Appino – Il Testamento
GENERE: rock-cantautoriale
PROTAGONISTI: Andrea Appino (voce e chitarra); Giulio Ragno Favero ( mixer e basso); Franz Valente (batteria); Enzo Moretto (chitarra).
SEGNI PARTICOLARI: tanta era l’attesa per questo esordio da solista dell’inconfondibile e scanzonata voce degli Zen Circus, Andrea Appino, il cui lavoro, uscito il 5 Marzo per la Tempesta/Universal, nasce dalla collaborazione con Giulio Ragno Favero e Franz Valente, entrambi Teatro degli Orrori, e Enzo Moretto, voce e chitarra degli A Toys Orchestra. Prodotto dallo stesso Appino e da Favero, il disco si avvale del tocco di alcuni ospiti più o meno illustri, tra cui Rodrigo d’Erasmo (Afterhours), Marina Rei, Tommaso Novi (I Gatti Mézzi).
INGREDIENTI: se dal punto di vista sonoro, l’influenza inconfondibile della base ritmica di Valente si sente in buona parte delle tracce, la vera novità sta piuttosto nelle tematiche affrontate da Appino che con questo lavoro s’immerge completamente nel ruolo di cantautore italiano con la C maiuscola. Questa volta, infatti, scrive e parla di sé, in un excursus autobiografico e introspettivo, non privo di rassegnazione e malinconia, che va a sostituire la solita ironia tagliente e disinvolta dei testi degli Zen Circus. Un disco tanto atteso, in primis dallo stesso Appino, il quale dichiara di aver iniziato a lavorare al progetto già alcuni anni fa. Il risultato é un album meditato, riflessivo e intimistico che racconta, questa volta con l’occhio maturo di un vecchio saggio, gli aspetti più sentiti e personali della chiassosa vita di provincia post-adolescenziale. Il tutto accompagnato da un sottofondo a volte noise, a volte electro-rock, spesso semplicemente rock.
DENSITA’ DI QUALITA’: si inizia con un incipit sicuramente intenso ed evocativo: la melodia del violino di Rodrigo d’Erasmo incarna perfettamente il mood del titolo dell’album e della prima canzone, appunto ‘Il testamento‘, brano dedicato a Monicelli e alla sua scelta di morire, in un’esaltazione della libertà più pura e autentica. Da temi sicuramente complessi come l’eutanasia, contornati da suoni altrettanto cupi, si passa alle melodie più decise e cadenzate di ‘Che Il Lupo Cattivo Vegli Su Di Te‘, ninna nanna al contrario che invita a diffidare di chi propone false e superficiali sicurezze. La successiva ‘Il Passaporto‘, più parentesi ripetitiva che brano con una sua personalità , passa senza lasciare segno per fare posto a ‘Specchio Dell’Anima‘ che racchiude una sintesi sonora più interessante, rispecchiando sicuramente più da vicino lo stile alla “Teatro degli Orroriâ€. Con ‘Fuoco!‘, e più avanti con ‘Fiume Padre‘, si ritorna ai vecchi Zen Circus, facendoci tirare, non lo nego, un sospiro di sollievo, perché quegli Zen Circus ci mancavano assai. Tra una ‘Solo Gli Stronzi Muoiono‘ più aggressiva e una ‘I Giorni Della Merla‘ che rallenta decisamente il ritmo, il disco procede con ‘Tre Ponti‘ e la ballatona ‘Godi (adesso che puoi)‘ che passano, musicalmente parlando, senza troppo lasciare il segno. Sul filo del rasoio tra lo sperimentale e la b-side troviamo ‘Schizofrenia‘, mentre la chitarra e la voce di 1983 chiudono il disco con un finale inaspettatamente elettronico. La vera chicca dell’album rimane senza ombra di dubbio ‘La festa della Liberazione‘, unico brano in cui la melodia tipicamente folk e dylaniana si sposa perfettamente con uno dei migliori testi mai scritti da Appino.
Solo per il brano appena citato l’intero disco meriterebbe un bell’otto, ma per il resto non si può dire esattamente lo stesso. L’assenza di quella vena tagliente e dissacratoria tipica degli Zen Circus rende il lavoro di Appino sicuramente più cantautorale e personale, ma allo stesso tempo meno originale. L’originalità la si cerca invece nella miscela sonora che si alterna nei brani, pur rischiando con essa di peccare di disomogeneità nella visione d’insieme.
Di autentico rimane il racconto dell’autore, poiché musicalmente l’intera opera appare frammentata e a volte distaccata dai testi, collidendo così con l’immaginario schietto e impulsivo alla base dell’album. Un disco quindi in cui emerge Appino in tutta la sua capacità di raccontare il reale (e se stesso), ma che finisce per sembrare un lavoro composto e studiato a tavolino e forse per questo meno genuino. Sperando di risentire il nostro Appino nei tanto amati Zen, l’augurio rimane comunque che questo sia solo l’inizio di una carriera solista in cui le basi già ci sono, eccome, ma necessitano indubbiamente di una spinta in più.
VELOCITA’: altalenante, un saliscendi tra brani introspettivi e cantautoriali e virate più punk ed elettroniche.
IL TESTO: “[/]ai benpensanti che lo trovano immorale / a quelli che lo leggeranno sul giornale / alle signore bocca larga e parrucchiere / a chi non mi lascia farlo in altre maniere / io scelto esattamente tutto quel che sono / senza la scelta io la vita l’abbandono / ho scelto tutto, tutto tranne il mio dolore / lo ammazzo io e non c’é niente da capire.” da ‘Il Testamento.
LA DICHIARAZIONE: “C’é sicuramente meno ironia di molti dei brani più conosciuti che ho scritto per gli Zen, ma di certo non viene meno quel cinico e ghignante disincanto che nasconde in realtà un amore davvero grande per tutto quello che mi circonda. Con questo lavoro non voglio fare la morale a nessuno -aborro la morale- semplicemente ho aperto una parte di me che ho sempre avuto paura di mostrare e credo vivamente che le paure vadano combattute e vinte, sempre e comunque” dal comunicato stampa ufficiale
UN ASSAGGIO ‘La Festa Della Liberazione (live ufficiale)’
IL SITO: facebook.com/andreaappino

