Interview: I’m Not A Blonde

Le milanesi Chiara ‘Oakland’ Castello e Camilla Matley, titolari del progetto I’m Not A Blonde, hanno recentemente pubblicato Under The Rug, un disco pop di gran qualità, nel quale il senso melodico e l’abilità in fase produttiva si pongono su un livello indubbiamente alto e si concretizzano in una serie di canzoni solide e dal forte impatto, capaci sia di risultare accattivanti, che di far riflettere l’ascoltatore grazie a testi che trattano tematiche importanti. Un disco che conquista subito e che cresce con gli ascolti. Ne abbiamo parlato al telefono con Camilla, che è stata disponibilissima a svelarci tutti i retroscena che ci interessavano, da come nascono le canzoni, a come sono nate le importanti collaborazioni, all’approccio delle due musiciste nei confronti della loro attività artistica.

Leggendo la presentazione del disco, c’è molta enfasi sul concept, ovvero l’importanza di affrontare le proprie paure e di non nasconderle “sotto al tappeto”. Sembra quasi che sia arrivato prima il concept e poi la parte musicale, ma mi sembra strano…
Infatti è successo esattamente il contrario, prima abbiamo scritto le canzoni, poi abbiamo trovato il filo conduttore. Una volta che avevamo le canzoni, abbiamo analizzato i temi che erano stati toccati nei testi e abbiamo visto che c’era questa esigenza di raccontare le proprie paure e la necessità di affrontarle. Penso che nella vita di chiunque ci siano momenti in cui le paure escono, e probabilmente, per Chiara, che è l’autrice dei testi, era arrivato il momento di affrontare certe cose, ad esempio il sentire il tempo che scorre, e questa è una cosa in cui mi ritrovo anche io. Ti trovi a dire “ho 38 anni, forse sono troppo vecchia per fare ancora questa cosa”.

Come, infatti, dite nel singolo.
Esatto, e poi ti viene da pensare “perché le persone dicono che, a un certo punto della vita, non si possono più fare cambiamenti o siamo troppo vecchi per certe cose?”. Concetti come questi vanno scardinati, soprattutto dentro di noi.

Anche io per diversi anni mi sono trovato a far cose per cui normalmente venivo visto come troppo vecchio. Poi, a un certo punto, ti senti troppo vecchio veramente, e inizi a stare più tranquillo e a vivere una vita diversa, e ricevi stupore comunque perché hai cambiato rispetto a prima, per cui, in alcuni casi, sembra che non vada mai bene niente…
È assolutamente così, e comunque nella mia vita mi rendo conto che sono stata io stessa a essermi posta dei limiti. Ad esempio, io ho sempre fatto musica, fin dall’età di 10 anni, ma l’ho fatto diventare una cosa seria molto più avanti, e di solito si fa una scelta del genere a 18-20 anni, ma io l’ho fatta molto dopo, quando ormai avevo già il mio lavoro, io faccio l’architetto. A questo punto, in molti possono pensare che io sia troppo vecchia per fare musica con questo impegno avendo già un lavoro, ma chi è che decide questo? Che c’è un’età in cui lo si può fare e un’altra in cui non si può?

Una volta, un musicista che mi piace molto ha detto che se a 40 ani fai ancora musica, sicuramente è una delle 2-3 cose più importanti della tua vita.
Sono d’accordo, e sicuramente lo fai perché hai ancora l’esigenza di esprimerti.

Chiara scrive testi su canzoni che scrivete insieme, o magari alcune canzoni sono nate dai suoi testi?
No, le canzoni non nascono mai dai testi. Spesso nascono da riff di chitarra miei, a cui abbino parti di ritmica, ma poi non mi piace completare il pezzo in modo definitivo, ma lo passo a Chiara, che ci mette la propria creatività con le parti melodiche, spesso improvvisando, e spesso in quel momento già inizia ad abbozzare il testo. Può poi capitare che quello che fa lei mi sposti l’idea da cui ero partita, per cui lei mi rimanda ciò che è uscito fuori fino a quel momento, così io posso di nuovo lavorarci e mettere altri elementi, come altre parti di chitarra, e lavorare su arrangiamento e struttura. A quel punto continuiamo a passarci la palla fino a quando andiamo in studio insieme e lì la canzone viene completata.

Parlando delle persone con cui avete lavorato, ovvero Leziero Rescigno, Lele Battista e Mario Conte, le avete scelte quando avete stabilito il tipo di disco che volevate?
Leziero suona la batteria con noi fin dal disco precedente, e con lui si è creata una buona affinità, in primo luogo personale. Lui ha sempre fatto anche il produttore, e per questo disco avevamo voglia di aprire ad altri il nostro processo creativo, così è successo che abbiamo scritto tutti i pezzi, e glieli abbiamo mandati e ci siamo seduti in sala con lui per sgrossarli e ripulirli. Lui lavora sempre con Lele, quindi il suo coinvolgimento è venuto da sé. Mario lo conosceva Chiara già da qualche anno, quando collaborava con Cesare Malfatti, i cui pezzi sono stati mixati proprio da Mario. Ci è venuto naturale pensare a lui una volta che ci siamo resi conto di ciò che stava uscendo.

Devo dire che viene naturale pensare a tutti e tre una volta che si ascolta il disco, secondo me in esso si sente anche ciò che loro hanno realizzato come musicisti.
Assolutamente, loro sono anche molto trasversali e esterofili, che sono due aspetti che si abbinano bene a ciò che abbiamo sempre fatto.

Secondo me, ascoltando il vostro disco, ha molto senso parlare di maggior maturità rispetto al passato, però ci sono artisti a cui questa parola non piace. Voi cosa ne pensate?
Dal punto di vista del nostro processo creativo, sento che abbiamo fatto un salto in termini di crescita e maturità. Nei primi EP c’era molta voglia di buttare dentro tutto ciò che avevamo, senza preoccuparci più di tanto di come sarebbe stato il risultato, ma con un’attitudine di “vediamo cosa succede”. Poi c’è stato l’album successivo, e lì c’era sì quell’impeto, ma anche l’ansia di sbagliare e fare il passo più lungo della gamba, e questo ci ha confuso le idee. Qui abbiamo lavorato con tranquillità ma anche con la consapevolezza di ciò che abbiamo sbagliato, e c’è stata la scelta di semplificare un po’ le cose dal punto di vista delle armonie e allo stesso tempo lavorando di più sugli arrangiamenti e sulle variazioni melodiche, certo, per il nostro suono semplice non è la parola giusta, però trovo che ci sia stata la giusta consapevolezza e che essa sia venuta fuori piuttosto naturalmente, senza sforzo.

Quindi, ad esempio, per i live avete intenzione di risistemare alcune canzoni vecchie alla luce di questa nuova consapevolezza, o intendete lasciarle così come sono state fatte?
Le lasceremo così, perché una cosa di cui ci siamo rese conto è che dal vivo sono canzoni che hanno molta carica, anche emotiva. Probabilmente su disco risultano un po’ troppo dense, specie in un’epoca musicale come quella attuale in cui si tende a semplificare tutto, però dal vivo la gente le apprezza e quindi le lasceremo così.

Faccio fatica a scegliere una canzone che emerga rispetto alle altre in questo nuovo disco, trovo che venga molto facile ascoltarlo tutto d’un fiato senza che ci siano momenti più forti o deboli. Chiedo a te se hai una o più canzoni preferite.
Non lo so, te ne devo dire almeno tre: Too Old, che è nata in un giorno e me la ricordo come scritta in una fase particolarmente bella, poi mi piace Latin Boys per il suo mood un po’ dark, e poi mi piace Not That Girl, che è l’ultima scritta, finita una settimana prima di entrare in studio e nata molto di getto.

Negli ultimi tempi, sembra che ci sia più facilità rispetto a prima per realtà italiane per farsi sentire all’estero, non so se voi ci avete pensato.
Questo disco esce non solo per INRI, ma anche per un’etichetta tedesca che si chiama Backseat. Sono due anni che stiamo lavorando in quei territori e abbiamo anche un booking. Abbiamo fatto un tour lo scorso febbraio e ne faremo un altro nel gennaio 2020, per cui stiamo guardando più all’estero che all’Italia, sia per la lingua in cui cantiamo, che perché c’è scarsa apertura mentale nel mercato italiano. Noi per ora siamo contente.

Cosa dobbiamo aspettarci dai concerti? Raccontaci cosa succederà sul palco?
Potremo essere o noi due, oppure con Leziero. Rispetto a prima ci sarà giusto qualche synth in più, visto che col disco nuovo abbiamo ampliato l’origine dei suoni. Saremo in tour in Italia fino a gennaio quando poi, come dicevo, continueremo nei territori di lingua tedesca.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *