Interview: Andrea Parodi
Abbiamo sentito il cantautore canturino Andrea Parodi in occasione dell’uscita del nuovo album Zabala, dato alle stampe dopo 14 anni dall’ottimo Soldati e 11 dall’avventura con i Barnetti Bros. Nel frattempo Andrea ha fatto da tour manager, promoter e molto altro ad un grandissimo numero di artisti americani e non. Molti di loro hanno contribuito negli anni a comporre i dodici brani di Zabala.
Alcuni nomi: Alex Valle, David Immerglück dei Counting Crows, David Grissom, Larry Campbell & Teresa Williams, David Bromberg, Ryan Bingham e Scarlet Rivera.
Ecco cosa ci ha raccontato.
IR: Zabala arriva da lontano, in tutti i sensi, quando risale la prima registrazione?
AP: Tutto è cominciato a Genzano, Castelli Romani, a casa di Alex Valle. Alex è il chitarrista di Francesco De Gregori. Suona la steel, il dobro, il mandolino. Amiamo la stessa musica, siamo amici da tanti anni e prima ancora di andare in America, nel 2013, sono andato a trovare Alex e abbiamo scelto le canzoni e registrato dei provini. Qualche mese dopo sono volato a Austin per registrare il disco con Joel Guzman, straordinario fisarmonicista, al pari di Flaco Jimenez. Joel in quel periodo suonava con Paul Simon ma ci conoscevamo da molto tempo per via della sua collaborazione con Joe Ely. Il suono della fisarmonica di Guzman evoca la frontiera col Messico e quello era il colore più forte che cercavo. Quando sono rientrato in Italia avevo completato circa il 70% del lavoro. Avevamo registrato tutte le ritmiche, basso, batteria, chitarre e anche molte parti di organo hammond.
IR: L’ultimo brano che hai completato quale è stato?
AP:L’ultima fase del lavoro è stata molto intensa, le canzoni hanno preso forma insieme. Posso dirti la prima che ho completato però. Durante quel viaggio a Austin una sera mi sono sposato nel ranch di Joe Ely. Non era una cosa programmata. Ogni volta che andavo a Austin organizzavo una cena a casa di Joe Ely o di JT Van Zandt invitando un po’ di amici cantautori e musicisti. Pasta, vino e poi tutti in cerchio intorno a un bonfire (falò) a passarci la chitarra e suonare canzoni. Quella sera di aprile del 2014 c’erano JT, Andrew Hardin, Jimmy LaFave e ad un certo punto Sharon la moglie di Joe Ely prende per mano Elena e le chiede di indossare un vestito da sposa color pesca che aveva comprato quello stesso giorno senza motivo. Io non so esattamente cosa sia successo nelle ore successive, colpa del vino e soprattutto della Tequila, ma mi sono sposato con Elena sotto la quercia indiana secolare di Joe Ely. Un paio d’anni prima io avevo celebrato le nozze di JT Van Zandt in Sicilia a Noto. Quella sera gli dissi per gioco che avrebbe dovuto ricambiare il favore. E così è stato. Quando siamo tornati in Italia mia mamma era molto dispiaciuta di essersi persa il nostro matrimonio e così decidemmo di replicare anche in Italia, nel giugno del 2015. Come bomboniera per gli invitati preparai un cd e fu la scusa per andare in studio a finire una delle canzoni cominciate in Texas. Facemmo una session all’Edac Studio di Andrate da Davide Lasala con Bocephus King, Paolo Ercoli, Antonio Di Bella, Flavianio Braga e gli invitati al matrimonio ebbero un assaggio di un disco che in quel momento pensavo avrei finito pochi mesi dopo. Invece passarono altri 6 anni da allora. La canzone di cui parlo è C’è e in verità la versione su disco è differente da quella. Abbiamo aggiunto i fiati di Raffaele Kohler e Luciano Macchia e il pianoforte di Brian Mitchell e Radoslav Lorkovic. Però la chitarra fender di Bocephus King suonata un po’ alla Creedence è la stessa di allora, ma la cosa più emozionante per me è che ai cori ci sia Woody che aveva solo 3 anni, gli stessi che ha Geordie adesso che fa anche lui una piccola parte nel disco.
IR: Tutti gli ospiti hanno collaborato senza troppi problemi o qualcuno si è fatto desiderare?
AP: Queste collaborazioni speciali sono il frutto del lavoro e delle amicizie di tanti anni. Dei viaggi che ho fatto in America. Nei primi anni 2000 andavo ogni marzo a Austin per il SXSW e poi in questi anni ho organizzato molti tour in Italia di songwriters e band americane. James McMurtry è stato in forse fino all’ultimo perché quando doveva andare in studio a registrare suo padre si è sentito male e pochi giorni dopo è morto. Suo padre è Larry McMurtry, uno dei più grandi scrittori americani di sempre. James è dovuto correre in un altro Stato per assistere e salutare suo padre, preparare il funerale e tutto il resto. Non so come abbia fatto ad andare in studio di registrazione per cantare la mia canzone in quei giorni. Posso solo ringraziarlo di cuore.
IR: La tua idea era di fare, fin dall’inizio un disco con così tanti ospiti?
AP:Il mio difetto è che spesso mi faccio prendere la mano. Ma come fai a mettere un freno a tanta bellezza? Se fossi un allenatore di calcio giocherei sempre con 4 attaccanti e non metterei mai in panchina uno come Dybala. E qui di Dybala ce ne sono parecchi. Il modo di mio padre per dimostrare affetto era cucinare. Casa nostra era sempre aperta. C’era sempre qualcuno che si fermava a pranzo o a cena. Un venditore ambulante, un parente, un amico, o un’intera band anche nel cuore della notte. Questa cosa l’ho presa da lui. Fare un disco è come fare una cena, una bella cena, con tanti amici.
IR: Tutti i contributi sono stati registrati separatamente e poi mixati o sei riuscito di volta in volta a riunire tutti nello stesso studio?
AP: Quel famoso 70% del disco è stato fatto in una session a Austin nel 2014. Quelle sono le fondamenta del lavoro, che lo tengono insieme, in modo solido. Poi c’è stata la session per il matrimonio nel 2015, un’altra session l’anno successivo con David Immergluck dei Counting Crows, sempre all’Edac Studio e poi gli anni sono volati. Nel 2018 è nato Geordie e ad un certo punto ho smesso di pensare a questo disco. Qualcosa è scattato nell’ultimo anno. Nel dicembre del 2019 ho prodotto l’ultimo disco di Bocephus King al The Shelter Studio di Meda. Con Matteo Tovaglieri, il sound engineer dello studio, è scoccata subito una forte sintonia e nei mesi successivi quando eravamo bloccati in casa durante il primo vero lockdown ci siamo improvvisati a condurre due web radio insieme. Quello è stato il periodo anche delle prime registrazioni a distanza, per gioco, coi telefoni. Abbiamo registrato una canzone, tuttora inedita, Liberi, con Scarlet Rivera al violino, Bocephus King, Alex Valle, Patricia Vonne, Radoslav Lorkovic, Alex Kid Gariazzo, Claudia Buzzetti. Sicuramente questa canzone ha mosso qualcosa nella mia testa e tutto poi è venuto di conseguenza. Negli ultimi mesi abbiamo registrato a distanza, ma ho imparato a cogliere il lato positivo anche di questa situazione che stiamo vivendo. Mi riferisco alla dimensione virtuale che ci ha tolto tanto, tantissimo. Qualcosa che invece ci ha dato è l’annullamento delle dimensioni spaziali e temporali. Nella zona rossa, Meda per me era Austin Texas e con questo spirito abbiamo lavorato in una dimensione surreale dove non c’erano più distanze. Il disco ha preso forma, giorno dopo giorno, arricchendosi continuamente di nuovi colori.
IR: Leggendo chi ha collaborato in “Where the wild horses run?” (Joe Ely, James McMurtry, Greg Brown, Sarah Lee Guthrie, Ryan Bingham) vengono i brividi. Lo avresti mai immaginato?
AP: Bisogna sempre fare sogni grandi, che qualche volta si avverano. Questa canzone mi ricorda le cene in Texas. Con ognuno di loro ho condiviso momenti profondi, al di là della musica. Il ranch di Joe Ely deve avere qualcosa di magico perché ero presente quando Ryan Bingham si dichiarò alla sua futura moglie. Con Sarah Lee Guthrie e la sua famiglia c’è un’amicizia fortissima. E’ venuta in Italia al mio matrimonio. Sono stato con lei a suonare al Woody Guthrie Folk Festival a Okemah e in Massachussets, nella chiesa di Alice di suo padre (Arlo) e al Dreamaway Lodge, il locale dove è nata la Rolling Thunder Review e dove hanno girato parte di Renaldo e Clara.
IR: In “C’è” dici “C’è che non ne scrivo mai di canzoni d’amore” è vero o non le hai ancora tirate fuori?
AP: Ne scrivo poche. Prediligo una scrittura narrativa. Adoro il Cinema e mi piace l’idea di poter concentrare un intero film in una canzone, in una ballata. Mi piace molto la definizione di storyteller. Ma l’amore e le canzoni d’amore sono sicuramente una altrettanto grande fonte di ispirazione. Tutto parte da lì, credo che si cominci a scrivere quello. Però siccome mi vergognavo molto, le mie prime canzoni d’amore erano in inglese. Era un filtro. Mettevo qualcosa in mezzo per togliere l’imbarazzo e forse la narrazione, le metafore, le storie mi permettono di scrivere d’amore e di altri temi senza necessariamente essere coinvolto in prima persona. Questo per dire che forse nel disco ci sono altre canzoni d’amore ma più velate e ce ne saranno sicuramente altre.
IR: Chi avresti voluto ma non sei riuscito a coinvolgere? (Bob Dylan non vale!)
AP: Ci ho provato con De Gregori. Ci ho sperato. Perché mi considero un po’ “figlio suo” e penso che si sarebbe divertito molto a cantare su una canzone di questo disco. Gli sarò sempre riconoscente per Alice, Rimmel, La Ragazza e la Miniera, Santa Lucia e per tutti i capolavori che ha scritto e che ancora oggi non smetto di ascoltare.
IR: Pensi mai di fare un’operazione simile con dei musicisti o cantanti italiani? penso a Bobo Rondelli, Cesare Basile…
AP: Il mio disco precedente, Soldati, andava in quella direzione. C’erano i Gang, Claudio Lolli, Massimiliano Larocca, Luca Ghielmetti, Luca Mirti dei Del Sangre, Luigi Grechi. C’erano loro perchè in quel momento erano i musicisti che frequentavo. È un passaggio naturale, sempre quella cena di cui ti parlavo prima, e in realtà a Bobo ho chiesto di cantare sul disco. Volevo facesse la seconda voce sul ritornello di Elijah quando parla ma era impegnato a finire il suo disco o forse non ne aveva voglia. A me avrebbe fatto piacere ci fosse Bobo perché è sicuramente uno dei cantautori, degli amici, con cui ho condiviso tanto negli ultimi anni.
IR: Musicalità a parte, il tuo stile ha ricalcato sempre un certo modo di comporre che ricordava i grandi cantautori italiani: De Andrè, De Gregori, Bubola. Trovi qualcosa di nuovo nella musica italiana indie (ormai mainstream) anch’essa ispirata da cantautori, parlo di Colapesce, Brunori ecc?
AP: Io continuo ad ascoltare De Andrè, Lolli, De Gregori e conosco pochissimo la scena indie però ti posso dire che la scorsa estate ho organizzato una serata a Piombino con Brunori e mi ha veramente impressionato. Soprattutto nel dopo concerto quando ci siamo messi a suonare al tavolo di un ristorante per strada. Penso che lui sia un bell’esempio di come si possa essere moderni e accattivanti anche per un pubblico più giovane senza dimenticare i maestri che nel suo caso riconosco in Dalla, Rino Gaetano e De Gregori. E questo ci avvicina molto.
IR: Hai usato il crowdfunding per finanziare il progetto, cosa che io trovo un atto di fiducia e amore sia da parte di chiede sia di chi dà. Altri che hanno fatto un’esperienza simile mi hanno confessato quanto sia faticosa anche psicologicamente la campagna di raccolta fondi. Tu come l’hai vissuta?
AP: L’ho vissuta bene perché ho scelto una piattaforma (gofundme) che non prevedeva il vincolo di dover raggiungere necessariamente un importo prestabilito e nemmeno la necessità di inventare delle ricompense fantasiose per ogni donazione. È stata una campagna molto agile, un invito discreto a sostenere la realizzazione del disco. La campagna è andata molto bene e abbiamo deciso di tenerla aperta ancora qualche settimana perché proveremo a stampare anche il vinile. Ma siccome il disco è troppo lungo sarà un doppio vinile, ma a quel punto perché non aggiungere 4 canzoni nuove, una per lato?
Mi piacerebbe inserire Sposa di Maggio che ho registrato per uno spettacolo virtuale dedicato alle donne che è andato in onda l’8 marzo e poi magari Liberi, coinvolgendo di nuovo Scarlet Rivera al violino.
IR: Hai già pensato come dare una forma live a questi brani?
AP: Prima di decidere di finire questo disco ho fondato una band con Alex Kid Gariazzo e Raffaele Kohler. I Borderlobo. Un progetto divertente dove proponiamo canzoni mie e cover di De Andrè e Los Lobos in chiave tex mex. La band è modulabile e spesso si aggiungono Angie al basso e Max Malavasi alla batteria, Flaviano Braga alla fisarmonica, Claudia Buzzetti ai cori, Paolo Ercoli alla steel guitar e quando è in Italia Scarlet Rivera al violino. I Borderlobo sono diventati anche la backing band di tanti artisti internazionali, come Bocephus King. Questa sarà sicuramente la mia band dell’estate, che si modificherà in modo elastico a seconda delle location. A volte saremo in trio, altre volte al completo. Ci sono già un po’ di date in cantiere.
23/5 Pavia – Stand Bike Cafe – h 11.30 am
3/6 Milano – El Galet
18/6 Cantù – Villa Calvi
25/6 Somma Lombardo – Castello Visconti San Vito
30/6 Milano – Babitonga
E altre in via di definizione.
Spero a ottobre di fare arrivare qualche guest importante del disco e di continuare il tour anche nei locali.