Interview – Dado Bargioni
Esce venerdì 17 settembre 2021Il Pezzo Mancante, il nuovo album di Dado Bargioni fuori per Ohimeme (www.ohimeme.com) e in distribuzione Artist First, prodotto da Luca Grossi presso Flat Scenario. In contemporanea, esce anche il singolo Le cose che cambiano. Finalmente è completamente svelato il mondo meltin’ pop del cantautore e musicoterapista piemontese.
Ognuno di noi ha il suo “pezzo mancante”, un qualcosa a cui sempre guardare e la cui ricerca, per molti, può definire il vero scopo di una vita. Certamente, per Dado Bargioni, questo disco rappresenta il tassello mancante di un percorso musicale arrivato ad una svolta, una manciata di canzoni che raccontano la maturità dell’artista e dell’uomo. Ma rimane lo spazio per l’immaginazione, per il prossimo pezzo che ancora non c’è, come a sottolineare che, nonostante la parola “mancanza” venga percepita dai più nella sua accezione negativa, qui vuole essere una dimensione positiva e propositiva. Un vuoto da riempire con le aspirazioni, i sogni e le passioni… insomma con tutto ciò che possa trasformarsi nel carburante per il motore della vita di ciascuno di noi e di cui tutti abbiamo bisogno.
«Amo mischiare le carte in tavola muovendomi liberamente nello schema classico della canzone pop. Lavoro in modo quasi ossessivo sul suono delle parole e mi piace costruire tessuti ritmici anche complessi. Quindi POP per me sono i temi che tratto nei brani ma a livello musicale non mi do regole. Posso scrivere su una pulsazione valzer in 3/4 come comporre su un ritmo funky. Credo che il mio modo di vedere e vivere questo genere derivi dal “primo pop”, quello beatlesiano, dai tempi in cui essere POP non significava essere drasticamente semplici sia sul piano del testo che della musica, anzi. Ci sono stati anni in cui la pop music era sperimentazione, per me deve essere ancora così. Si tratta di una mia necessità espressiva, piuttosto che di una scelta a priori.»
Gli abbiamo fatto qualche domanda in più!
- In che modo sei riuscito a rivalutare il concetto di “mancanza”?
In effetti tendiamo a considerare la parola “mancante” sempre nella sua accezione negativa. Ciò di cui parlo nel mio disco invece ha più una valenza di ricerca ed è quindi da stimolo per una continua crescita personale. E poi, ciò che manca, ha sempre un suo fascino. Il fascino dell’incognita, la possibilità che il tassello mancante di un puzzle ti porti a raggiungere una completezza faticosamente agognata. Completare potrebbe portare ad aprire una nuova porta e con lei la conseguente necessità e la voglia di ripartire con percorsi inesplorati. È Certamente quello che è successo (e sta tuttora succedendo) a me e a questo mio disco.
- E in che modo “Il pezzo mancante” rappresenta un cambio di percorso per te?
L’album ha avuto una lunga gestazione. Ha passato diverse fasi. Tre anni fa era già finito e mixato poi, riascoltandolo, ho capito che, inconsciamente, avevo ripercorso una strada già battuta (a livello di stile e sonorità). Ho sentito l’esigenza di trovare qualcuno che potesse ascoltare queste canzoni con un orecchio obiettivo, esterno e soprattutto “fresco”. In quel periodo è nata la collaborazione con Luca Grossi (produttore e musicista) e lo studio Flat Scenario. Abbiamo aperto nuovamente ogni traccia e le abbiamo ripensate, ri-immaginate. Erano canzoni già molto belle, ma con questa nuova veste e questo taglio di arrangiamento molto più moderno, ora sono perfette. Cioè… sono perfette per me (in tutti i sensi)!
- I brani ti rispecchiano ancora come nel momento in cui li hai scritti?
Nonostante sia trascorso un po’ di tempo dalla loro scrittura, devo dire che ancora oggi mi rispecchiano moltissimo. C’è molto di me, del mio pensiero, della mia piccola poesia e delle mille influenze musicali con cui sono cresciuto. Ed è per questo che lo posso definire “adulto”, a tutti gli effetti l’opera della mia maturità artistica.
- Cosa puoi raccontarci di quel periodo?
Come ho accennato queste canzoni arrivano da molto lontano. Sono state scritte nell’arco di 10 anni. Perciò non è facile raccontare di un determinato periodo, come se fossero nate tutte dal medesimo humus creativo in un breve lasso di tempo. Quello che conta è che comunque, nonostante la lunga elaborazione, oggi vadano a formare un tassello coerente all’interno di un unico album. Non so se siano degli evergreen ma suonano come tali e il tempo non conta… ma l’arrangiamento sì (ecco il perché delle scelte produttive e di quella mia insoddisfazione). Le canzoni restano ma cambia la confezione e si adatta all’orecchio di una nuova generazione.
- Quali sono le sei scelte di cui parli?
In realtà(ed ho volutamente giocato su questo equivoco) il “sei” non indica un numero. Il concetto espresso dal brano è che “Tu sei le scelte che fai”. Ogni nostra decisione (anche quella di non decidere) ci definisce come persone. Disegna la nostra personalità ed indirizza le nostre vite.
- Cosa puoi raccontarci di Flat Scenario?
È il regno dove (musicalmente) l’impossibile non ti sembra poi così “im-”! È la casa dove Luca Grossi lavora e gioca (nel suo significato più nobile e divertente) facendo il musicista, il produttore ed anche il sound engineer. Ho sempre invidiato i Beatles perché avevano a disposizione un super studio come Abbey Road per poter sperimentare … Con le dovute proporzioni è un po’ cosi che mi sono trovato al Flat Scenario. Strumentazione e microfoni di grande qualità e un produttore disposto anche a registrare lo scricchiolio della carta di caramella, se necessario. Il Flat Scenario è un luogo immerso nel verde e nei suoni dove puoi creare in tutto relax (c’è persino un appartamento se hai bisogno di più giorni). Il valore aggiunto è Luca, che sa come indirizzare questi tuoi sforzi creativi per confezionare una canzone che suoni, sempre, al top.
- Qual è la domanda che non ti ho fatto, ma che avrei assolutamente dovuto farti?
Nessuno ha mai chiesto dei miei cappelli. Quella dell’indossare sempre (quando mi vesto da cantautore) i grandi “newsboy caps” ad otto spicchi (tipo di cappello retrò in stile irish) è la caratteristica del “personaggio” Dado Bargioni. È un vezzo scaramantico che ho da moltissimi anni. Sono cappelli originali che cuce mia madre e che lei confeziona servendosi di stoffe legate al mio passato (impermeabili e jeans di quando ero ragazzo e persino un copriletto della mia cameratta). “Nulla si distrugge, tutto si trasforma”… è una regola che mi porto orgogliosamente in testa e che seguo anche quando mi lascio ispirare nello scrivere una nuova canzone (amo le contaminazioni di generi e stili e mi piace che si perdano e si ritrovino sparsi nei miei brani).