Interview: Sandra Vesely
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Sandra Vesely, un nuovo nuovo che si affaccia sulla scena underground milanese, con un sound atipico e ipnotico che si rifà alle sonorità di personalità del calibro di PJ Harvey e Diamanda Galàs. Di recente ha pubblicato il suo primo singolo ufficiale, una versione live di Panopticon che può vantare la presenza del pianista e compositore Vincenzo Parisi.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lei.
Ciao Sandra, grazie mille per aver accettato quest’intervista. Prima cosa, come è iniziato questo progetto? E come convivono Sandra e Caterina? Chi ha la meglio?
Il progetto è iniziato con una chitarra e un fortissimo bisogno di esprimermi con la musica, incoraggiata molto da Vincenzo Parisi che adesso suona con me. Nel frattempo ho cambiato strumento e vari nomi d’arte ma quello che mi muove è rimasto lo stesso! Sandra e Caterina sono due maschere, io non sono di più una o di più l’altra – ogni identità è una maschera, le persone sotto sono enormemente più complesse… Diciamo che Sandra è la maschera con cui porto in giro la mia musica e Caterina quella con cui mi presento agli sconosciuti.
Come hai passato il periodo di lockdown? Ha aiutato nell’ispirazione? Ne è venuto fuori qualcosa di interessante che sentiremo prossimamente?
Avere una passione e degli obiettivi sicuramente mi ha aiutato a passare la quarantena con un po’ di positività, ma non posso dire che sia stato un periodo fertile. Di fronte a questa catastrofe penso che tutti noi musicisti ci siamo sentiti un po’ impotenti… Ho studiato e riordinato le idee, però, questo fa sempre bene!
Cosa significa Panopticon?
La parola letteralmente significherebbe “che vede tutto”: si tratta di un sistema di sorveglianza in cui i prigionieri nello sono tutti contemporaneamente controllati a vista da una guardia centrale. La guardia non può davvero vedere tutti insieme, ma il prigioniero non vede la guardia e dunque non sa quando è visto e quando no: in pratica, la sorveglianza è continua. È una forma di prigione molto moderna e ha tantissimo a che fare con il mondo in cui viviamo: attraverso i cellulari, i social, i motori di ricerca che raccolgono i nostri dati, le telecamere di sicurezza che sono dappertutto, siamo tutti potenzialmente sempre sotto osservazione. È un problema di cui si è parlato ancora di più ultimamente, ma mi ossessionava già da prima. La canzone quindi tratta di questo, di sorveglianza e di mancanza di libertà, ma anche, credo, di come ne siamo tutti responsabili e la scelta sia sempre possibile, di quanto il nostro modo di vivere la nostra vita privata e il nostro corpo sia sempre potenzialmente rivoluzionario.
Parentesi nerd. Ci racconti una giornata in studio con te? (sentiti liberissima di nominare attrezzature, e tutti i dettagli del caso)
In realtà sono pochissimo nerd! Sono più musicista classica di formazione e tendo ad avere quel tipo di approccio verso la musica, a concentrarmi molto sulla tecnica e sullo studio e quando scrivo a pensare più all’idea compositiva che non al suono che la canzone avrà una volta registrata. Mi piace partire dallo strumento, sperimentare con la voce o sul basso. Per il basso uso anche molti effetti, soprattutto un delay (uso quello della Boss), un fuzz e un chorus EBS, la Boss RC-30 come loop station di cui faccio uso massiccio, e il Bass Microsynth che è il mio ultimo acquisto, praticamente il mio gioco preferito ultimamente! Ma oltre agli effetti mi piace cercare suoni particolari “preparando” il basso, stoppando le corde con una gomma o un tappo di sughero, o usando un chiodo per suonare. Sono idee che nella musica classica sono già vecchie, ma nella maggior parte del rock e pop sono poco esplorate, i suoni si cercano di più fuori dallo strumento. Uso anche delle percussioni elettroniche, in particolare un pedale kick della Roland e il sequencer MPX8 dell’Akai, di cui ho usato i suoni pre-caricati finché un mio amico non mi ha fatto notare quanto fossero terribili – peraltro con pochissimo tatto. Una delle mie missioni in questo periodo quindi, che è stata facilitata anche dalla quarantena, è quella di imparare a cavarmela con programmi come Ableton per manipolare i suoni e anche per riuscire prima o poi a registrare dei provini decenti.
E adesso?
E adesso, oltre ad Ableton, c’è una laurea in Musicologia che mi aspetta e un EP che sto registrando nello studio di Giacomo Carlone a Milano, di cui spero potrete sentire presto qualcosa. E poi, ancora tanto studio e tanta sperimentazione.