Intervista: Giungla
La prima data del tour che accompagna l’uscita di Distractions, il nuovo album di Giungla, è stata l’occasione per fare qualche domanda ad Emanuela Drei riguardo alla genesi di questo (ottimo) lavoro e all’imminente tour.
IR: i brani di Distractions sono stati composti appositamente per l’album o erano già pronti prima di registrare?
G: anche se potrebbe sembrare ci abbia messo di più a completarlo, in realtà si tratta principalmente di materiale “nuovo”, degli ultimi due anni.
Forse di un paio di brani avevo già in mente la melodia, oppure qualche frammento è nato precedentemente, ma molto del lavoro è stato fatto per l’album. Lungo questo periodo ho lavorato parallelamente ai brani portandoli avanti a livello di scrittura, chitarre, idee sonore, eccetera, prima da sola poi, per le batterie, con Pietro (Vicentini ndr) e successivamente con Mattia Tavani, che si è occupato della maggior parte delle registrazioni finali di voce e chitarre.
Ho iniziato a suonare con Pietro poco tempo prima e in vista di alcuni live che avevo negli Stati Uniti è partita un po’ la scusa di trovarci a fare prove e provare a buttare giù delle idee; di base dalla voglia di testare alcuni pezzi live è nato tutto il lavoro che poi ha effettivamente portato al disco.
IR: hai registrato anche all’estero
G: sì sono stata due settimane a Londra, con un’altro Pietro (Cavassa ndr) che si è occupato del mix.
IR: parlami della copertina con le dodici bustine
G: ho lavorato con questi creativi che si chiamano “Contento 360” e dopo un brainstorming intorno all’idea delle “distractions” è arrivata questa idea di creare un “kit” per ogni brano; queste bustine, ognuna contenente un’oggetto, sono state realizzate fisicamente e poi fotografate per andare a creare l’artwork.

IR: ogni sacchetto è collegato in qualche maniera ad un brano?
G: sì sono collegati ai brani, magari all’idea che si vuole trasmettere e non al contenuto vero e proprio. Ogni bustina contiene una citazione di una parte di un testo che tenevo venisse evidenziata.
Non tutti hanno un significato prettamente didascalico, ad esempio Something, che è un pezzo abbastanza “silly” o meglio è come se non parlasse di niente, in realtà è riferito alle piccole cose familiari, a cui non fai caso, come il segno che lasci quando schiacci una zanzara con la ciabatta.
In quel caso abbiamo messo le tavolette del Vape zanzare (ridiamo ndr)
IR: nella mia recensione ho scritto che in Tonight sento molta St Vincent. Sei d’accordo?
G: beh mi può solo far piacere, è un’artista che seguo e mi piace e certo per alcune cose, per la chitarra, la “sento”.
Più in generale un disco che in quel pezzo mi ha ispirato parecchio è Hey What dei Low, le chitarre di Alan Sparhawk e le distorsioni di quell’album sono qualcosa di unico..
IR: il suo disco solista ti è piaciuto?
G: alcune cose molto, ho messo un paio di brani nel programma che faccio in radio tutti i mesi.
IR: mi hai bruciato una domanda (ridiamo ndr): come è nato il programma che fai su radio Raheem (Unguided tour ndr) ?
G: è nato più o meno per caso: una volta anni fa mi hanno invitata a fare una selezione come “ospite” e poi successivamente mi è stato chiesto se mi sarebbe andato di rifarlo mensilmente e non ci ho pensato due volte.
Mi piace avere questo ‘impegno’ perché per me è importante avere uno stimolo ad incuriosirmi, neanche tanto per tenermi aggiornata, ma più per condividere della musica che mi ha colpito o mi sembra interessante. Una “visita non guidata”, appunto, di cose che scopro, che sto ascoltando ecc senza regole particolari.
Sono sempre stata una nerd musicale e sono molto felice di dare un po’ di spazio a musica che magari non è così facile intercettare e che semplicemente penso valga la pena diffondere
IR: torniamo all’album, parlami di Mouse & Keyboard
G: Mouse & Keyboard parla del fatto che oggi riuscire a fare musica è molto più semplice e accessibile, nel senso che di base hai un computer e dei plugin e hai tutto quello che ti serve. Però penso che sia un po’ frustrante finire a fare una cosa che ti piace stando seduto e letteralmente con mouse e tastiera.
L’idea del brano è che “mouse e tastiera” danno molto ma ti tolgono da quella dimensione più libera o del suonare con altri, oltre al fatto che penso che avere sempre davanti uno schermo ci condizioni troppo.
Il tema centrale dell’album sono infatti le distrazioni che ci allontanano dalle cose che contano veramente.

IR: qual è il brano che più stato più ostico da concludere?
G: forse Not Making Sense, volevo che fosse quella più carica a livello di balance sonoro.
Ho un modo di scrivere credo abbastanza eterogeneo, per cui non è sempre facile mettere insieme tutto e per questo brano, a livello di suono, ho dovuto pensarci parecchio. Forse la stessa cosa è successa anche per Bad Idea.
Mentre altri brani, come Hair Pulling, sono usciti praticamente di getto. Come denominatore comune comunque ci tenevo che fosse molto presente la dimensione del “suonato”, per cui ho volutamente lasciato delle imperfezioni che rendono il tutto molto più “vero”.
IR: sei spesso in UK, trovi sia più facile vivere la musica lì?
G: non penso sia necessariamente più facile e, anzi, in Italia abbiamo tante cose positive (come certi trattamenti di hospitality quando vai a suonare, delle location incredibili, ci sono tantissime persone che nel loro tempo libero si sbattono per creare situazioni e portare cose belle fino in provincia…). Personalmente però mi chiedo se forse lì la musica non abbia comunque un valore un po’ diverso o comunque un peso culturale diverso.
Mi sembra di notare che in UK sia un po’ più visibile la presenza di strade/percorsi alternativi realmente possibili; è un discorso complesso e non voglio generalizzare, ma qui a volte sembra esistano poche alternative, gli spazi sembrano andare sempre diminuendo, con la conseguenza che tante opportunità per progetti più piccoli sono sparite, si suona meno, ci si confronta meno… e, per quanto molte cose siano frutto naturale dei nostri tempi, a volte mi sembra che il lato culturale e sociale di tutto questo sia stato completamente dimenticato e lasciato in secondo piano.
Poi vado spesso in UK anche perché – sempre tornando al fatto che sono un po’ nerd quando si tratta di musica – magari scappo lì un po’ di giorni e ne approfitto per vedere alcuni live che mi piacciono, che magari qui non passano con il tour
IR: però spesso registri lì.
G: sì, come è stato ad esempio con Pietro Cavassa per i mix o con Chiara Ferracuti, con cui ho registrato diversi synth che sono finiti su un paio di pezzi del disco. Mentre in passato ho lavorato con produttori e altri musicisti inglesi (come Jessica Winter).
Insomma, spesso ne approfitto per scrivere o registrare quando sono lì, ma di base è tutto frutto del modo che ho di vivere quello che faccio. Cerco di avere un percorso che mi permetta di incontrare persone nuove con cui collaborare e che di base mi ispirino.

IR: costa di più andare a registrare là?
G: non saprei, ma conta che non ho mai avuto il budget per pensare “vado un mese e registro tutto”, perché significherebbe fare prima un lavoro di pre-produzione eccetera; per ora mi trovo bene a lavorare con una sorta di processo in cui costruisco e miglioro un brano man mano: “adesso faccio delle chitarre per quella canzone e poi per l’altra” e vado a “macchie”, e questo è possibile perché riesco ad occuparmi quasi di tutte le parti del processo.
Certo, potessi avere tempo e budget apposta, mi chiuderei subito due mesi in studio e farei di tutto. Però mi è capitato che alle volte vai in uno studio, registri, magari hai un suono fantastico, ma poi è quello che hai letteralmente fatto quel giorno x o in quell’ora che avevi a disposizione e comunque qualcosa non funziona per il brano, non è la cosa giusta, e hai buttato via del tempo.
Quindi al momento preferisco lavorare con il mio metodo DIY e curare tutto passo passo.
IR: l’ultima volta ti avevo chiesto come mai lavorassi con Factory Flaws che faceva solo release digitali, ma stavolta li hai convinti a far uscire il vinile! Tra l’altro trasparente…
G: ahahah sì li ho convinti, ci ho messo un po’ ma hanno ceduto. Tra l’altro il 16 faremo una serata a Milano gratuita per presentarlo.
IR: la versione live brani come l’hai costruita? Riesci ad essere abbastanza fedele al disco?
G: soprattutto quando hai dell’elettronica c’è sempre una fase di aggiustamento iniziale.
Ma è un disco che, soprattutto essendoci per la prima volta anche un’altra persona alla batteria, è più “suonato” e quindi in cui il nucleo di base è ben saldo.
Per i live abbiamo creato degli “scalini” ulteriori soprattutto a livello di dinamica che invece nel disco volutamente non ci sono.
Per esempio, avrei potuto mettere nei ritornelli dieci chitarre tutte insieme, ma io sono una e ne suono una (ridiamo ndr).
IR: per le chitarre dovevi coinvolgere Arianna (Pasini al basso per il live al Bellezza ndr) invece che farle suonare il basso !
G: ah ah sì e ti dirò che sono in una fase in cui ho voglia di fare cose con altre persone, il che richiede anche più tempo, ma ne vale sempre la pena.
Ci devo sicuramente pensare per le prossime cose!
IR: il mondo musicale è molto maschilista, hai avuto qualche esperienza ‘noiosa’ da questo punto di vista?
G: ma guarda ci sono situazioni dove la cosa è molto sottile.
Ad esempio ho fatto da tutor ad una residenza dove venivano selezionati dei musicisti che sonorizzavano un film sotto la mia direzione artistica. E’ stato bellissimo, ma poi magari arriva uno e ti dice: “ci tenevamo tanto a chiamare una donna”, che magari è solo un tentativo di fare un complimento, ma alla fine non lo è, l’aspetto della valenza artistica è messo in secondo piano al genere. Dinamiche di questo tipo capitano molto spesso, ma cerco di non darci peso e, anzi, meglio che qualcuno ci pensi e almeno si sforzi per chiamare una donna, piuttosto che continuare a vedere line up con 0 presenza femminile o LGBTIQA+, che sinceramente al giorno d’oggi non hanno scusanti.
Poi devo dire che ho sempre cercato di circondarmi di persone che mi piacciono, che hanno i miei valori e la vedono come me. Cose brutte non mi sono mai capitate, a parte il “le sai usare quelle cose?” che mi fanno ridere.
Succede anche nel mio lavoro, quando magari devo occuparmi di una registrazione e mi sento dire con sorpresa: “Ma oggi abbiamo una engineer!”. Ecco, ad alcuni fa ancora strano vedere una donna che fa certi lavori… e il discorso ovviamente possiamo allargarlo purtroppo a molti altri ambiti, non solo quello musicale.
Quindi c’è questo confine tra complimento e il fatto che non siamo per nulla avanti nelle questioni di genere, ma l’importante è essere sempre più presenti in ruoli dove la predominanza è maschile, anche sul palco.
Poi sento che le cose stanno migliorando. La mia speranza è che una persona più giovane venga spinta a voler suonare o creare qualcosa perché ti ha vista lì e questo la aiuti a prendere coraggio.