Interview: Ex-Otago

Pochi giorni prima dell’uscita del nuovo album Marassi, ho avuto il piacere di partecipare a un incontro collettivo tra gli Ex-Otago e una decina di giornalisti presso la sede milanese della Universal. Di seguito le risposte date dalla band divise per argomenti.

Il suono del disco
Volevamo scrivere un disco molto contemporaneo, per cui questo non è un disco innovativo, però noi volevamo essere dentro a quello che accade fuori, e anche utilizzare le sonorità che caratterizzano il nostro posto, il nostro Paese oggi. Noi abbiamo sempre giocato con le tastiere, nel primo disco c’è una cover dei Duran Duran, quindi gli anni Ottanta li abbiamo già esplorati, però la nostra eterogeneità esce sempre, noi siamo da sempre una grande pentolaccia, abbiamo questo carattere qui. Possiamo fare un disco contemporaneo, meno contemporaneo, più di campagna, più di città, ma siamo sempre noi e le nostre sfumature usciranno sempre, perché ce le portiamo dietro.

Il contesto urbano e sociale dietro cui sta il titolo del disco
Marassi è anche un po’ una provocazione. Genova è sempre stata famosa, e lo è tutt’ora, per i vicoli e per De André, questo cantautorato gigantesco che sta sulle nostre spalle, da una parte è una ricchezza, ma dall’altra è un peso che non è sempre semplice da portare. Noi volevamo raccontare della Genova più comune, di cui poi non parla nessuno. È uscito questo sentimento di rivalsa di questi luoghi non luoghi, che a Genova si chiamano Marassi, probabilmente a Roma si chiamano Tor Pignattara o chissà come, a Milano non lo so, scegliete voi.
È un disco pop, un disco quotidiano, che vuole raccontare la quotidianità di un quartiere come ce ne sono mille in tutta Italia, raccontare questa vita che si svolge spesso all’oscuro delle grandi narrazioni, o dei grandi notiziari. Poi Marassi è un punto privilegiato di informazione, perché ci sono lo stadio, il carcere, i circoli, i quartieri popolari, le palestre di zumba. Tutte quelle cose che rimangono nelle nostre memorie ma di cui non si legge quasi mai sul giornale. Ci sono anche i cinghiali. La canzone che rappresenta meglio il quartiere è Cinghiali Incazzati, perché parla di tutte le figure che ci portiamo addosso e che spesso facciamo fatica a far convivere. È difficile essere artisti e contadini, ad esempio, e a Marassi siamo sicuri che esistano tante persone che non riescano a emergere per paura o perché legati alle consuetudini, perché è difficile, per mille altri motivi.
Quando uno scrive del presente, inevitabilmente parla di quello che vede attorno a sé, e, come dicevamo, Marassi è un quartiere ma come ce ne sono altri mille in Italia, nel presente. Cose come lo stadio, il carcere e i mille condomini sono abbastanza rappresentativi del nostro Paese. Poi per fortuna c’è anche il teatro, quindi ci sono tante sfumature.

La realizzazione del disco e il ruolo di Matteo Cantaluppi
Non solo il disco è stato concepito pensando a Marassi, ma è stato realizzato proprio vivendo il quartiere da dentro. Lì c’è la nostra Casa Otago, dove abbiamo registrato qualche synth e tutti i provini, quindi è naturale che il clima che si respira nel quartiere ci finisse dentro. Poi siamo stati affiancati da Matteo Cantaluppi, che è stato decisivo per guidare quello che avevamo in mente, ci ha proprio dato una mano nel capire alcune cose che non riuscivamo a fare, per inesperienza o per mancanza di mezzi tecnici. Noi gli abbiamo portato delle demo, e sapevamo che di solito lui lavora abbastanza di suo, infatti tante volte il rapporto con lui inizialmente può essere difficile, invece le cose sono andate subito bene. Lui ha un’impronta che si sente più o meno trasversalmente in tutti i dischi che ha prodotto, infatti noi siamo andati da lui perché sapevamo che la direzione che stavamo prendendo coi provini era adatta al suo stile. Lui poi ha caratterizzato ulteriormente e, in definitiva, abbiamo trovato una quadra concertata insieme, senza che ci fossero due posizioni, quella degli Ex-Otago e quella di Matteo Cantaluppi. Lui poi è molto dentro alle canzoni, lavora non come addetto terzo, ma anche quando parla delle canzoni, utilizza la prima persona, dice noi dobbiamo fare in questo modo o in quest’altro. È stato in grado di tradurre questo mondo che avevamo in testa. Il disco come lo avremmo fatto noi sarebbe stato più elettronico, lui ha trovato quel codice per rendere più armoniche le canzoni. Per noi è stata una bella esperienza anche perché, ogni tanto, delegare è la cosa migliore che si possa fare.

Il rapporto con Genova
Genova ha il piccolo difetto di essere molto conservatrice: i vicoli, il cantautorato, De André, non ci si chioda mai. Noi ne abbiamo un po’ le scatole piene. È un po’ quando si gioca a nascondino e si dice tana per essere al sicuro, non c’è niente di male ma è quella comfort zone in cui non si fa niente di interessante. Non che poi noi facciamo cose interessanti per fora, ma almeno ci proviamo.
Ci sarebbero tanti motivi per lasciare Genova, però alla fine ci siamo affezionati e ci piace l’idea che a Genova possa nascere una scena tra artisti di vario genere, ed è una cosa a cui speriamo di contribuire con questo disco. Si dice sempre che la nostra città è annoiata, noiosa, in cui succede poco o niente. In realtà, se si scava, si trova tanta gente che ha voglia di fare, in diverse zone della città. Noi spesso andiamo a vedere piccoli concerti al Teatrino dell’Altrove, di gruppi che saltano raramente agli onori della cronaca in un luogo altrettanto sconosciuto, però vorremmo che a Genova si creasse, e vorremmo farne parte, un qualcosa di collettivo.
Genova è una città che segna, perché mette insieme una marea di cose, di etnie, di architetture e noi siamo figli di questa cosa. Probabilmente, l’eterogeneità di cui parlavamo all’inizio sia dovuta molto al fatto che abitiamo a Genova, che ha la caratteristica di essere tutto e il contrario di tutto, ma anche di riuscire a far stare insieme tante cose, che non è da tutti.

Le influenze
Il nome dei Phoenix è stato citato da Matteo, poi con lui ascoltavamo tanto Mark Ronson. Diciamo che abbiamo fatto un po’ di pendolo tra gli Stadio e Mark Ronson. In generale, avevamo un certo tipo di spinta, poi Matteo con le sue conoscenze ci ha guidato, senza forzature. In ogni caso, quello che ascolti durante il percorso di scrittura di un disco si riversa inevitabilmente in quello che scrivi. Abbiamo anche ascoltato tantissimo Tycho, e se uno pensa agli Ex-Otago non è certo il primo riferimento che viene fuori. Ci piacciono anche un po’ di cose rap.

I testi
Quando scriviamo i testi, sentiamo la necessità di essere sempre molto concreti e di abbandonare il lavoro intellettuale fine a se stesso. Il lavoro intellettuale deve sempre essere abbinato a quello manuale, quando dicono che le mani aguzzano la mente, è vero. Dall’altra parte, però, ci vuole anche ambizione, perché solo con la concretezza non si va da nessuna parte. Se si riesce a unire concretezza e ambizione, può uscire qualcosa di interessante. E, come diciamo nell’ultima canzone, ci vuole coraggio, bisogna osare. Si può anche sfruttare chi osa per te, ti metti in scia e avrai una vita senza sorprese, bella tranquilla, e purtroppo molta gente ci casca. Di solito scriviamo per immagini, per stati d’animo e per onestà, lo sentiamo e possiamo scriverlo. Ad esempio La Nostra Pelle parla proprio di noi.
Scriviamo in italiano anche perché il nostro inglese è a dir poco maccheronico, potremmo definirlo dadaista. Stavamo pensando di fare come la Pausini dei tempi d’oro, ovvero tradurre alcuni singoli in spagnolo. Abbiamo scritto in inglese ovviamente, ma diciamo che con questa esperienza abbiamo già dato.

I prossimi live
Ci stiamo rifornendo di nuova strumentazione, più complessa, nuovi synth, abbiamo tanto da studiare. Eravamo molto affezionati alla nostra strumentazione vecchia, però adesso è il momento di passare ad altro. Se vi ricordate di quando dal vivo suonavamo il charango, il sax, il flauto, adesso non ci sono più, al loro posto ci saranno synth, campionatori e un basso. Di conseguenza, anche le canzoni vecchie le riarrangeremo in relazione a questa nuova strumentazione. Il basso e la chitarra elettrica saranno molto presenti.

Indie e mainstream
Secondo noi è arrivato il momento in cui devono infrangersi un po’ di barriere tra indie e mainstream, tra musica nazionale e internazionale e tra diversi generi, basta con queste barricate dietro cui ci si chiude inutilmente. Non è necessario per forza definire o definirsi, basta, dobbiamo essere più liberi tutti. Già il fatto che noi abbiamo iniziato a produrre il disco tramite crowdfunding, poi abbiamo parlato con etichette indipendenti e adesso ci ritroviamo in Universal, è emblematico del fatto che si può fare pop in modo trasversale.

Il calcio
Non siamo malati di calcio, però la rivalità Genoa – Doria la sentiamo. Del resto a Genova, diciamo Genova perché la conosciamo, ma immaginiamo che sia così anche nelle altre città d’Italia, il calcio ti arriva anche se non sei appassionato. Se il Doria ha perso e il tuo professore doriano ti interroga il lunedì mattina, sono problemi.

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