Il Silenzio delle Vergini: Berenice, il teatro dell’assurdo e tanto altro

Quando un disco diviene esperienza, immersione, diviene la scusa buona per riflettere sul tempo che abbiamo, su noi stessi e tanto altro… ad ognuno il suo e niente sconti a nessuno. Dentro questo nuovo disco de Il Silenzio delle Vergini, troviamo di tutto: dalla psichedelica al post-rock passando per venature di jazz e qualche retaggio di pop. La voce narrante, nuda di melodie buone… la voce cantilenante e quell’incedere che sembra uscire da questa realtà. “La chiave di Berenice” diventa allora un’esperienza e non un semplice ascolto.

Un suono che cerca l’alternative, che trova l’elettronica, che si misura dentro pattern sonori privi di soluzione. Che manca secondo voi a questa descrizione?

Ti rispondiamo, parlandoti del nostro amore per la musica e la sperimentazione.

Suonare è un divertimento, ma anche un impegno e una riflessione costante, artisticamente non abbiamo mai rinunciato ad una canzone, non abbiamo mai declinato un tentativo di dissonanza o di sonorità particolari. Sarebbe facile fare cover, o fare pop melenso senza reali obiettivi.

Il nostro progetto è nato per offrire al pubblico un’esperienza che unisca poesia, musica, cinema e arte.

Ci sono momenti assai particolari. Tra questi c’è “Marcel”: mi trovo mescolati assieme richiami alla Goblin, momenti di aperture maggiori e dunque di luce e richiami ad un certo teatro francese. Voi che mi dite?

Adoriamo Ionesco e il teatro dell’assurdo. Cristina è una bravissima attrice teatrale, e una forza della natura, Marco non rinuncia mai ad un tentativo di rielaborazione in chiave creativa, siamo una band eclettica, e versatile. Marcel è un brano che parla di una storia e la narrazione è estremamente personale e creativa.

Perché Martin Luther King all’inizio? Un messaggio di luce e speranza dentro un disco scuro in volto…

Non è un disco oscuro, è un disco pieno di chiaroscuri. Martin è un brano dedicato ad un personaggio memorabile del 20 secolo, un’icona, e quindi ci sembrava giusto parlare di lui. 

Il suono ricerca molto, anche momenti glaciali e spazi islandesi come dentro al singolo “Alba Varden”… ma la voce resta sempre (o quasi sempre) un unico oggetto immobile colorata sempre allo stesso modo. Come mai?

La voce di Cristina è una voce recitata che da un tratto di malinconia ai brani, con un tappeto musicale che però a tratti può essere definito anche allegro. Non è strategia pensata a tavolino, ma un nostro modo di comporre. Come dicevo non esiste il bianco e il nero, tutto è sfumato. 

In “Pan” poi ritroviamo il pop inglese anni ’80… anche qui, se ve ne chiedessi ragione?

Tutti e tre amiamo la new wave anni 80.

A chiusura di tutto “La chiave di Berenice” arriva quando? In che momento della vostra vita e carriera?

Il disco è un passaggio, verso nuovi territori, “Fiori Recisi” ha chiuso un’epoca, ora il gruppo sta narrando delle nuove storie e un nuovo modo di creare. Tutto passa e tutto muta.

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