Matteo Nativo: un lungo viaggio verso il centro
Si cammina lungo strade di confine, tramonti alle spalle e poi dritti verso il centro di se stessi. Raccoglie la sua America e quel certo modo di suonare la chitarra acustica, maestro e insegnante ormai di fingerpicking. Con tutto questo modella il suo modo di stare dentro al folk. Matteo Nativo fa il suo esordio con la RadiciMusic e da alle stampe “Orione”, un disco di vita, dentro cui e grazie al quale rinascere ancora una volta. Sono canzone di blues, di soul, di ruggine e di ferro battuto. Non deve stupire che dentro ci siano anche due omaggi a Tom Waits tradotti in italiano. Il primo, “Clap Hands”, tradotto da lui e scelto come primo singolo estratto in un video ufficiale che troviamo in rete. Il secondo è “Jockey Full Of Bourbon” tradotto dalla cantautrice fiorentina, come lui, Silvia Conti. La semplicità è tutto…

È un esordio che giunge dopo tanta vita spesa nella musica. Si sente… pensi che forse manchi un poco di ingenuità e di quel sale di irriverenza degli esordi delle prime composizioni adolescenziali?
Dipende cosa intendi. Ci sono persone che sono già un pò vecchie e posate a vent’anni, altre che rimangono con lo spirito ingenuo ed irriverente fino alla fine della propria vita.
La musica, e parlo della parte strumentale, è sempre stata fonte di fortissime emozioni, sin da che ho memoria, fino da bambino, era per me un mondo che si muoveva in uno spazio diverso, non necessariamente legato dall’esperienza del vivere, una dimensione parallela possiamo dire.
Cambiano i colori dei capelli, della barba, cambia il corpo ma lo spirito rimane quello, almeno per quello che mi riguarda. A vent’anni ascoltavo e suonavo l’Heavy Metal ma anche il Blues, il Jazz, il Funk ed il Reggae, oggi a 52 anni faccio lo stesso. L’irriverenza e l’ ingenuità nella musica come dici tu , almeno per come la vedo io, riguardano di più i testi, la parola. L’esperienza accumulata negli anni di studio e lavoro con la musica mi sono serviti per fare un disco che suona esattamente come lo immaginavo.
Che parla di me.
Citi sfacciatamente Tom Waits: come ti seri regolato per le traduzioni? Quanto hai lasciato intonso il senso e quanto lo hai dovuto adattare?
Amo la sua musica e ho cercato di rimanere il più fedele possibile al testo originale, ovviamente metrica permettendo.
https://www.youtube.com/watch?v=xw32Ci6dSlM
E perché propio lui? In alcuni tratti, “Orione” ad esempio, il mio orecchio ci rivedeva anche Tim Buckley o, altrove, Cohen… che ne pensi?
Ho scoperto Tom Waits durante la mia permanenza negli USA. Fu una rivelazione e mi innamorai immediatamente della sua musica, con le sue parole visionarie, un suono che ti stringe l’anima, una voce che scava nel profondo, mi riportò immediatamente ai libri letti in adolescenza degli scrittori della Beat generation, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Borroughs…
Mi ha inspirato moltissimo, così Orione è stata l’occasione perfetta per rendergli omaggio.
D’altro canto ascolto e amo molto anche la musica di Tim Buckley e Leonard Cohen, ci sta che si possano sentire anche quei colori, per me è un grande complimento.
Lo sai che mi manca fortemente il violino in questo disco?
In realtà “Che ora è” e “Ultima stella del mattino” le ho pensate e scritte proprio con il suono del violino nella mia testa, infatti ho subito chiamato Francesco Moneti per registrare.
Per le altre avevo un’atmosfera diversa in mente.
Quanto hai lasciato alla presa diretta e all’improvvisazione?
Insieme a Gianfilippo Boni, con cui ho curato la produzione, abbiamo subito cercato un suono “Live”, potente della sezione ritmica di Batteria e Basso, infatti Fabrizio Morganti e Lorenzo Forti hanno registrato in diretta con la mia chitarra. Gli altri strumenti sono stati registrati in un secondo momento, ho però mantenuto nel disco la prima take di ogni strumento, proprio per avere quella spontaneità di suono che volevo. Un esempio fra tutti è la mia chitarra solista su “ Un’altra come te”. L’ho suonata una volta e quella è la traccia che si ascolta nella canzone.

