Andrea Cavina, decisamente lontana dal pop moderno, è musica di spirito e di anima… se tutti pensassimo a questo invece che ad accontentare il gusto medio delle persone, forse cambierebbe qualcosa. E sono d’accordo su tutto, caro Andrea… grazie a te per le risposte intelligenti.
Un disco di sola chitarra. Decisamente una sfida al pubblico ormai incapace di attenzione e dedizione. Parlando di pubblico pop direi che è un bel suicidio. Nei sei cosciente?
Domanda magnifica! Degna di attenzione!
Quanto posso scrivere? Perché qui ci facciamo una trilogia che… “Tolkien scansati”! (Posso?)
Ma no, ma quale suicidio? E perché poi, per paura del giudizio distratto di qualcuno? Ma no, no… Come diceva Battiato, “questa parvenza di vita non lo merita, signore”. Rinviamolo, per ora, il suicidio. E poi, siamo sicuri che il pubblico sia (cito) “incapace di attenzione e dedizione”? Quale tipo di pubblico? Eh, dipende. Dipende dal pubblico, ma credo che dipenda anche dalla proposta.
Bisogna avere fiducia nel pubblico.
Cosa significa un disco di “chitarra sola”?
Quando Ludovico Einaudi o Giovanni Allevi fecero uscire i loro primi lavori originali di pianoforte solo, avevano album eccezionali che mettevano d’accordo quasi tutti e soprattutto “tranquillizzavano” i “non esperti”, anzi, li mettevano a loro agio. Dicevano a tutti (e lo dicono ancora) “Ascolta, non c’è bisogno che tu sia esperto di Chopin o di Glenn Gould per goderti questo disco. Qual è la tua sensazione quando lo ascolti? Ti arriva qualcosa? Ti fa stare bene?”
Ho voluto esprimere questo, in modo naturale.
Se avessi voluto impormi un linguaggio tecnico-compositivo che non mi appartiene allora sì che sarebbe stato un suicidio. Consapevole, tra l’altro. No, grazie, mi piace vivere, mi piace incontrare persone, condividere emozioni ed esprimermi con un linguaggio del mio tempo, pur mantenendo fede alla mia storia e alla mia identità musicale. E poi c’è da dire un’altra cosa; io faccio l’insegnante, oltre che il musicista e penso che parte della responsabilità di educare gli ascoltatori sia anche mia. Cioè, uno che fa l’insegnante di musica in una scuola ha davanti circa 200 studenti ogni anno; moltiplicato per migliaia di insegnanti… se lavorassimo tutti senza andare dietro ai gusti dei ragazzini, ma aprissimo loro le porte alla bellezza di certe opere d’arte… forse uno “zero-virgola-qualcosa” di loro… potrebbe anche comprare il mio disco! – questa non te l’aspettavi –
Disco, che, come avrai dedotto dai destinatari delle mie “lettere”, pur avendo un filo conduttore, discende da ascolti molto variegati, da autori importanti, ma non necessariamente “difficili”.
E poi scusa se mi permetto… Carlo Cracco è pop? Eppure nel mondo del “McPanino”, mica il grande chef pensa al suicidio culinario! Anzi…
Che poi un disco privo di appigli per la codifica… sei cosciente che ognuno, all’ascolto, andrà dentro le sue immaginazioni? Come a dire: tu volevi parlare di una cosa ma io ci vedo tutt’altro… come ti rapporti a questa dinamica?
Ma magari! Hai presente “Carota” di Mirò? Tu ci vedi una carota? (…sul serio?)
Nel 2012 partecipai ad una masterclass di chitarra al Conservatorio di Mantova, tenuta dal Maestro Eros Roselli, che all’epoca era anche direttore dello stesso Conservatorio.
Lui diceva che quando un compositore pubblica uno spartito, lo spartito prende una vita propria, “è come generare un figlio già di diciotto anni con la patente e la macchina: può andare dove vuole”. Parole sue. Roselli usava questa metafora proprio per dire che i brani acquisiscono significati “propri” non solo all’orecchio degli ascoltatori, ma addirittura a seconda dei diversi esecutori.
Solo che io stavo studiando con lui pezzi come “Julia Florida” e soprattutto “La Catedral” di Agustin Barrios, che ha fatto la storia della chitarra; in questo articolo stiamo parlando del disco di Andrea Cavina… La cosa mi lusinga e mi piacerebbe essere sullo stesso podio, ma per ora, già il fatto che qualcuno abbia voglia di ascoltarmi e di intervistarmi va benissimo così.
Il disco è nato libero e anche la sua interpretazione è assolutamente libera e personale.
E poi le lettere… un modo originale, lo ammetto. Ma sembra anche un modo furbetto per citare nomi che funzionano allo share. In fondo, ascoltati nudi e crudi, ognuno come detto può vederci qualsiasi cosa. Far apparire il nome famoso invece fa scena… non è così?
Io speravo di essere un furbetto e invece è stata una delusione.
Ho provato a spiegare il titolo dell’album e soprattutto i titoli dei brani a qualche curioso e soprattutto nei concerti di presentazione.
Alla fine la reazione è stata comune: “Bella questa cosa delle lettere, ma a parte, Mozart e Van Gogh, non potevi scegliere qualche personaggio famoso in più? Cioè: chi sono Maurizio Colonna e Andrew York? E questo Yann Tiersen (come si pronuncia?)… mai sentito.”
È il compositore della colonna sonora di “Amélie”.
“Ah! Quello! Nooo, bellissimo, mi piacciono da matti quelle musiche!”
Insomma… prima dicevi che il pubblico non è attento… mi sa che nonostante certi nomi, di share se ne faccia proprio poco. Però (c’è sempre un però) sta succedendo che gli stessi amici e/o ascoltatori di cui ho parlato sopra, ogni tanto mi scrivano dicendo “Sai che grazie al tuo disco ho iniziato ad ascoltare i compositori che hai citato? Sono bellissimi! Grazie!”
Beh, via… Abbiamo mosso un po’ le acque…
Che poi siamo nell’era del tutto e subito dove di chitarristi stellari ne vengono fuori ogni minuto. Dunque cosa ha Andrea Cavina che altri non hanno? Perché dovrei “leggere” queste lettere?
“Vendere o no non passa fra i miei rischi / non comprate i miei dischi / e…” (il resto lo conosciamo e per gli insulti ci basta Facebook)
Perché dovresti leggere le lettere di Andrea Cavina? Perché sono bellissime!
E perché lui e non altri chitarristi stellari?
Forse perché Andrea Cavina non è un chitarrista stellare… O forse perché Andrea Cavina sa che il tutto e subito, o, peggio, il “facile e veloce” è una bugia. Si esaurisce in poco tempo. Non ha e non mantiene memoria.
Il lavoro artigianale, come quello di mettersi a studiare, comporre, rivedere, suonare, incidere, controllare… incidere ancora… aspettare, essere disposti a critiche feroci, capire cosa non va e cosa ti dice chi è più esperto di te (non “laqualunque”, si intende) ed essere disposti ad ascoltare per migliorare la propria proposta, ecco, tutto questo sì che ha un valore che corrisponde alla verità e che (penso) conferisce qualità al prodotto.
Io non so che cosa Andrea Cavina abbia in più degli altri. Di certo il lavoro che ha fatto è reale, concreto, oltre che originale, ovvero è un prodotto nuovo, che prima non c’era. È una proposta sincera.
E dunque cerchiamo di veicolare questo disco dentro contenitori pop come questo. Spotify e tanto altro. Eppure non c’è un video ufficiale. Una contraddizione non trovi?
Eh, hai ragione. Ma la contraddizione è anche quella che apre un dialogo. Mi avresti fatto questa domanda se non avessi visto delle contraddizioni? In realtà di idee per uno o più video ce ne sono.
Non è detto, tuttavia, che si realizzeranno in tempi e modalità analoghe alle aspettative comuni.
Mentre stavo ultimando il mio disco nella sua prima versione, una sorta di “bozza”, risalente al 2018, Maurizio Colonna stava pubblicando i suoi “50 Pop Studies for guitar”.
Nel 2019 ho avuto l’opportunità di parlare direttamente con lui di questo, spiegandogli che non immaginavo un tale parallelismo sia di idee, sia di tempistiche.
La sua risposta è stata sorprendente, quanto illuminante: “Si vede che finalmente i tempi sono pronti per qualcosa di nuovo che parli con questo linguaggio”.
Bello, no? Arriverà anche il resto. Intanto si può ascoltare 10 lettere su Spotify, Apple music, YouTube… il soliti, insomma, così ci si può fare un’idea.

Come sempre chiudiamo abbassando l’ascia di guerra. “10 Lettere” è davvero un viaggio artigianale che ci riporta indietro nel tempo e nel senso primo della musica. Immaginare, vedere oltre. Davvero questo disco (come tanti altri) cade in un tempo apocalittico soprattutto per il “capitale umano” incapace di recepire. Cosa spinge un artista dunque a spendere tutto se stesso nel parlare una lingua che difficilmente verrà recepita?
Scherzi? Quale ascia di guerra? I miei nonni hanno fatto la guerra: questa è un’intervista ed è pure bella! (è già finita?)
Mi piace tantissimo l’espressione “un viaggio artigianale”: io stesso non mi sento affatto un artista, ma proprio un artigiano. Suonare la chitarra è un lavoro manuale che richiede una progettazione, una cultura, un’esperienza… è un mestiere. Cosa mi ha spinto a convogliare le mie energie e il mio tempo? L’ho fatto per me, prima di tutto.
Stanco di inseguire repertori a me non consoni e desideroso di suonare qualcosa di nuovo, ho deciso di far uscire dalle dita quello che stava lì da anni.
All’interno della copertina del disco fisico ho voluto scrivere una dedica “a tutti quelli che cercano nuove vie”. Sono proprio gli scenari apocalittici che spesso danno la spinta a cercare qualcosa di nuovo, una via da percorrere per poter uscire dallo stallo.
Quando sono nate le mie composizioni, non avevo la pretesa di cambiare il mondo, né ce l’ho tutt’ora. Eppure sia durante la lavorazione del disco, sia dopo i primi concerti di presentazione, ho visto come anche un lavoro “in solitaria” come questo possa generare curiosità, incontri, idee, collaborazioni…
Ho avuto la sensazione di aver dato il via ad un circolo virtuoso. Spero.
Io non lo so se la mia lingua verrà recepita e come ho detto prima, mi interessa relativamente.
Però ho già qualche buona risposta e sono positivo. No, siamo nel 2022. Positivo è meglio di no…
Sono fiducioso.
Grazie mille per l’intervista!