Interview – Krank

Bologna, via del Pratello, domenica pomeriggio. Incontramo Krank ovvero Lorenzo Castiglioni (già Drunken Butterfly) per parlare del suo disco d’esordio – Un posto dove nasconderci – in uscita il prossimo dicembre. Abbiamo parlato dell’album, delle origini questo nuovo progetto, del presente, ma anche del suo futuro. Buona lettura!

Il prossimo dicembre esce Un posto dove nasconderci, album d’esordio di Krank. Eppure questo progetto è nato tempo fa. Ricordo il debutto con la cover Stati di agitazione dei CCCP, seguito da un ep e da altri pezzi inediti in versione acustica. Come mai il disco esce dopo tutto questo tempo, considerato che di materiale ce n’era abbastanza per un disco?
In realtà è stata una cosa voluta, perchè dopo tanti anni di Drunken Butterfly sentivo l’esigenza di fare qualcosa per fatti miei. Al tempo stesso, sapevo che per fare un progetto completamente da solo, avrei dovuto prendere le giuste misure; per cui mi sembrava che fare un disco intero subito, di getto, sarebbe stato troppo impegantivo. Ho registrato tanti pezzi, fatto una selezione, e solo dopo ho deciso di pubblicare un EP, per cominciare a vedere come poteva essere il progetto.

Quindi i pezzi di questo disco sono successivi o precedenti all’EP?
Questo è veramente un disco che è nato come Krank, totalmente. Durante tutta la prima fase c’erano in mezzo tante idee e varie, materiale che stava lì, ma che non sapevo se e come utilizzare, se per i Drunken Butterfly o per un progetto solista. Il primo lotto di pezzi non è Krank al 100%, a differenza di questo disco che lo sento mio totalmente, dall’inizio alla fine. C’è volutamente una sintesi assoluta di quello che ho fatto musicalmente in più di 20 anni: l’elettronica più cattiva che caratterizzano i DB, ma ho voluto mettere dentro anche un po’ di “cantautorato”, anche se forse non è proprio il termine esatto. Secondo me, questo disco ha tante anime diverse.

Anche se in parte mi hai risposto, ti chiedo: come è nato il disco?
Questo disco è nato di notte, un po’ per esigenze, un po’ perchè è bello creare di notte… Al di là degli impegni quotidiani, il punto è: concepire l’essere musicista come un lavoro o meno. Paradossalmente, lavorare diventa un vanatggio perchè in questo caso dedicarsi alla musica diventa il momento che ti prendi totalalmente per te stesso, lontano da tutto e da tutti. Non so se la cosa sarebbe identica se interpretassi la musica come lavoro a tutti gli effetti.

Quindi secondo te cambia l’approccio del musicista?
In Italia non siamo come all’estero che hai la casa discografica che ti dice “pubblica il disco ogni tot. anni”, lì diventerebbe veramente un qualcosa anche di pressante. In Italia non siamo a questi livelli, anche rispetto ai nomi più grossi. C’è molta più libertà sotto questo punto di vista. Cambia l’approccio se fai musica nella logica del guadagno e del sostentamento nella vita. Per me non è così, per cui il rapporto con la musica diventa molto più puro. E’ per questo che ho sfruttato tantissimo la notte: è il momento in cui sono completamente solo ed in silenzio, è una sensazione bella, di intimità, senza alcun tipo di pressione. Io avevo già iniziato date, ep, avevo tutto il tempo per uscire con un disco fatto bene, tanto che anzi il primo approccio è stato liberissimo, della serie “butto giù la prima cosa che mi viene in mente”. Solo dopo ho cominciato a scremare e razionalizzare un po’. All ‘inizio, i primi 2-3 mesi sono stati di scrittura free al 100%.

Scrivi primi i testi o la musica?
Proprio perchè il mio approccio è stato liberissimo, tiravo fuori qualunque cosa mi venisse in mente. Ho lavorato un po’ al contrario rispetto a come lavoro coi Drunken Butterfly.
Con loro quasi sempre – soprattutto negli ultimi dischi – siamo partiti dalla base ritmica, per cui la voce diventa necessariamente qualcosa che devi quasi incastrare, invece qui il bello è stato proprio la libertà di poter dire “comincio anche dalla voce, oppure con chitarra e voce, piano e voce “, è stato un approccio molto libero e soddisfacente.

Le vie del mare e Vedrai anticipano l’uscita del disco. Perchè la secelta è ricaduta proprio su questi due pezzi?
Le vie del mare perchè è la prima canzone che è nata, e forse quello a cui mi sento più legato. Probabilmente perchè è la prima, o forse perchè c’è proprio l’estrema sintesi di quello che sto facendo in questo momento: c’è l’acustica, l’elettronica, una melodia vocale secondo me abbastanza accattivante. Per Vedrai non è stato così “a pelle”. E’ stata più ragionata. Ho scelto un pezzo di tre minuti circa, per la solita logica del singolo. Forse la scelta è più legata alla logica del video. In questo caso c’è un po’ una continuità rispetto a tutto quello che ho fatto coi Drunken Butterfly ultimamente; sia come sonorità, sia come testi. Io ho un po’ la fissa per lo Stato dispotico, per il controllo delle masse, ect. E’ un qualcosa che inevitabilmente torna. I miei romanzi preferiti sono 1984 di Orwell, e tutto quel filone.

Krank nasce come elettronica perversa e malata, ma differenza del passato ti lasci un po’ andare, mostrando un lato più sentimentale. Mi riferisco, in particolare, a In preghiera che svela un’altra faccia di Lorenzo Castiglioni, o Madre, che ha un testo che mi ha veramente commossa. La malinconia prende una forma musicale variegata che spazia dall’elettronica, a chitarre scure e taglienti a linee melodiche… Ti va di parlarci di questa evoluzione?
In effetti, adesso che mi ci fai pensare, quando è nato questo progetto ho usato quella sigla “elettronica scura, chitarre taglienti e voce inquieta”. In realtà, il progetto si è un po’ trasformato. Se pensi che alla fine come pezzo d’esordio ho scelto la cover dei CCCP che è stata stravolta in maniera quasi industrial… Già l’originale era un pezzo bello claustrofobico, io penso di averlo appesantito ancor di più! Appunto, rientra nel discorso che facevo prima, è un mio lato, ma non l’unico. Pensa che ho iniziato a dedicarmi alla musica studiando pianoforte al conservatorio, per cui studiavo Chopin e simili. Anche questo inevitabilmente ti rimane. Poi, ho sempre apprezzato quei gruppi che oltre ad utilizzare una strumentazione molto ampia, fanno anche dei dischi variegati. Penso ai Radiohead o ai Nine Inch Nails. In Italia forse quelli che apprezzo di più da questo punto di vista sono i Verdena, perchè fanno proprio questo tipo di ragionamento, in ogni disco e in ogni live. In un’intervista, Alberto diceva che i suoi concerti non durano meno di un paio di ore e mezza, perchè se fossero più corti non riuscirebbe ad esprimere tutta la gamma dei colori che stanno intorno ai Verdena. Mi ci sono rivisto molto. In effetti, questo era proprio il limite che riscontravo nei DB: basso e batteria picchiano sempre tanto, era sempre molto difficile riuscire a far passare qualcosa di più moderato. Io ho bisogno anche di questo. Ho bisogno di tutto. In preghiera è quello: è un pezzo semplicissimo, scarnificato al massimo con la voce in primissimo piano. Anche questo è uno degli aspetti che riflettono il mio carattere e il mio modo di fare musica.

Ascoltando l’album, la sensazione è quella di un racconto lungo 11 tracce in qui sembra dominare il fallimento e l’abbandono, la voglia di nascondersi e di correre in un posto sicuro, appunto alla ricerca di “un posto dove nascondersi”…
Si, è una descrizione giusta. E’ difficile che tu riesca a produrre qualcosa che abbia un valore elevato quando sei felice al 100%, e quando tutto funziona bene. Anzi, secondo me, non la cerchi neanche la forma d’arte quando va tutto bene, perchè vivi e stai bene così, e questo non solo nella musica, ma rispetto all’arte in generale.
Quei gruppi molto solari, con gli accordi in maggiore, non mi hanno mai appassionato più di tanto. Prendo come esempio i Radiohead su tutti; c’è gente che proprio non riesce ad ascoltarli perchè particolarmente pesanti dal loro punti di vista, per me non è così, quindi è un fatto caratteriale. Quando scrivo è quasi come se esorcizzassi tutta una parte negativa, la parte più brutta. Serve anche come forma di terapia. Tiri fuori quello che c’è di brutto, triste…
Poi, tornando al discorso che ti facevo prima, del controllo della società, della società occidentale che ti obbliga ad avere determinati ritmi, a condurre la tua vita in un certo modo per forza di cose. C’è chi scende a compromessi, chi mangia biologico ad esempio, e così via. Ma è un tentativo un po’ sterile. Se vuoi fuggire vai a vivere in India o vai in montagna a fare l’eremita e a coltivare il tuo campo. Ci vuole un taglio netto, se stai qui inevitabilmente fai i conti con quello che ti circonda.

Quindi il senso di fallimento, di frustazione…
Eh si… spesso mi dicono: “Sì, però, ‘mazza che pesantezza…”, riferendosi sia ai pezzi che alle atmosfere sempre un po’ cupe. Io non lo vedo come pessimismo, ma come realismo.

Beh, ci sono gruppi allegri e solari e quelli che sono tristi e pessimisti. Ma questa distinzione vale anche per gli ascoltatori. Quindi, puoi stare tranquillo che sicuramente esiste un pubblico che si ritrova in un certo tipo di musica…
Si, anche nelle altre discipline, vedi gente che ha vissuto male interiormente, è morta male, ma più stai male, più hai una vita complicata, più tiri fuori capolavori.

Proprio nella title track canti “Se tu fossi qui, mi riprenderei, conosco un posto dove nasconderci”. Mi viene da chiederti, conosci davvero questo posto? E credi che debba essere condiviso?
Eeeeh… non lo so. Mi verrebbe da dire che dipende dai momenti. Io tendenzialmente ho bisogno dei miei spazi, di avere dei momenti in cui sto da solo. Al tempo stesso, mi rendo conto che è anche importante non perdere il contatto con la realtà. Non so se esiste, più no che si . Forse, se c’è, è quello spazio che prendo per comporre da solo.

Se avessi la possibilità di scegliere di collaborare con qualcuno – sia a livello italiano che internazionale – con chi lo faresti?
A livello internazionale i massimi riferimenti sono i Radiohead e i Nine Inch Nails. Si, direi NIN. A livello italiano, Iosonouncane, mi piace tantissimo. Ecco, mentre ti rispondo mi rendo conto che mi piace un certo tipo di approccio alla musica, quella che ha lui. Lui ha una gran testa.

Come descriveresti Krank dalle origini ad oggi. Sviluppi e evoluzioni in futuro?
Krank sta cambiando. Assecondo molto quello che succede proprio perchè è un progetto mio, che riesco a condurre come e quando voglio. Se l’inizio è stato abbastanza vicino ai Drunken Butterfly, adesso ha preso una direzione diversa. Nel disco è chiaro. Per certi versi è stato voluto, per provare a fare qualcosa di più melodico. L’evoluzione è stata molto naturale. Mi piacerebbe fare concerti non classicamente intesi, fare djset (che in realtà ho già fatto), o ripetere l’esperienza della sonorizzazione che ho fatto coi DB. Anzi, questo lo farò sicuramente. E’ una esperienza accattivante perchè ti impone un modo di composizione molto preciso: parti dalle immagini, guardi e suoni. E’ radicalmente diverso perchè quando componi una canzone parti da zero, mentre sonorizzare un film significa essere suggestionato escusivamente dalle emozioni. Krank è un progetto che andrà avanti perchè mi dà tante soddisfazioni. Non escudo che da progetto solista possa allargarsi ad altre persone, e magari potrebbe essere un progetto solista solo nel momento compositivo. Come Iosonouncane che chiama altri musicisti per i suoi live. Ecco, qui è ancora diverso: fai il disco da solo, ma poi lo riarrangi in vista di un live dove ci saranno altre persone. La musica è bella anche per questo: riesci ad organizzarti nei modi più disparati. Anche l’accesso all’elettronica: quando ho iniziato c’erano costi proibitivi, per cui era limitante. Andavano i gruppi più classici, io stesso ho iniziato con basso, chitarra e batteria. Adesso tutto questo mi sta stretto, ed è difficile che ormai riesca ad appassionarmi ad un gruppo classico, che non ha nient’altro al di fuori degli strumenti classici. Oggi abbiamo a disposizione tante possibilità, anche con due soldi puoi comprare quello che vuoi, e questo è uno stimolo estremo. Se dovessi fare pezzi sempre con la chitarra, avrei già smesso da tempo, mi sarei annoiato.

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