Intervista: Elli de Mon

Elli de Mon torna con un nuovo, audace progetto musicale: Raìse, un album interamente cantato in dialetto vicentino. Un’opera intensa e viscerale, in cui il dialetto diventa veicolo di un’espressività profonda e perfettamente in linea con la narrazione di Sant’Orso, il protagonista della storia raccontata nel disco. L’artista, nota per il suo background blues e garage rock, sperimenta qui nuove sonorità, mescolando strumenti tradizionali ed etnici per dare vita a un universo sonoro ruvido, evocativo e potente. In questa intervista ci racconta il processo creativo dietro all’album e le sfide del comporre in dialetto sottolineando il significato più profondo di questa scelta artistica.

IR: Cosa ti ha spinto a scrivere il tuo nuovo album Raìse interamente in dialetto?

EDM: La scelta del dialetto vicentino è stata una necessità espressiva più che una decisione stilistica. La storia di Sant’Orso, che mi accompagna dall’infanzia come un sussurro costante dalla terra in cui sono cresciuta, richiedeva un’autenticità linguistica che solo il dialetto poteva conferire. Non è stata una scelta calcolata, ma qualcosa di inevitabile, come se questa narrazione attendesse solo il momento giusto per manifestarsi attraverso la lingua madre. Il dialetto porta con sé un’energia primitiva e un legame profondo con la terra e la memoria collettiva, offrendo sfumature e una visceralità che l’inglese non avrebbe mai potuto restituire. È stato come scavare a mani nude nelle radici della mia cultura per raccontare una storia che, pur nella sua dimensione locale, tocca corde universali dell’esperienza umana.

IR: Quali sono state le principali sfide nel comporre testi in dialetto? 

EDM: Sorprendentemente, cantare in dialetto mi è risultato più naturale di quanto immaginassi. La sfida principale è stata adattare la musicalità intrinseca del vicentino, con i suoi ritmi e le sue cadenze peculiari, alle strutture sonore che stavo creando. Dal punto di vista metrico e interpretativo, questo ha richiesto un adattamento profondo, ma ha anche aperto nuove possibilità espressive. La padronanza totale della lingua mi ha permesso di sperimentare con nuovi timbri e giocare con alcuni suoni, come la “r” e la “s”, cosa che in inglese non mi sentivo sicura di fare. Mi sono anche sentita libera nell’uso delle parole, includendo termini volgari quando erano perfetti per esprimere il messaggio. Il dialetto possiede una forza espressiva primordiale che il linguaggio standardizzato ha perso, e questo ha conferito al progetto una dimensione sonora quasi ancestrale.

IR: Aris Bassetti dei Peter Kernel ha composto da poco la prima parte di un album in dialetto ticinese (simile al lombardo) e mi ha detto “Mi sono reso conto che cantare in dialetto mi cambia completamente l’attitudine, il modo di lavorare. Siccome è la lingua che conosco bene ed è quella con la quale, tra virgolette, penso, non ho tanti filtri e posso giocarci molto più facilmente.”

Hai avuto anche tu la stessa impressione?

EDM: Assolutamente sì. Proprio come Aris, ho sperimentato una trasformazione nell’attitudine creativa quando ho iniziato a lavorare con il dialetto. Essendo la mia lingua madre, il vicentino mi ha permesso di accedere a una dimensione più profonda e autentica dell’espressione musicale. C’è una fluidità, una immediatezza che emerge quando si canta nella lingua in cui si pensa.

I filtri cadono, e si accede a una vulnerabilità e a una sincerità espressiva che difficilmente si raggiunge in una lingua acquisita. Ho scoperto nuove sfumature nella mia voce e nel mio modo di articolare le parole. È stato come se il dialetto avesse liberato una parte di me che era rimasta dormiente, permettendomi di esplorare territori emotivi e creativi che fino a quel momento erano rimasti inesplorati. Questo ha conferito al progetto un’autenticità che trascende la semplice scelta linguistica.

IR: Quale messaggio vuoi trasmettere con Raìse ? E come il dialetto si collega al significato dell’album?

EDM: Raìse esplora il viaggio di un uomo che affronta il peso delle proprie azioni e cerca redenzione e una nuova identità. In essenza, Orso rappresenta chiunque arrivi al punto di smettere di nascondersi dietro capri espiatori, di proiettare le proprie paure sugli altri, di attribuire sempre all’esterno la responsabilità delle proprie sofferenze. È il momento in cui scegliamo di guardare dentro noi stessi con onestà e coraggio, accettando le nostre ombre e assumendoci pienamente la responsabilità delle nostre azioni.

Il dialetto è fondamentale in questo percorso perché rappresenta un ritorno alle radici, un modo per confrontarsi con la propria identità più autentica. La lingua dialettale, con la sua immediatezza e concretezza, diventa metafora della verità che Orso deve affrontare. Non c’è possibilità di nascondersi dietro costruzioni linguistiche elaborate o astrazioni; il dialetto impone una concretezza che rispecchia la necessità di guardare la realtà per quello che è. Questo legame tra lingua e messaggio è indissolubile nel progetto, creando un ponte tra la dimensione personale e quella universale dell’esperienza narrata.

IR: Hai scelto il titolo perché ha anche un corrispettivo inglese?

EDM: La scelta del titolo Raìse è stata guidata principalmente dal suo significato in dialetto vicentino, che evoca le radici, l’origine, il fondamento. È un termine che racchiude perfettamente l’essenza del progetto: un ritorno alle origini, sia personali che collettive, un’esplorazione delle radici profonde dell’identità. Il fatto che abbia un’assonanza con l’inglese crea un’interessante polisemia che riflette il duplice movimento del viaggio di Orso: un discendere verso le proprie radici e un contemporaneo elevarsi verso una nuova consapevolezza. Questa dualità semantica non è stata pianificata in origine, ma è emersa naturalmente durante il processo creativo, arricchendo ulteriormente la stratificazione di significati che il progetto intende esplorare.

IR: Quale brano ha richiesto più lavoro per essere terminato?

EDM: Paradossalmente, l’intero album è nato in modo quasi febbrile, in un arco di circa dieci giorni di scrittura intensa in cui tutto è fluito con una naturalezza sorprendente. Tuttavia, Nana bobò ha richiesto un lavoro particolarmente accurato. Questa canzone ha origini profonde nella tradizione femminile della mia zona, una ninna nanna che rivela tutti i sentimenti ambivalenti della donna nei confronti del bambino che sta crescendo da sola. Molte ninna nanne tradizonali hanno al loro interno sentimenti di morte, perchè tradizionalmente servivano alla donna per proiettare fuori le proprie paure e angosce. Ho cercato quindi di tirare fuori dal brano sia la tenerezza che l’oscurità. Questo processo di decostruzione e ricostruzione ha richiesto un lavoro particolarmente minuzioso e riflessivo.

IR: I tuoi lavori precedenti erano più radicati nel blues e nel garage rock. Come sei arrivata a questa evoluzione sonora?

EDM: L’evoluzione sonora di Raìse è il risultato di un processo organico in cui diverse influenze musicali che hanno segnato il mio percorso hanno trovato un punto di convergenza. Ho voluto un suono che fosse ruvido, ancestrale, capace di evocare il peso della storia che raccontavo. Questo disco attinge alle mie diverse esperienze musicali: gli arrangiamenti della musica classica (sono diplomata in contrabbasso classico), i droni della musica indiana che adoro, lo stoner dell’adolescenza, il blues dell’età matura.

Ciò che differenzia questo album dai precedenti è soprattutto l’approccio compositivo. Ho cercato sonorità che oscillassero tra il rituale e il viscerale, tra il sacro e il terreno, combinando strumenti tradizionali come il contrabbasso e le percussioni con elementi più sporchi e distorti tipici del rock e dello stoner, e con strumenti etnici come il sitar e la dilruba. Il mio studio approfondito della musica indiana, in particolare del sitar, mi ha portato a una comprensione profonda del drone come elemento fondante della costruzione sonora, che è diventato centrale in questo progetto. Questa fusione di influenze diverse ha dato vita a un linguaggio sonoro personale e coerente che rappresenta un’evoluzione naturale del mio percorso musicale.

IR: Guardando al futuro, pensi di continuare a sperimentare con il dialetto e con nuovi linguaggi musicali?

EDM: Il futuro è sempre un cantiere aperto di possibilità. Ho già pronto un progetto che svelerò a tempo debito, e nuove idee stanno prendendo forma mentre sono completamente immersa in Raìse . La mente non smette mai di lavorare, e il viaggio creativo è in continua evoluzione. Quanto al dialetto, è diventato uno strumento espressivo che ora fa parte del mio arsenale creativo, e che potrebbe certamente tornare in progetti futuri se la narrazione lo richiede. Non vedo l’evoluzione artistica come un processo lineare, piuttosto come un dialogo continuo tra diverse influenze e linguaggi. Ciò che mi interessa è seguire l’autenticità dell’ispirazione, lasciando che ogni storia trovi la sua forma più naturale, sia essa in dialetto, in inglese o in un linguaggio sonoro completamente nuovo.

IR: Come saranno strutturati i live?

EDM: I live di Raìse rappresenteranno una dimensione completamente nuova per me. Suonerò in trio, insieme a Marco (Degli Esposti ndr) e Francesco (Sicchieri ndr), uscendo dalla dimensione one-woman band a cui ero abituata, perché ho sentito il bisogno di una resa sonora più potente e stratificata. Lo spettacolo sarà molto dinamico, con continui cambi di strumenti e atmosfere, per restituire la complessità sonora dell’album. Ho scelto di presentare questo disco in una dimensione più intima e raccolta di quanto io sia abituata a fare. Voglio dare priorità a situazioni dove l’ascolto può essere profondo, luoghi dove la narrazione può respirare e svilupparsi pienamente. Sto riscoprendo il piacere degli house concert e dei piccoli teatri, spazi in cui il pubblico è più attento e ricettivo e dove si può creare un dialogo autentico con l’ascoltatore. Naturalmente ci saranno anche dei festival, ma il cuore di questo progetto vivrà in questi spazi più intimi, dove la storia di Orso può essere veramente ascoltata e condivisa. Sarà una sfida, anche perché noto che c’è diffidenza sia verso il dialetto che verso questa nuova formazione, ma sono determinata a portare avanti questa nuova dimensione artistica.

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