Amerigo Verardi – Hippie Dixit
Genere: tra cantautorato alternativo e neopsichedelia
Protagonisti: oltre alla presenza di Verardi alla voce e alle chitarre troviamo Andrea D’Accico alle chitarre, Roberto D’Ambrosio al bouzuki, Paolo Celeste al basso, Rocco Caloro alle percussioni, Fabio Sasso alla batteria e Isabella Benone al violino. Le voci femminili sono di Ilenia Protino, Daniela De Maria e Paola Petrosillo
Segni particolari: Amerigo Verardi è una delle tante mine vaganti che si muovono nella scena indipendente italiana da molti anni ormai, una di quelle che anche se non ti accorgi della loro presenza c’è eccome. Trent’anni dedicati alla musica tra collaborazioni e discografia propria percorsi attraverso vie che non prevedono compromessi, quelle percorribili in sordina e che creano nicchie di giovani ammaliati da note che non passano per la radio. Viene fuori Hippie Dixit proprio in seguito a queste tappe, in seguito a quello che ogni artista semina negli anni e che, con grande soddisfazione, a un certo punto può permettersi di raccogliere
Ingredienti: abbiamo di fronte un disco, doppio, che reinterpreta il concetto di psichedelia e di sperimentazione rispetto a come veniva inteso dal duo inscindibile Verardi/Ancona e che si avvale di una strumentazione che crea atmosfere atipiche ma piacevolissime e che fanno si che il lavoro, nella sua complessità, eccella come è giusto che sia per ogni progetto ambizioso. Il benvenuto al disco è dato da L’Uomo di Tangeri, brano lungo quasi un quarto d’ora, ammaliante e reso elegante dai suoni caratteristici della città menzionata nel titolo e del quale colpisce il testo in cui viene descritta con minuzia una scena di pericolosità (“e non volevo ammetterlo neanche sotto tortura, chi mi insegue e chi mi vuole finire è qui davanti a me. Adesso lo so: sono spacciato”). Chitarra elettrica, percussioni e tastiere, invece, aprono Brindisi (ai terminali della via Appia), un brano descrittivo del punto di vista di Verardi a proposito della città in questione, una visuale che fa si che chi ascolta possa avere idea di quali siano le ragioni per cui un brindisino può vivere ma non apprezzare la città a cui da sempre appartiene per motivi a lui estranei (“l’indolenza, la comunione, cristiani che si mangiano la città, quasi facile come radersi un po’ di schiuma dai polmoni, malati di potere i politici lanciano nuove forme di violenza, dalle colonne fanno un brindisi ai terminali della Via Appia. Che bella fotografia: la scalinata verso l’aldilà”). Della seconda parte del disco colpisce, tra le varie, Chiarezza, quasi tre minuti d’introduzione in salsa space-rock prima che la voce del cantautore cominci ad intonare i versi del brano che vertono su tematiche finora non affrontate, al limite tra religione e religiosità; anche qui si può degustare un cantautorato sopraffino e sinuoso, quello a cui la tradizione ci ha abituato
Densità di qualità: è un disco che nell’insieme ci insegna a viaggiare, senz’altro la morale di ognuno dei brani è quella di approcciarci a quello che può fare paura ma che in realtà è fonte di esperienza, di bellezza, di coraggio. Si passa con un salto elastico da un ambiente all’altro con facilità, con una destrezza tale che solo un cantautore abile come quello preso in esame può fare. Mi rendo conto che è un concetto ribadito più volte finora ma è bene tenere a mente una cosa, che la musica è grande se a farla è un grande musicista. E i risultati sono inequivocabilmente questi
Velocità: poco sostenuta, lenta ed elegante. Da viaggio
Il testo: “le paure di restare, di andar via, di ritornare, le paure di sentirti dire cose che non vuoi sentire, sono latua pietra al collo”, da Pietra Al Collo
La dichiarazione: “Spero che questo mio lavoro, al quale ho dedicato tutto l’amore di cui sono capace, possa essere da stimolo per intraprendere nuovi viaggi, in un percorso di ricerca che parte inevitabilmente dalla ricerca di sè e dalla realtà sensibile, per cercare di approdare poi ad una nuova alba di consapevolezza. Dovesse essere così anche ad uno soltanto di voi, sarebbe comunque valsa la pena di realizzarlo”