Roccia Ruvida: Andrea Tarquini

Devo dire che questa bellissima intervista mette i dovuti puntini sulle “i” visto che a parlare è un cantautore e musicista di lunghissimo corso. La canzone d’autore sta vivendo una stagione dentro cui viene bistrattata e violentata nella morale e questo lo denunciamo tutti… in luogo, questo, di carrette più modaiole a cui fa comodo restar bene ancorati. Andrea Tarquini con un disco elegante e pregiato come “In fondo al ‘900” non ci sta e mette in scena la parola cantata con suoni color di seppia, come mi piace vederli… un disco che alla melodia pulita unisce anche una narrazione matura, per niente vetusta e antiquata, anzi decisamente quotidiana e ricca però di un peso critico e sensibile. Certamente, visto l’andazzo di oggi, sono d’accordo quando si pensa che dovremmo restituire uno spazio dedicato a questo mestiere artigiano e non mescolarlo con conformità industriali di ben altra natura di mercato. E invece… mescoliamo dischi come questo nel cessione delle tante imprese di marketing ad uso e consumo della liquidità commerciale. Proviamo a stuzzicarlo e vediamo che ne esce…

Parto con l’ascia affilatissima: di cuore, nel voler parlare alle persone, cosa spinge un artista a scegliere un linguaggio che ormai non usa più nessuno (o quasi)? Beh e non rispondiamoci che ci basta che soltanto uno ascolti… è qualcosa a cui non credo visto che tutti vorremmo poi stare sul palco di Sanremo…

Non so tu chi frequenti ma a me sembra che certi linguaggi non li usa solo chi non legge libri, chi non ascolta buona musica, chi non va ad una mostra per decenni e non ha un quadro in casa, chi guarda filmacci, beve vinacci e suona pessime chitarre.

E poi da più parti della critica si evince che anche il suono è colorato di seppia. Insomma una direzione suicida intrapresa come si deve?

Io credo che chi distingue la musica o qualunque arte dividendola tra vecchio e nuovo, oltre che fare del nuovismo, malceli (vedi che linguaggio?) un certo qualunquismo…e sta cosa c’è praticamente solo in Italia. E poi, se il criterio è vecchio vs nuovo cosa facciamo con i Beatles, con Mark Knopfler o con Dave Matthews  smettiamo di ascoltarli? A proposito, al concerto di Dave Matthews c’erano una marea di teste grigie in platea, ma secondo te é vecchio o nuovo? 

Il cantautore oggi: ha senso parlarne quando anche il Tenco premia liriche come quelle di Ditonellapiaga e compagnia cantando? La qualità della canzone d’autore, oggi, dov’è finita? O forse serve Ditonellapiaga per far restare a galla un premio Tenco? Tanto per citare qualcosa che ti riguarda da vicino… ma gli esempi potrebbero essere numerosi…

Io credo che alle Targhe Tenco, vista la direzione scelta di “aprire” a un po’ di tutto, si dovrebbe inserire una categoria per la canzone d’autore così da preservare e presidiare le nicchie che hanno comunque un pubblico e sono mercato eccome.

Non me lo auguro e soprattutto non te lo auguro perché non lo meriti. Ma un’opera che richiede attenzione e tempo e soprattutto spessore critico, oggi, troverà sicuramente indifferenza sui grandi numeri e verrà bistrattata nella fretta liquida dentro cui navighiamo a vista. È capitato anche per questo disco? E se si, come ne sei uscito? Come uomo e come artista?

Prima di tutto credo che nessuno farebbe nulla se vivesse questo condizionamento. Viviamo in una società liquida e con poco tempo ma poi c’è un sacco di gente che ha ricominciato a comprare ed ascoltare vinili. Si dice che i più giovani ascoltino musica (anche mediocre) come facendo zapping ma poi moltissimi scoprono i Pink Floyd o Jimi Hendrix e restano ammutoliti. Il tempo che viviamo è senza dubbio come descrivi ma attenzione, è anche molto più sfumato e anzi, spesso sono gli adulti ad avere l’ansia del nuovo, più dei giovani.

Per parlare alle fate servono parole mute. Mi è piaciuta assai questa frase ed è così che chiudiamo questa intervista. Un disco delicato ma anche divertente, leggero ma sicuramente denso di parole. Mute e non… in un lavoro simile la narrazione arriva da ogni dove. Sta cambiando il tuo rapporto con la parola? In qualche modo il tempo che viviamo te lo sta cambiando, contaminando… sporcando o arricchendo?

Grazie per questa bella domanda. Posso dirti che fare musica e pubblicarla ti fa venire voglia di farne ancora e ancora. L’uso delle parole é così contagioso che vorresti subito fare altro perché senti che ogni volta che pubblichi qualcosa il tuo rapporto con le parole si è arricchito, che qualcosa si è svegliato. Pensa che ho in testa una cosa nuova abbastanza diversa da queste canzoni, non ti dico nulla ma quando la pubblicherò vorrei che mi dicessi se è roba vecchia o nuova o nessuna delle due.

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