L’ultimo saggio di Salvatore Setola: per disintossicarsi dal narcisismo conformista dei nostri tempi
“Un corso per disintossicarsi dal narcisismo conformista dei nostri tempi, compresa una musica rock ormai depotenziata e caricaturale, che la suonino i Måneskin o la next big thing del sottobosco alternativo, nessuno ve l’ha ancora proposto”. Questo passaggio all’interno della presentazione del saggio di Salvatore Setola, intitolato Zitti e buoni. Breviario per aspiranti Måneskin. Corso accelerato per non diventare una rockstar postmoderna, dovrebbe da solo farvi venir voglia di leggerlo, decisamente più di un titolo che acquisisce senso solo dopo la lettura, ma che, in sé, potrebbe non risultare molto invitante. Queste pagine, ve lo dico subito, sono puro ossigeno per noi appassionati di musica, perché troppo spesso, di fronte ai fenomeni del rock alternativo e non di questi ultimi anni, ci siamo sentiti un po’ spiazzati, nel senso che qualcosa ci diceva che i conti non tornavano, ma era certamente difficile per molti di noi trovare la prospettiva giusta per tirare fuori argomentazioni concrete dalle nostre sensazioni. Che poi, uno potrebbe dire che chi se ne frega di argomentare e che la musica si divide in quella che ci piace e quella che non ci piace, però ammettiamolo, quando troviamo motivazioni più concrete per sostenere la nostra posizione, non solo con gli altri, ma anche con noi stessi, stiamo decisamente meglio.

Setola merita, quindi, innanzitutto un ringraziamento, dal sottoscritto e da tutti coloro secondo cui non solo i Maneskin (e i Greta Van Fleet, o gli Imagine Dragons) sono fuffa, ma pure gli Idles e i Fontaines DC non sono poi questo granché. Finalmente, infatti, abbiamo un punto di vista solido e convincente per dare un contesto a questa nostra opinione difficilmente argomentabile, ovvero che “la preistoria del rock è più importante della storia”, poiché, se ci si limita a scopiazzare la storia senza sporcarsi le mani con la preistoria, attingendo allo spirito di movimenti artistici come futurismo e dadaismo e di personaggi come Filippo Tommaso Marinetti, Arthur Cravan e Valentine de Saint-Point, si finisce per costruire una scatola vuota, che al massimo può puntare a essere stilisticamente apprezzabile, ma che mancherà irrimediabilmente di anima. Il successo può arrivare comunque, com’è ovvio dagli esempi appena fatti, anche, se non soprattutto, grazie a elementi di contorno come il look giusto e i messaggi falsamente anticonformisti, perfetti per il pubblico di oggi, che crede di pensare con la propria testa e invece è indottrinato più che mai da una società che Setola definisce, giustamente, come “educante”.
Eviterò ulteriori spoiler sul contenuto di questa 17 lezioni suddivise in 5 moduli e mi concentrerò, invece, sugli altri punti forti del libro. Innanzitutto, un linguaggio senza compromessi e un tono sprezzante al punto giusto che risultano perfetti per lo scopo che si è prefisso l’autore. Poi, la carrellata di personaggi messi in luce durante tutto lo svolgersi dell’opera, uomini e donne provenienti dalle più varie estrazioni sociali e con vite e carriere diversissime tra loro, ma che sono comunque modelli da seguire perché hanno audacia, carisma innato e il corretto approccio a tutto ciò che comporta lo stare in questo mondo, e non stiamo parlando necessariamente di artisti trasgressivi e rockstar maledette, perché anche il rigore di un Massimo Ranieri può e deve rappresentare un modello da seguire tanto quanto gli outsider, le avanguardie e le rotture. Infine, la magnifica declinazione dell’abusato concetto di storytelling, in virtù dell’accento su un’aneddotica molto concreta in modo da evitare il più possibile idealizzazioni che possano apparire fini a se stesse.
Ci sono anche un paio di cose su cui sono, onestamente, in disaccordo con l’autore, ma, come dice il mio amico e impareggiabile penna Michele Benetello, è anche meglio così, piuttosto che passare tutto il tempo a annuire. Se la pensiamo tutti allo stesso modo su tutto, infatti, scadiamo anche noi nel conformismo narcisista, e quindi ben vengano le divergenze su specifici punti. La mia prima, e più importante, divergenza da Setola avviene quando, secondo il mio punto di vista, lui calca un po’ troppo la mano sul fatto che l’idea della fluidità di genere porta a appiattire tutte le differenze e a far sì che ogni essere umano debba essere visto nello stesso identico modo. Mi sembra un’estremizzazione un po’ troppo forte, tipo quella degli amici del campetto passati dalle Marlboro direttamente all’eroina: sono il primo a dire che molte conseguenze del cosiddetto politically correct sono aberranti, ma ritenere la voglia di alcuni individui, e sottolineo individui, di non essere definiti secondo una logica binaria, come una causa diretta dell’attuale indottrinamento delle masse, mi sembra fuori luogo. Un conto è l’artista che rompe i luoghi comuni, un altro è la totale mancanza di rispetto nei confronti di chi si sente in un determinato modo e che, in base solo a quello, non fa del male a nessuno. Se poi qualcuno si fa indottrinare fino al punto di percepire negativamente ogni identitarismo, non è certo colpa di chi rifiuta la logica binaria nella definizione del proprio genere.
La seconda divergenza è più specifica, e riguarda il fatto che Setola si accoda alla, secondo me, eccessiva mitizzazione di Diego Armando Maradona, persona con cui è facile e giusto empatizzare, ma arrivare a dire che egli fosse in grado di spiegare la lotta di classe come un moderno Marx, anche no. Non voglia star qui a infangare la memoria dell’immenso campione e, ripeto, di una persona che merita tutta l’empatia possibile, quindi eviterò di fare esempi, ma mi limiterò a dire che troppe cose fatte da Maradona nella sua vita non c’entrano niente né con Marx, né con la lotta di classe. Già solo aver cambiato il numero della lezione dedicata a lui, facendola diventare la lezione 10 anche se in realtà arriva dopo la 6, mi suscita una sola reazione: anche meno.
Come dicevo, sono più contento di aver trovato dei motivi di disaccordo che se avessi ritenuto inappuntabile tutto il contenuto del libro: così è decisamente più in linea con lo spirito di questo saggio, nonché di quello della musica rock ormai perduto. Concludo, quindi, ribadendo il mio ringraziamento all’autore e il mio consiglio a leggere queste pagine, che sono la miglior boccata d’ossigeno possibile per noi che amiamo la musica ma non ci ritroviamo in nessuno dei nomi più di successo tra quelli associati al rock. Non cambieremo di certo idea, ma almeno capiremo meglio le nostre sensazioni.