Interview: The Step
Piace, quando capita, parlare di ragazzi italiani che si danno da fare, in ambito musicale, lontano dal nostro Paese. In questo caso i nostri riflettori si accendono su Stefano Donato e Oliviero Fella, in arte The Step, residenti a Londra, che a fine giugno hanno pubblicato il loro esordio ‘No War To Win’. Piacevolissimo esempio di guitar-pop-rock, il disco ha una sua solida anima melodica, che si sviluppa in 11 brani che non hanno paura di mostrare coordinate precise e riconducibili a colossi del pop-rock, ma nello stesso tempo non difetta affatto in personalità. La facilità con cui i ritornelli di canzoni come ‘Two Idiots’, ‘Gravity’ o ‘Stay Awake’ entrano in circolo è proprio la carta principale della band, decisamente intrigante per palati anglosassoni, affini a questo sound, ma con tutte le potenzialità per fare breccia anche nel mercato nostrano. Ringraziamo Stefano e Oliviero che hanno trovato il tempo per farsi una chiacchierata con noi sul disco e sulla loro vita londinese…
Lo so, è scontato, ma vogliamo partire dal classico “com’è successo che 2 italiani a Londra se la battano alla grande con il loro guitar-rock“? Fare lo stesso in Italia non sarebbe stato possibile?
In Italia ci hanno detto che siamo “plausibili“, una cosa che ci ha fatto capire quanto non si consideri possibile che una band italiana possa avere una reale possibilità di combattere a livello internazionale, in alcuni generi succede, ma se parliamo di rock sembra un tabù, è strano perchè gli italiani amano la musica cantata in inglese, basta accendere la prima radio che trovi. Londra ci permette di “competere con il mondo” ed è una cosa che amiamo, perchè ci da un feedback reale, se una nostra canzone viene suonata in una radio, ciò viene fatto togliendo spazio agli artisti UK/USA che la popolano ogni giorno, è come se ci concedessero 3 minuti per inseguire il miglior tempo in un gran premio di Formula 1.
I brani presenti sull’esordio sono canzoni che vi portate con voi da molto tempo o sono state scritte da (relativamente) poco?
E’ un insieme di vari momenti della band, ci sono i canzoni che abbiamo suonato per 4 anni a Londra ma l’album si apre con pezzi che abbiamo scritto dopo aver maturato nuove idee, soprattutto facendo tesoro delle sensazioni che ogni live londinese ci lasciava, cercando di mettere a fuoco sempre più la nostra identità di band, che è una cosa che prende molto tempo e tanti discorsi su cosa amiamo del fare musica o di suonare live, individualmente abbiamo stili diversi e tradurre questa diversità in un sound nostro personale è la sfida che più ci ha appassionato
Partirei da un dato di fatto evidente: possono cambiare i ritmi e gli stati d’animo nel disco, tra ballate e pezzi più sostenuti, eppure la melodia chiara e limpida mi pare sempre il vostro punto d’arrivo. Che ne dite?
Ci fa piacere che lo noti, perché è una cosa che ricerchiamo molto: siamo amanti di band come Beatles, Oasis, U2, Coldplay, e per noi le canzoni devono avere un’ identità e non essere solo un groove che gira, 4 accordi e la prima melodia che ci viene sopra. Infatti è strano dirlo ma ricerchiamo molto la semplicità, che è molto più difficile da raggiungere di quanto si creda, e quindi in questa ricerca ci troviamo ad amare le melodie che sono più incisive, non per forza orecchiabili, ma che lascino un segno definito, così che ogni canzone abbia un carattere apprezzabile. Avviene tutto a livello inconscio comunque, se una melodia ci piace subito ci guardiamo e cominciamo a ridere perché ci ha eccitato o ci ha emozionato, ci deve far ridere tanto.
Ottima la scelta di Stay Awake come singolo per l’album, perché mi pare assolutamente rappresentativa della vostra capacità di assere avvolgenti e d’atmosfera per poi aprirsi a toni più epici. Un biglietto da visita, mi par di poter dire, ideale per l’intero album…
Grazie, Stay Awake è una canzone che racchiude vari concetti che ci riguardano, musicali e non: c’è l’insicurezza che diventa poi forza attraverso la voglia di esprimersi del protagonista della storia, la musica si intensifica lungo il brano per dipingere l’urgenza e la voglia di dire qualcosa di segreto, molte delle frasi che il protagonista dice sono in realtà solo nella sua testa, facciamo sempre il tifo per lui, come quando un amico vuole dichiararsi alla ragazza che ama, speriamo sempre che tutte queste sensazioni arrivino in qualche modo quando la si ascolta, e quindi si è rappresentativa dei temi e delle atmosfere dell’album. L’assolo finale è epico perché amiamo gli assoli di chitarra epici, però fatti con gusto…
Mess Painter sembra proprio scritta, con quel pregevolissimo lavoro ritmico, per diventare uno di quei pezzi che dal vivo scaldano la gente, sbaglio?
Si, l’abbiamo trasformata, in questi 4 anni la suonavamo diversamente, col pianoforte e la cassa in quarti da subito, poi ci ha preso un giorno in saletta in maniera diversa, Mattia De Santis alla batteria ha tirato fuori quell’incastro, abbiamo tirato e reso più aggressivo il ritornello, via il piano, dentro l’elettrica, più incisività, più esplosività, ci ha fatto ridere parecchio e allora abbiamo capito che l’avevamo resa più divertente per noi da suonare, aveva già un bel ruolo nel nostro live, ma ora è proprio fica da suonare e penso che la gente l’abbia apprezzata di più.
Avete parlato prima di assoli. Ecco, questi, per colpirmi, devono essere fatti bene e sopratutto “avere un senso” nel brano, non mera dimostrazione di bravura. Nel vostro caso, quello di Gravity è proprio il gioiellino su una torta perfettamente riuscita. Era presente fin dall’inizio del brano?
Possiamo dire di si, nel senso che appena ci siamo incontrati è sembrato subito chiaro che un bell’ assolo di Oliviero sarebbe stato un momento che avrebbe dato qualcosa in più alla canzone, e la melodia la fa da padrone in quel solo, non si perde mai in virtuosismi futili. Un altro assolo che vorrei segnalare però è quello di Two Idiots, quello è senza dubbio il momento dell’album che preferiamo, Oliviero ha un tocco e un’espressività indescrivibile, le tre sezioni che crescono in maniera diversa e il timing della melodia sono particolarissime, sembra molto naturale all’ascolto ma in realtà è come se Oli suonasse il solo mentre attraversa una corda sospesa nel vuoto, mantenendosi in equilibrio, è come se con la chitarra parlasse, è difficile da spiegare ma c’è molto molto più di quel che si sente dentro, e non stiamo parlando di tecnica ma di espressività, intenzione, è un solo che vive di vita propria. Gli assoli per noi devono essere questo, devono dire qualcosa che la voce e le parole non riescono a comunicare.
How The Hell è pazzesca: pronti, attenti e via e c’è già il ritornello. Mi piace tantissimo questa costruzione in un brano che poi sembra far mergere più il lato rock che quello pop…
Ci piace che pensi che sia pazzesca! Si, volevamo colpire forte con quella, non volevamo dare tempo di capire cosa stesse accadendo, come un round di Apollo Creed, è strano ma a Londra quando suoni lo fai in serate con altre band, e hai di solito 30 minuti, quindi abbiamo maturato la necessità di colpire in velocità in qualche modo, non facciamo mai canzoni in un certo modo perché sono più funzionali o altro, invece cerchiamo di parlare, prendere feedback dalla gente, maturare una convinzione che quindi poi diventa una specie di istinto che ti porta a scrivere la prossima canzone con un piglio che prima non avresti avuto, How The Hell è una delle ultime canzoni che abbiamo scritto per l’album e credo abbia beneficiato delle chiacchierate autocritiche che ci facciamo.
C’è una canzone che, riascoltandola adesso, vi soddisfa un po’ più delle altre, magari perchè in studio vi ha fatto “penare” un po’ più delle altre?
Siamo molto molto legati a Two Idiots, è una canzone nata in maniera particolare, per tre motivi: un giorno un mio amico mi raccontò l’epilogo della sua storia d’amore e mi ha chiesto di scrivere una canzone su di lui, io ho prontamente risposto che non funziona così, non è che si può scrivere così a comando, camminavamo, e dopo soli 20 metri mi è partita in testa la melodia, dopo un solo minuto c’era già tutto, ho dovuto registrarla al volo sul cellulare per non dimenticarla, è stato pazzesco. In secondo luogo è la canzone in cui c’è la miglior fusione dello stile rock anglo-americano e quello delle nostre radici italiane, è un’idea che ci segue sempre, fare indie-rock internazionale ma usare le nostre radici italiane, certe volte è inevitabile, nessun gruppo inglese potrebbe fare una canzone rock con il sapore di una canzone di Battisti o di Baglioni, perché semplicemente loro non sanno minimamente di cosa stiamo parlando, quindi nelle nostre canzoni è inevitabile che ci sia sempre un retrogusto particolare, il nostro background è diverso, in Two Idiots questa cosa è proprio positivamente lampante. Terzo c’è l’assolo di cui parlavamo.
Mi piace molto che, sul vostro Facebook, fra le varie influenze abbiate citato molti gruppi inglesi, il buon Battisti ma anche un gruppo che adoro come i Goo Goo Dolls. Un brano delizioso come Connection pare proprio uscire dalla loro penna più ispirata…
I Goo Goo Dolls hanno qualcosa di magico, sound molto americano, ma tra le note dissonanti dei violini e delle le chitarre di Iris o Black Balloon si trova una sospensione, una sensazione di incompiutezza che in realtà dipinge un panorama infinito, come la siepe di Leopardi che nasconde parte della vista e che quindi apre all’immaginazione, Out Of Control penso è un brano in cui si può sentire la loro influenza. Ora che mi ci fai pensare Connection forse può riportare alle atmosfere della loro Acoustic #3 da ‘Dizzy Up The Girl’.. Abbiamo scritto Connection chiedendo ai nostri followers su facebook di scrivere qualsiasi cosa, titoli, frasi, temi e creare insieme l’ultima traccia del disco, è stato bello perché volevano che parlassimo del sentirsi legati anche a migliaia di chilometri di distanza, alcuni di loro ci seguono dagli USA, dal Messico, dal Brasile, e arrivare ad una canzone che per noi significa anche molto è stato importante, e ci piace ricordare come quella canzone farà ormai parte della nostra vita, ma non sarebbe mai esistita se loro non avessero voluto partecipare, ritagliarsi il tempo di rifletterci, esporsi e dire la loro, proporre la loro idea o la loro frase.
Avete incontrato altri italiani musicisti nella scena londinese? C’è qualche band con cui siete particolarmente legati e che magari ci volete consigliare?
Sinceramente no, di musicisti italiani ne conosciamo molti, ma non ti saprei dare un nome di una band da seguire, Londra è un mostro che ti divora il tempo, e quando tutti staccavano da lavoro e si prendevano le proprie ore di riposo, era lì che noi attaccavamo il nostro lavoro di band usando tutto il tempo a disposizione fino a dormire poche ore per notte, quindi il pochissimo tempo libero lo abbiamo passato a cercare di stare con gli amici e le persone che ci hanno supportato in questi 4 anni.
Il cantante dei Divine Comedy, in una precedente intervista con un nostro collaboratore che a quel tempo abitava proprio a Londra, tra il serio e il faceto, gli disse che avrebbe fatto bene ad andare via da quella città. Qual’è il vostro rapporto con questa metropoli, non tanto musicale, quanto proprio sociale? La Brexit ha lasciato il segno?
La Brexit lascierà il segno, per ora ha fatto diminuire l’afflusso di persone verso Londra. A livello sociale vorremmo denunciarla fermamente. Infatti pur non potendo negare che questa città ti dia delle reali possibilità di fare quello per cui nutri una vera passione, e che questa sia la sua migliore qualità, Londra è una trappola per molte persone, c’è uno sfruttamento molto pronunciato degli individui. Con Human Machines abbiamo voluto raccontare proprio questo lato, Londra ti da possibilità di investire su te stesso, ma allo stesso tempo ti sfrutta, questo fa crescere una forma di egoismo veramente pronunciata, per cui tutti cercano di sfruttare tutti, e l’umanità viene smarrita molto facilmente. Hai mai provato ad attraversare la stazione di Waterloo? Nessuno si sposta o cambia passo per non “collidere” con te, tu lo devi fare. In italia in confronto sembra che abbiamo incorporato l’autopilot della Tesla. Si può migliore la propria situazione col tempo, e si può raggiungere una vita migliore in breve tempo, ma Londra sembra mancare di contatto umano, una cosa che ad esempio facendo un tour nel nord dell’Inghilterra e Scozia non abbiamo trovato, lì la gente è più accogliente e disponibile, a Londra tutto e business, e anche tu sei il business di qualcun’altro.
Grazie ancora per questa chiacchierata ragazzi. Progetti per questo 2017?
Grazie a te! A metà settembre uscirà Human Machines come singolo, con campagne radio in UK, Italia e alcune parti d’Europa, sperando nel meglio, quindi stiamo organizzando un piccolo tour UK per fine ottobre, e cercheremo di fare qualche live in più in Italia, che è il nostro Paese e il Paese che vorremo sempre più rappresentare.