PELLEGATTA – ORBITA
Torna Pellegatta, cantautrice modenese, con un nuovo album dal titolo “Orbita”. Una dichiarazione d’amore, piuttosto violenta e invadente, per la musica, per il dedicarsi all’unica cosa sensata da fare in questo mondo di imprenditori ed amanti, per citare proprio lei, cantare. E Pellegatta è un fiume in piena, una di quelle che le inviti a prendere una birra e comincia a parlare senza mai fermarsi, non riesce a non esporsi a non raccontarsi, a non mettere tutta sè stessa. Ed è proprio per questo che questo disco non può aprirsi se non con una dichiarazione d’amore dolce-amara, che la musica è come un figlio, che ti prende tutto il tuo tempo, i tuoi sentimenti, e probabilmente anche i tuoi soldi.

E “Orbita” non è solo un disco, ma una vera e propria autobiografia musicale, dove ritroviamo malinconie e traumi, lamentele, una vita stretta in una routine che esplode, per Manuela Pellegatta, solo nel momento in cui prende una chitarra in mano. E se dobbiamo dirla tutta, proprio per questa urgenza incredibile che traspare dalla voce e dai testi di questo disco, ci stranisce questa sovrastruttura elettronica che è stata data da una produzione che, più che accompagnare, distrae, cercando di fare di tutta questa urgenza espressiva, un tormentone come tanti, come quelli tutti uguali che possiamo trovare nella playlist “Scuola Indie” di Spotify.
Ed è un peccato, perchè noi in Pellegatta ci ritroviamo l’esperienza – quella che porta qualche chilo in più, ma non meno carisma, la diversità di un background diverso da quello della Milano bene, lontana dagli ambienti del Miami, del CPM, ma più vicina ai centri sociali, all’underground quello vero. Lei stessa canta “sono come sono, e non c’è rimedio”, ma nel farlo è inserita in un brano che suona esattamente come un brano pop che vorrebbe sfondare la televisione, forse un talent, forse una copia carbone un po’ punk di Annalisa. Ma Pellegatta, lo sentiamo nelle viscere e nelle orecchie, è molto più.

Un disco da ascoltare per darsi la carica, che ha un’anima rock, arrabbiata, cantautorale, da piazza, da busker, più che questa anima pop ed elettronica che ha voluto assumere a tutti costi, che è tangibile e che percepiamo. Il problema di tutti questi synth, di queste oscillazioni ossessive in “Linate“, è che ci allontano dalla storia, quella che sa di strade e povertà, che Pellegatta sembra voler raccontare. Ma Manuela è così brava, intensa, che le sue parole sfondano qualsiasi veste non adatta, e non possiamo che iniziare questo disco, e trascorrere del tempo con lei, snodandoci in questo elenco che contiene tutta una vita, dal kebabbaro sotto casa, alla pausa sigaretta. La salvezza è sempre e solo la musica.
In sintesi: un piccolo inno generazionale, che si rivolge a chi ha fatto due lavori, a chi non arriva a fine mese, a chi si innamora, ma mai abbastanza, a chi ascolta troppa musica, a chi non si crede mai abbastanza, a chi si sposta da Milano e finisce sempre per tornarci, seguendo l’orbita. Questo disco parla a tutti noi, che fingiamo che vada tutto bene, di essere pop e danzerecci, ma dentro abbiamo ferite aperte che ci portiamo addosso stoicismo.