Intervista: Tutto Piange
Vista in apertura ai concerti di Any Other lo scorso anno, Tutto Piange, nome d’arte di Virginia Tepatti, ci aveva spiazzato con la sua scrittura profonda e ‘piena di spazi’ (come ci spiegherà qui sotto). Ora per 42 Records ha pubblicato l’EP “Dei giorni passati a guardare”.
Le abbiamo fatto un po’ di domande anche a riguardo del tour che sta per iniziare (date in fondo).
IR: Partiamo dal titolo dell’EP “Dei giorni passati a guardare”: che significato volevi dare a questo titolo?
TP: è un titolo che ho scelto in un modo naturale perché di fatto sintetizzava un po’ tutto un procedimento avvenuto negli ultimi anni in cui ho scoperto che la scrittura e il cantautorato erano lo spazio in cui riuscivo ad esprimermi meglio.
Questo titolo vuole racchiudere un po’ tutto questo “momento” che è alla fine è durato anni, ma se ci penso è stato un “momento” ma molto lento.
In questa dimensione di lentezza, piano piano, sono riuscita ad attivarmi ed imparare poi a comunicare, era molto importante dare un valore a questo e il titolo dell’EP voleva esserne la sintesi.

IR: le tue canzoni sembrano vivere proprio nei silenzi, nei vuoti, nelle attese. Quanto è difficile o naturale lasciare spazio al non detto nella scrittura?
TP: questa parte è molto ‘centrale’ in quello che ho scritto, mi interessa creare quello spazio dove ci può essere una rielaborazione in quello che dico, invece di un indirizzo chiaro della direzione da dare.
La mia scrittura vuole essere più una serie di input che possono essere immagini o emozioni che mi hanno colpito o sono state significative per me però la vera potenza è in quello spazio in mezzo tra queste due cose.
Magari più avanti avrò voglia di riempirli io e dire più cose o semplicemente aprirli di più, di guardarci dentro, vedremo, ma per ora quegli spazi li ritengo importantissimi.
IR: nei tuoi brani è molto facile ritrovarsi e immagino che quegli ‘spazi’ ci siano perché ognuno poi li può riempire con il suo vissuto.
TP: Sì, perché il mio scopo non è quello di scrivere delle cose difficili o incodificabili o almeno spero di esserci riuscita, vorrei essere in qualche modo chiara e trovo interessante che ci sia comunque un margine in questo, fra semplicità e complessità.
IR: dei cinque brani dell’EP tre li avevi fatti uscire pian piano. Come ne hai deciso l’ordine ?
TP: dopo “Non è divertente”, che è stato il primo singolo e di fatto è anche il primo pezzo dell’EP abbiamo scelto di seguire l’ordine del disco e svelarlo lentamente non alterando l’equilibrio dei pezzi.
IR: l’ordine complessivo dei brani ha un senso logico?
TP: certo! Anche se essendo un EP è tutto un po’ compresso, conciso c’era un concept nella mia testa, ad esempio “Una cosa da raccogliere” è volutamente l’ultimo pezzo, perché per me è un brano che parla di apertura, di crescita ed è quello più breve dell’EP e vuole essere quello di buon auspicio e di apertura più “forte”.
I brani seguono quello che è stato per me scriverli, quello che per me rappresentano. Alcuni parlano di amore, altri di amicizia o di crescita, di vita, di elaborazione.
IR: Il disco è stato registrato da Marco Giudici e prodotto da Adele Altro. Com’è stato lavorare con loro e cosa hanno portato nel tuo mondo musicale?
TP: è stata una grande fortuna! Nata da una casualità quando in periodo di COVID ho contattato Adele dicendole che avevo questi pezzi volevo capire cosa farci. Glieli ho mandati, a lei sono piaciuti e ci siamo conosciute da zero attraverso zoom per capire chi fossimo “nel mondo” ed è stata una conoscenza che ha richiesto tempo, sia a livello umano che poi artistico, che paradossalmente è stata più veloce di quella umana.
Adele è stata bravissima e lucidissima ed è riuscita a capire i pezzi e capire anche quello che comunicavano e di cosa avevo bisogno di comunicare attraverso la produzione e gli arrangiamenti, poi ad un certo punto le due cose sono andate di pari passo.
È stato molto bello vivere un’esperienza che mi ha lasciato un grande esempio di come si possono conciliare di fatto la vicinanza personale affettiva ad la vicinanza artistica, rimanendo in uno spazio dove ci si sente a proprio agio e dove si rispettano le idee.
È stato un procedimento molto lungo in realtà, abbiamo lavorato sui brani in quasi due anni, perché io sono di Roma, lei è a Milano e andavo una volta al mese in cui dovevamo riprendere sempre il punto dell’ultima sessione.
C’è voluta della pazienza, però era il contesto giusto.

IR: parlami dell’edizione in cassetta ricamata a mano(realizzata da Giorgia Bronzini ndr). Come mai quest’idea e da dove arriva?
TP: in realtà sono appassionata a questo tipo di oggetti. Tutto è nato dal fatto che quest’anno, per tutta una serie di cambiamenti della mia vita, da gennaio mi sono ritrovata con un po’ più di tempo a disposizione e ho iniziato un corso di cucito.
Da quello mi appassionata ai materiali, ai tessuti e in particolare ai lavori di una ragazza di Roma che realizzava questi oggetti dove faceva dei ricami sulle fotografie.
Nel momento in cui ho deciso che questo doveva essere una sorta di concept l’ho scelta per la grafica della cassetta e per il ricamo in copertina. Mi ha colpita la scelta di questi raggi che partivano dagli occhi che in effetti erano poi il vero concetto dell’EP cioè del “guardare attraverso”.
Poi ho aggiunto delle foto che ho scattato in questi anni, mi piaceva pensare di lasciarle come piccolo regalo a chi comprava la cassetta.
IR: che riferimenti hai scelto per il tuo stile sia compositivo che per i testi?
TP: penso che in quanto artisti siamo il risultato delle cose che ci piacciono quindi c’è tutto un mondo americano new folk, delle nuove cantatrici che sicuramente mi interessa molto e attecchisce bene su di me.
Quello che mi è interessato di più, ed è stata la cosa più difficile, è che con l’italiano intendo come lingua scritta, è più complicato trovare un equilibrio tra quelle sonorità e quel modo di scrivere e trovare un punto d’incontro.
Però è quello che effettivamente mi è piaciuto affrontare.
Degli artisti italiani, sicuramente Maria Antonietta è una cantautrice che ho ascoltato e che ascolto e apprezzo molto, specialmente i primi dischi, quelli un pochino più grezzi, di cuore.
Poi mi muovo tra passato e qualcosa del presente, forse l’esempio più grande di cantatrice è stata è stato quello di Cristina Donà, lei è stata proprio un tipo di artista con una scrittura che mi ha sbloccato qualcosa, e quando l’ho iniziato a capire l’ho iniziata a leggere in un altro senso, lei è un grande riferimento per me.

IR: Tutto Piange è un nome che ricorda la malinconia. Quando hai capito che era il nome giusto per raccontarti?
TP: noto che Tuttp Piange è sempre interpretato in una chiave malinconica ma paradossalmente per me il significato più profondo di questa scelta era proprio quella di essere una provocazione, una liberazione. Il senso è liberare questo confine fra cosa è “leggero”, cosa è “pesante”. Fa parte di una cosa che ho sempre sofferto su di me, sulla mia sensibilità.
Sicuramente sono una persona che pensa tanto e che cerca di guardare dentro a tutto e sono convinta che questo non faccia di me una persona “pesante” perché poi sono fan dell’ironia, della leggerezza dei rapporti umani, per cui era per voler rassicurare del fatto che non esista un reale confine fra quello che “pesante” e quello che è “leggero” e che le due cose possono coesistere.
Se pensi al “pianto” che può essere associato alla tristezza o alla gioia. A volte uno piange senza sentire esattamente come si sente e senza sapere esattamente perché ed è a questo a cui volevo riferirmi: liberare la sensazione di pesantezza dalla tristezza.
IR: C’è un momento preciso in cui hai sentito che questo EP era “finito”? Ti eri data dei limiti di tempo?
TP: le registrazioni si sono svolte in modo molto armonico sia nei momenti di registrazione che di composizione. Ci eravamo dati una scadenza più che altro per evitare di entrare in quei loop dove ti sembra di non aver mai finito e che ci sia sempre da aggiustare qualcosa. Adele sapeva meglio di me come gestire questo rischio e mi sono tranquillamente fidata del suo punto di vista che poteva essere quello di dire “OK guarda, sicuramente abbiamo altre due o tre session e poi i pezzi sono finiti”. Ad ogni session aggiungevamo pezzi ai brani che sentivamo mancasse senza però stravolgere le idee iniziali, avevamo le idee abbastanza chiare. Quindi sì c’è stato quel momento in cui dire: ‘i brani sono finiti’.
IR: Come vivi e l’hai vissuta l’uscita del tuo primo lavoro?
TP: il giorno in cui è uscito ero ‘in aria’ perché era la sera in cui dovevo suonare a Fano al Festival di Colapesce e DiMartino(Sopravènto ndr) e quando è uscito l’annuncio ero in macchina in autostrada a dover gestire i social e dicevo:”ma come faccio? devo guidare!” Quindi vabbè, lasciamo perdere. (ridiamo ndr)
Poi quella giornata è stata bellissima, anche il concerto dopo abbiamo suonato in questo posto incredibile ed effettivamente lì ho realizzato: “cavolo è uscito il mio primo lavoro!” insomma è stato un “viaggio” di due anni, anni molto intensi e importanti, per cui mi sento felice, serena e in qualche modo stimolata a riaprire un nuovo cerchio e affrontare questa cosa nuova, nata al meglio, compreso questo lavoro delle cassette ricamate!

IR: Tra poco inizierà un mini tour, come saranno i Live? sarai da sola o accompagnata?
TP: con me ci sarà il mio amico Marco Barzetti, che è un musicista qui di Roma, con cui ha iniziato a suonare circa due anni fa, prima che iniziasse poi tutto il progetto con 42 Records.
Stiamo preparando questo set che sarà tendenzialmente acustico con qualche sporcatura elettronica, anche se sporcatura non è la parola giusta (ridiamo ndr) , sicuramente farò tutto l’EP e probabilmente qualche pezzo nuovo.
Le date di presentazione dell’album saranno:
4 giugno – Ostello Bello Milano Duomo
5 giugno – Ostello Bello Genova
10 giugno – Ostello Bello Roma
11 giugno – Ostello Bello Napoli