Interview: Todo Modo

Come vedete anche dall’immagine qui sopra e come vi abbiamo già segnalato, Todo Modo è un nuovo progetto che coinvolge Paolo Saporiti, Xabier Iriondo e Giorgio Prette. I nomi non hanno certo bisogno di presentazione, per cui, in attesa di recensire il disco recentemente uscito, abbiamo intervistato via mail Paolo Saporiti, le cui risposte mettono in luce le dinamiche lavorative che si sono create tra i tre e lo spirito che anima il progetto.

Le due canzoni che hai scritto da solo le avevi già da parte oppure sono state scritte quando si è concretizzata l’idea del progetto, quindi appositamente per esso?
Togli le mani da lei era già pronta qualche mese prima di consegnarla nelle mani del gruppo, tanto che ho potuto testarla qualche volta dal vivo, da solo. Pensata proprio per quel tipo di set, reggeva chitarra e voce ma ora ritengo abbia spiccato il volo, col supporto di batteria e chitarra elettrica. L’attentato, invece, è un brano che mi si muoveva dentro da un paio d’anni in attesa di una soluzione. E’ nata in inglese – la lingua del mio passato musicale – e funzionava già molto bene ma, una volta reimpostata la struttura e la narrazione, in funzione dei suoni e dei panorami che abbiamo immaginato in studio per il disco, ho sperimentato, per la prima volta, lo scrivere un testo in italiano su un brano preesistente. Non ho tradotto, ho riscritto. Per questo motivo, la sento molto coerente e aderente al progetto. Potrebbe quasi esserne il manifesto, nonostante la tipologia del brano c’entri relativamente con le modalità che il gruppo ha poi spontaneamente sviluppato.

Le altre canzoni invece sono frutto della collaborazione tra voi tre anche in fase di scrittura. Era la prima volta che componevi con altri? Se sì, com’è stata l’esperienza da questo punto di vista?
Non è la prima volta che scrivo per un gruppo, è già successo nel 2004, con i Don Quibol, cioè con Christian Alati e Lucio Sagone. In questo caso, come nell’altro, si è sviluppata una nuova modalità, a fianco della mia o partendo dalla mia. Quello che prima di tutto voglio è lasciarmi trasformare dalle situazioni. All’inizio, c’è stato il mio tentativo di scrivere su improvvisazioni che Xabier e Giorgio mi hanno fornito; ho scritto testi e immaginato linee melodiche che potessero combinarsi al meglio su un tessuto fatto di sole batteria e chitarra elettrica e poi, una prova dopo l’altra, ha iniziato a prendere forma un “nuovo modo” che cercheremo di cavalcare nel prossimo lavoro, in futuro, improvvisando a tre in sala prove. Non c’è stato abbastanza tempo per lasciarlo crescere di più, per ora. I testi li ho scritti nel mio intimo che, a volte e per questioni di urgenza, spesso si è ridotto all’ascensore o all’abitacolo della macchina.

Mi sembra che nel progetto ci sia la stessa idea presente nei tuoi ultimi dischi, ovvero la ricerca di come far interagire tra loro un suono non convenzionale e una composizione, invece, vicina alla forma canzone classica. La differenza è che qui il suono mi sembra più diretto e meno dissonante, per far sì che il risultato sia più scorrevole e di maggior impatto. Sei d’accordo?
Sono d’accordo con te e la cosa deriva principalmente dall’aver spostato il fuoco dell’autorialità. Questo non è un disco di Paolo Saporiti. E’ un disco dei TODO MODO, un gruppo che nasce dall’unione di tre personalità ben definite e che hanno cercato e trovato un’alchimia che si muove tra l’aspetto umano e la precisa volontà di scrivere canzoni.

Se non sbaglio questo è il terzo disco che registri con Xabier, quindi da un lato Giorgio si è inserito in un meccanismo collaudato tra voi due, però si può anche dire che tu ti sei inserito in un meccanismo collaudato tra loro due, dato che di cose insieme ne hanno fatte tante. Com’è stato trovare l’intesa dal punto di vista della registrazione dei brani e del suonare insieme?
Facile!
I contributi di Xabier ai miei progetti risalgono al 2006 con “Just let it happen…” e i dischi registrati con lui sono tre. Per questi tre dischi abbiamo sempre lavorato separati, affidandoci uno all’altro. La collaborazione non si è basata su una concreta relazione in studio ma sulle nostre capacità di lettura e ascolto, con qualche scambio sulle idee musicali di fondo e sui paesaggi sonori che desideravamo per ogni singolo progetto. Mai lavorato in studio prima, fianco a fianco, se non per il suo “Irrintzi”. Gli ho sempre detto quello che pensavo e desideravo, indicazioni molto semplici e scarne ma evidentemente determinanti per noi, per poter portare a termine il lavoro. Con questo progetto, quando è capitato di essere in studio, sono rimasto molto colpito dalla facilità di interazione. E’ come se lui mi conoscesse già e sapesse chiaramente come interagire, anche in fase di registrazione. E‘ un grande professionista. Aveva già un rapporto con Giorgio e, come dici tu, il gioco è stato soltanto quello di trovare un’intesa, un punto di vista comune. Loro due si guardano e sanno già cosa fare…. io mi sono posizionato lì, nel mezzo.

Leggendo la presentazione del disco e soprattutto ascoltando direttamente i testi, si capisce che stai cantando qualcosa di più universale e meno personale rispetto al tuo solito. Sentivi l’esigenza di una cosa del genere dopo gli ultimi due album in cui davvero ti mettevi a nudo?
Questo progetto non nasce dal caso ma da precise esigenze di ognuno di noi. Aggiungo una cosa però, in cui credo fortemente: io reputo tutto il mio lavoro precedente “universale” a partire dal momento in cui si è fatto espressione e parola, musica e non lo trovo diverso da ora. Purtroppo l’introspezione oggi risulta superflua o ad esclusivo appannaggio di un soggetto facilmente classificabile come egocentrico o narcisista, che ama piangersi addosso, unico a soffrire, come ho sentito dire spesso anche da persone vicine. Io credo che la nostra società possa solo migliorare se ognuno di noi riesce a liberarsi e a confrontarsi con archetipi, fantasmi e vissuti del passato o del presente e riesce a regalarli agli altri, creando dal nuovo, partendo da un se stesso rigenerato, allontanandosi il più possibile da strade già battute, le più semplici.
….ma forse non tutti hanno voglia di capire o migliorare e crescere.
…e forse è più facile trovare conferme in quello che già si sa.

È più rassicurante muoverci nel conosciuto e nel risaputo. Il mio contributo, fino a ora, è stato soltanto quello di cercare di raccontare un’esperienza, la mia, che potesse essere utile, anche agli altri, perché diversa.

Questo disco sembra nato per essere suonato dal vivo, vi immagino voi tre sul palco a fare le stesse cose che ci sono sul disco. Oppure mi sbaglio e nei concerti stravolgerete le canzoni?
Non sbagli, il disco è pensato per poter essere riprodotto in questa formazione dal vivo. Unica aggiunta, come capita nel disco, il nostro quarto uomo: la bass pedal di Xabier, sulla quale ci alterniamo, a seconda del brano, io e lui.

È un periodo denso di polemiche nella musica italiana, tra la validità dei voti delle ultime Targhe Tenco e musicisti e giornalisti che si lanciano in dichiarazioni fuori dalle righe e chi le legge che le prende molto sul serio (me compreso). Tu che sei un veterano e hai visto com’è cambiata la comunicazione negli ultimi dieci anni, pensi che possa valere l’effetto “bene o male basta che se ne parli” o sarebbe davvero meglio per tutti se ci dessimo una calmata e pensassimo solo a fare musica/ascoltarla/scriverne?
Spero di non fare come i veterani del Vietnam, ridotto a ubriacarmi e farneticare, dimenticato dal mondo mentre mi estinguo come un dinosauro, isolato in me stesso ma ho “un paio” di argomenti da sviluppare al riguardo….
Uno. Per me bisognerebbe ascoltare e suonare davvero e rendere il tutto di nuovo possibile e credibile per tutti, pubblico, addetti e musicisti.
Due. Sbagliava Oscar Wilde, a sostenere che “bene o male basta che se ne parli”, anche se la citazione non è la sua ovviamente, ma è un tema che per me arriva da lontano e che avrebbe dovuto rimanerci. L’ho sempre trovato assurdo e deleterio, in generale. Ha contribuito a rovinare l’arte in se stessa e ad avvicinarla sempre di più alla quotidianità, alla normalità del mercato che rovina e fagocita ogni cosa.
Tre. Il problema è ancor più esasperato dai media che stiamo usando oggi e dalla superficialità con cui li stiamo usando. Mi auguro sia soltanto questione di aspettare che passi l’onda di rapporti impostati e sviluppati così, solo sui social e sulla virtualità dei nostri pensieri. La cosa che più mi colpisce è la quasi totale assenza di una seria e consapevole capacità di indignazione. Tutto si ferma a degli sfottò o a degli sfoghetti isterici, che riteniamo importanti senza saperli davvero valutare e riconoscere per quello che sono. E’ come se tutti ci mentissimo, sapendo di mentire, perché è l’unica cosa che ci rimane da fare. Aderire. Tutto questo restituisce soltanto una sensazione dell’occuparsi oggi di qualcosa e di poterlo risolvere. Un passo ulteriore nell’impoverimento sociale di cui siamo tutti vittime e protagonisti. Per cui, tutti si sfogano in maniera virtuale e si accontentano di uno status quo virtuale, senza mai provare a modificare alcunché della propria o altrui esistenza. Fare un disco è quanto di meno rivoluzionario oggi si possa fare, alla fine dei conti, perché è un fatto concreto che non ha alcun senso, visti i numeri su cui si muove ma allo stesso tempo è il gesto più rivoluzionario possibile, in quanto fatto tangibile, concreto. Uno dei pochi gesti rimasti in un mondo sempre meno capace di sognare e di realizzare qualcosa che non sia fatto per una bieca questione di soldi, di guadagno. Questa è la verità. Lo facciamo solo per noi stessi, noi, che così ci confermiamo di esistere ma nessuno vuole ammetterlo a se stesso o se ne rende conto davvero, perché su internet ci siamo creati un mondo virtuale in cui chiunque può pensare di funzionare, immaginando di avere un pubblico o sostenendo di poter combattere o controbattere qualsiasi campagna o azione virale a proprio sostentamento o detrimento ma senza mai confrontarci davvero con lo sguardo dell’altro, coi suoi pugni, coi suoi rimproveri e abbracci o con la gogna di una comunità che non esiste neanche più.

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