Interview – Klee Project

Su Indie-Roccia non possiamo certo dire di soffermarci su produzioni metal o comunque legati a quel mondo sonoro. Ma le eccezioni che confermano la regola ci stanno, assolutamente. In questi giorni la mia curiosità è stata attratta da un progetto chiamato Klee Project, a conti fatti una vera e propria “all-stars band”, nata dalla collaborazione e dalle idee di Roberto Sterpetti ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six). Insieme a loro gente del calibro di Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli al basso e Antonio Aronne alla batteria. Il 28 ottobre è uscito, via Memorial Records,  The Long Way, il loro album d’esordio: un concentrato di metal classico, con riff incisivi ed energici che però trova moltissimi sbocchi e divagazioni, aprendosi al southern rock, così come agli arrangiamenti d’archi e a fascinazioni elettroniche. Un disco ambizioso e suggestivo sul quale mi piaceva scambiare due parole con l’amico Erk.

Erk, quanto tempo. Prima di tuffarci in quest’ ultima avventura ti chiedo di riassumerci un po’ cos’hai fatto in questi anni?
Ciao Ricky e grazie per l’intervista, e’ un piacere riparlare con te. Beh dopo i Cheope, che ho congelato per un lungo periodo, sono entrato nei Figure Of Six, metal band romagnola e registrato un disco con loro Brand New Life ed è stata una bella esperienza. Durante quel periodo, con Roberto, il mastermind del Klee Project, abbiamo deciso di portare avanti tutta una serie d’idee che avevamo scritto e che piano piano sono diventate quello che oggi è The Long Way, il debut del Klee Project appunto.

Il Klee Project è un ambizioso progetto che racchiude numerosi musicisti. Com’è stato riunire questa squadra così quotata? E sopratutto come e perchè è nata quest’idea?
Le nostre esperienze artistiche a livello professionale maturate negli anni, ci hanno permesso di coinvolgere una serie di amici che eravamo sicuri potessero definire in maniera inconfondibile il sound del progetto: Marco Sfogli, Lorenzo Poli al basso e Antonio Aronne alla batteria, nonché una vera orchestra sinfonica diretta ed arrangiata dal Maestro Francesco Santucci, che ci ha deliziato con un solo di sax sulle chitarre di Massimo Alviti nella reprise di Lucrezia’s Night. Inoltre abbiamo avuto il contributo di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend), che ha arrangiato magistralmente il violoncello su Hereafter.
L’ album è stato registrato al Memphis Recording Studio di Roma da Gabriele Ravaglia che ha lasciato il suo Fear Studio con una station wagon carica di amplificatori e chitarre! Volevamo solo il meglio in circolazione!

Collaborare con una “all-stars band” è difficile? Si tratta ovviamente di gente navigata e ricca di esperienze e magari abituata a certi ritmi di lavoro o a certe metodologie che magari non coincidevano con le vostre.
In realtà non è stato difficile. La pre-produzione è stata abbastanza semplice visto l’utilizzo di internet potevamo trasferire file e idee molto velocemente. Questo ci ha permesso di essere preparati per la fase di registrazione che abbiamo concordato rispettando gli impegni di tutti.
La ricerca di un sound ben preciso è quello che ha richiesto maggior sforzo. Per questo ci siamo affidati per il mix a Francesco Altare, che ha saputo valorizzare le composizioni in maniera eccellente dandogli il giusto “punch”. Per il mastering non potevamo non affidarci a Riccardo Parenti, col quale collaboriamo da anni, che nel suo Elephant Mastering ha dato alla grande quel vibe analogico, ma cristallino che desideravamo. Abbiamo anche una vinyl version, dato che sta tornando in voga.

Mi sembra che lo spirito che sta alla base di questo progetto sia l’assoluta volontà e capacità di spaziare, sia nei suoni che negli arrangiamenti: dal metal classico a emozioni quasi anni ’80, dalle ballate a riff graffianti e carichi. Non vi siete posti limiti o sbaglio?
Abbiamo unito i nostri gusti musicali contaminandoci a vicenda. Band come Nickelback, Alterbridge, Shinedown, Foo Fighters, ma anche gruppi come Depeche Mode, Genesis, Marillion, Def Leppard uniti ad elementi elettronici e orchestrazioni ricercate sono la nostra matrice. Il tutto è stato davvero molto spontaneo e abbiamo scritto di getto con cuore e passione tutto quello che volevamo esprimere, senza limiti.

Ci sono alcuni brani che potremmo definire classici, penso al piglio sudista di ‘Southern Boy’ o la struggente ‘If You Want’, ma anche un brano assolutamente fuori dai canoni come ‘Hereafter’, che adoro, quasi Depeche Mode. Mi parlate di questo arrangiamento così elettronico che si sposa con quel lavoro sugli archi?
Hereafter è un brano che abbiamo aggiunto perché ci mancava un link tra una fase della storia ed un’altra. E’ il brano che segna un punto di svolta nella vita del protagonista, che per uscire di prigione si trova a firmare un contratto discografico un poco “capestro”, proposto da un A&R piuttosto “sinistro” e senza scrupoli, ma non voglio svelare tutta la storia. Ci serviva un’atmosfera che rispecchiasse cio’ che stava succedendo, un sound malato, elettronico che facesse da contorno a quel “patto col diavolo” rappresentato dal violoncello registrato magistralmente da Tina Guo. I Depeche Mode sono un gruppo che rappresenta molto Roberto, che ha interpretato quelle atmosfere in maniera incredibile.

Ci credete che, ascoltando ‘Close To Me’ mi vengono sempre in mente i Duran Duran?
Questa cosa è curiosa. Tu ci vedi i Duran Duran, altri i Def Leppard, forse per le frasi sul ritornello di Marco. In ogni caso la cosa bella e’ che ognuno possa rispecchiarsi nella nostra musica non ponendosi limiti come non ce ne siamo posti noi scrivendola.

Più ascolto il disco più apprezzo ‘The Prisoner’, così ricca di cambi di tempo e di sonorità: sembra proprio essere il vostro manifesto sonoro, perchè racchiude molte delle vostre anime, per non parlare degli archi, bellissimi e del micidiale assolo. Che ne pensate?
E’ il primo brano scritto per il progetto. Nato quasi per caso, volevamo scrivere un brano stile Evanescence ed Avenged Sevenfold e abbiamo unito degli elementi che ci piacevano in particolar modo: la potenza del metal, parti elettroniche e atmosfere sinfoniche. Il risultato ci aveva talmente soddisfatto che abbiamo deciso di dare un seguito scrivendo l’album.

Parlando di archi. come ci hai detto, che c’è stata la collaborazione con una vera e propria orchestra: anche questo è sicuramente un bel segnale ambizioso ma…missione compiuta, no?
Siamo molto contenti e l’orchestra ci ha dato quell’apertura in più che ci serviva.
Il fatto di non avere degli obblighi di percorso ci ha permesso di spaziare sul fattore arrangiamento in maniera molto aperta mettendo in essere tutte le conoscenze che entrambi abbiamo accumulato nel nostro percorso artistico. In particolare sono sempre stato affascinato dalle orchestrazioni sinfoniche e non nego che sarei voluto diventare un direttore d’orchestra. La mia forma mentis poi è veramente particolare, basta considerare il fatto che in adolescenza ascoltavo solo Beethoven e poi mi sono ritrovato ad ascoltare (dal mio amico di pianerottolo!) gli AC/DC, Saxon, Iron Maiden, etc.

In un disco che trasmette carica e grinta mi piace tantissimo il finale con Lucrezia’ Night (Reprise), che ci culla in modo intenso e suggestivo alla fine del disco, una bellissima scelta.
La versione reprise del brano è nata il giorno delle registrazioni in studio dell’orchestra diretta dal Maestro Francesco Santucci. Dopo il primo ascolto, della canzone completa, ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di valorizzare un arrangiamento molto particolare, realizzando una versione sinfonica e aggiungendo anche suoni etnici della cultura Nativa Americana.

C’è un brano che magari non vi convinceva e ora risentendolo vi soddisfa in pieno?
In realtà non siamo mai contenti e troviamo sempre delle cose che vorremmo modificare… Ma prima o poi arriva il momento di mettere la parola fine ad un disco. Scherzi a parte siamo molto soddisfatti del risultato finale.

Sarebbe bello portarlo in giro un progetto simile. Dite sarà possibile?
Innanzitutto speriamo di poter arrivare a più gente possibile. Per il momento non abbiamo date previste. E’ una scelta sicuramente coraggiosa, ma ha un senso. Volevamo concentrare i nostri sforzi nella comunicazione di un messaggio musicale attraverso i social media, con videoclips, foto e tutto quello che ruota intorno ai musicisti del Klee Project, per poter creare una comunità di followers e fans che ci seguisse, in futuro, dal vivo.

Senti Erk, ma la tua passione per Michael Jackson è rimasta sempre immutata?
Ahaha, si sempre il grande Jacko non si tradisce mai e la sua scomparsa è di certo una perdita molto importante per il mondo della musica mondiale. Ci ha donato dei veri e proprio capolavori ancora attuali al giorno d’oggi e credo per Sempre!!

Grazie ancora Roberto ed Erk per la vostra gentilezza. Con quale canzone dal disco (o perchè no anche una canzone di qualche altro artista) potremmo chiudere la nostra chiacchierata?
Grazie a te per lo spazio che ci hai concesso e siamo contenti che tu abbia apprezzato le varie sfumature del Klee Project e vorremmo chiudere la nostra intervista con The Long Way che rappresenta il viaggio verso un sogno ed è un po’ la storia di tutti coloro che vogliono lasciare un segno con la loro musica o con Everybody Knows, di cui abbiamo anche girato un video. Scegli tu Ricky.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *