Intervista: Giulia Impache
L’esordiente Giulia Impache ci ha subito colpito(vedi qui) per il suo stile originale e per tutti gli elementi che è riuscita a mettere nel suo primo album: IN:titolo.
Le abbiamo fatto qualche domanda per capire più profondamente un lavoro complesso ma immediato e dei suoi prossimi appuntamenti dal vivo.
IR: La foto originale della copertina è stata scattata da Luce Berta: come vi siete incontrate?
GI: Ci siamo conosciute qualche anno fa attraverso amicizie comuni e fin da subito è nata una forte
intesa. Amo la sensibilità di Luce e la delicatezza con cui ha sempre interpretato visivamente
il mio lavoro musicale.
IR: Hai usato sia l’italiano che l’inglese: è stata una scelta stilistica o anche pensata per portare le
canzoni ‘altrove’?
GI: Mi sono sempre sentita un po’ aliena e spesso ho faticato a trovare le
parole giuste per comunicare. È come se questo disco fosse nato su una navicella spaziale,
osservando la Terra e cercando di comunicare con essa attraverso lingue diverse o
inventandone di nuove.
L’obiettivo è raggiungere un pubblico il più ampio possibile,
creando una musica senza confini, che offra libertà di interpretazione a chi l’ascolta e lo
trasporti in un viaggio sonoro surreale.
IR: Sei autodidatta o hai fatto un percorso di studi che ti ha portato in contatto con il ‘mondo
sonoro’ che hai creato?
GI: Sono cresciuta in una famiglia molto musicale, che mi ha avvicinata alla musica fin da piccola. Ho iniziato con la chitarra, ma ben presto ho capito che non era il mio strumento. Così, verso i 15 anni, ho iniziato a studiare canto e da allora non ho mai smesso.
Ho approfondito la tecnica vocale e studiato teoria musicale, che mi ha avvicinata al pianoforte e mi ha permesso di iniziare a scrivere i miei brani. Credo molto nell’importanza della consapevolezza tecnica del proprio strumento e nella formazione musicale, che non deve necessariamente aderire all’accademismo, ma dovrebbe favorire una consapevolezza capace di spingere oltre i propri limiti conosciuti.

IR: Nell’ultimo paio d’anni un paio d’artiste si sono distinte per l’originalità della loro proposta
riuscendo a creare un notevole interesse intorno a loro, parlo di Marta del Grandi e Daniela
Pes: a mio parere tu potresti essere una sorta di anello di congiunzione fra loro due, vista la
tua ricerca musicale e vocale. Che ne pensi?
IR: Ti ringrazio, stimo molto il lavoro di Marta del Grandi e Daniela Pes e sono davvero felice del riscontro che stanno ottenendo.
Il loro successo mi fa sperare che il pop italiano, se così vogliamo chiamarlo, stia evolvendo e
contaminandosi di nuove sonorità. Mi fa piacere essere associata a loro in questo contesto,
ma sento il bisogno di rimanere libera, senza sentirmi costretta a incasellarmi o a cercare un
punto dove ‘stare’.
Non è nella mia natura adattarmi a schemi rigidi.
Credo che sia fondamentale valorizzare la diversità delle esperienze artistiche, perché ognuna di noi ha
una voce e un messaggio unici da offrire. La vera bellezza dell’arte risiede nella libertà di esprimersi oltre le etichette, creando connessioni autentiche con il pubblico in modo personale e originale.

IR: Quale brano ti ha dato più problemi nel portarlo a termine?
GI: Direi (I’m )Looking (for) Life.
Non riuscivo a scrivere il testo: è nato da un’improvvisazione. Mi piaceva come suonava, ma il testo inventato che stavo usando non mi convinceva. Sentivo che volevo esprimere qualcosa di diverso, parlare di un argomento che all’epoca mi opprimeva, ovvero una frustrazione lavorativa.
Poi, un giorno, mentre tornavo in treno da un concerto, ero da sola, avevo suonato il giorno prima in riva al mare e avevo capito che quella sensazione che mi tormentava doveva finire perchè toglieva energie
alla mia vita concertistica, così nel tempo di arrivare in treno dal Cilento a Torino, le parole hanno iniziato a fluire!
IR: Ascoltando i singoli Occhi e Quello che(Outside) sembra che la tua voce abbia una sorta
di velo che ne mascheri la vera natura: perchè questa scelta?
GI: Sono affascinata dal mondo dell’elettronica. Come cantante, ho condotto molta ricerca timbrica e trovo che l’elettronica sia un mezzo per superare le mie possibilità naturali a livello vocale. I filtri creano un effetto di estraniamento, fondendo la mia voce con la musica e rendendola un tutt’uno.

IR: Hai suonato tutto da sola o è intervenuto qualcuno ad aiutarti?
GI: No il disco è stato realizzato assieme a Jacopo Acquafresca (chitarra ed elettronica) e Andrea Marazzi (basso ed elettronica) più qualche ospite che ho voluto chiamare per rendere il disco più “corale”.
IR: Come saranno i live? in solitaria?
GI: Alcuni dei live saranno in trio, arricchiti dalle proiezioni di Luce Berta, mentre altri si terranno in duo. Cerco sempre di suonare il più possibile in trio, anche se siamo in un momento storico in cui è molto difficile suonare in gruppo.
Tuttavia, credo che per chi fa questo mestiere sia fondamentale condividere il palco con
altri: è un’opportunità per maturare artisticamente, mettendosi in discussione e contaminandosi a vicenda.
IR: Il mondo musicale è molto maschilista, hai avuto qualche esperienza ‘noiosa’ da questo
punto di vista?
GI: È un tema che sento molto, e temo di aprire una voragine, perché se ne
potrebbe parlare per ore.
Essere una donna e una cantante, spesso percepita come più giovane di quanto sia, mi ha portato in situazioni in cui mi si vuole insegnare un mestiere che conosco bene.
Il costante confronto con altre artiste e la rivalità che, purtroppo, spesso ne deriva, riflettono un sistema che sembra volerci indebolire, mettendoci l’una contro l’altra.
Per noi donne, ogni traguardo è una conquista ardua.
Viviamo con il timore di perdere ciò che abbiamo faticosamente ottenuto o, peggio, ci fanno pensare di non meritarlo, insinuando che il successo sia dovuto a fattori estranei al nostro lavoro.
Nel mondo musicale, siamo spesso costrette a irrigidire il nostro carattere per essere prese sul serio e ascoltate, ed è triste che debba essere così.