Interview: Pipers

Dopo aver molto apprezzato il ritorno dei Pipers con il loro secondo disco ‘Juliet Grove’, è stato un piacere inviare una manciata di domande via mail a Stefano, il leader della band, e ricevere le risposte in circa mezza giornata. Dallo scambio domande-risposte emerge un quadro abbastanza rappresentativo del processo creativo della band e di come il quartetto abbia tanta voglia di fare

Iniziamo con la classica domanda di quando una band torna sul mercato discografico dopo un po’ di tempo: cos’avete fatto in questi quattro anni? Ci avete impiegato così tanto per pubblicare il secondo disco perché impegnati a suonare all’estero, per via del cambio di lineup, perché semplicemente avete voluto prendervi il vostro tempo, o per cos’altro?

Semplicemente perché si sono accavallate un paio di cose. dal tour del primo disco fino alla dipartita del vecchio batterista che se ne è andato nella parte finale del tour costringendoci a cancellare 7 date. segue periodo di ricerca nuovo batterista, conoscenza, tempo naturale per evolversi assieme e mettere su il disco nuovo e poi la registrazione in Inghilterra. A disco pronto ci siamo scontrati con il disastrato sistema indipendente italiano e abbiamo faticato molto prima di arrivare alla attuale etichetta discografica. In realtà Juliet Grove era pronto dall’autunno del 2012 ed è uscito nell’inverno del 2014. Immagina un po’. In ogni caso in questo lungo periodo siamo comunque riusciti a suonare in Inghilterra con Turin Brakes e Ocean Colour Scene, per bene 4 date. Poi in patria ci aspettava James Walsh per altre 3 lungo lo stivale.

Che poi, a pensarci bene, 4 anni tra un disco e l’altro una volta non venivano visti come un periodo troppo ampio, invece ora sembrano quasi un’eternità. È vero che l’andamento del mercato discografico attuale mette pressione? Se sì, quanta ne avete sentita e quanto è stato facile liberarvene?

Premesso che abbiamo già 2 dischi scritti che devono solo essere registrati…credo che la vera pressioni sia quella messa dalla paura di essere dimenticati in fretta. Il periodo di vita di un disco si è accorciato, l’offerta esplode e alcuni soggetti decidono di fatto chi deve venir fuori nell’anno e chi no. Noi non abbiamo nessuna pressione perché non siamo sulle grandi vetrine mediatiche, noi produciamo solo musica, canzoni che odorano di onestà e non c’è altro. Potrei quasi dire che nessuno ci aspetta, ma noi aspettiamo loro al varco. Ho smesso di suonare per i promoter o per gli opinion leader, preferisco quelli che trovo sotto al palco sinceramente interessati alla musica e che poi ci vengono a fare uno shot con noi al bancone, magari dopo averci gratificato con l’acquisto del disco. In ogni caso non passeranno altri 4 anni per il prossimo disco.

Le canzoni sono sempre accreditate interamente a te. Immagino che però gli altri diano un contributo in termini di costruzione del suono e magari anche di scelta tra le canzoni da tenere per le pubblicazioni e quelle da scartare. È così?

Si e no. Le canzoni sono scritte e composte da me, i Pipers hanno ognuno il 25 per cento di facoltà su come verrà fuori il pezzo. Il suono esce fuori naturale perché per fortuna siamo sintonizzati sulle stesse frequenze ma devo dire che sono io quello che decide su cosa bisogna lavorare e cosa no; anche qui sono fortunato perché i ragazzi sposano la mia sensibilità e anzi l’arricchiscono.

Nella mia recensione citavo una vostra vecchia dichiarazione per cui fosse importante per voi uscire dalla realtà del vostro territorio visto il tipo di musica che fate, aggiungendo che, visto il luogo in cui è stato registrato il disco nuovo e le persone con cui avete lavorato, quest’importanza evidentemente c’è ancora. È proprio così? Non è davvero cambiato nulla in Italia per quanto riguarda l’impossibilità che nasca un ambiente davvero aperto a tutte le pulsioni della cultura musicale internazionale?

Ma l’ambiente è aperto verso una cultura musicale internazionale. Diverse band italiane vanno in tour in Europa ed è un bene. Personalmente abbiamo fatto la scelta di andare da Gavin Monaghan per valorizzare al massimo quello che è un nostro tipo di scrittura ma devo dire che in Italia negli ultimi anni sono aumentate le collaborazioni con addetti ai lavori stranieri. La musica è andata in direzione estera come scambio professionale ma mi pare di capire che il pubblico sia rimasto pressoché con lo stesso identico approccio di sempre. Non è una polemica, finora i nostri concerti sono andati piuttosto bene e magnificamente in alcune date tra cui Milano.

Sempre nella recensione, evidenzio come il suono sia, da un lato, più curato nei dettagli, ma dall’altro più polveroso. Siete d’accordo? Se sì, a che punto del processo di realizzazione del disco è emersa questa scelta?

Il primo disco ‘No One But Us’ era super prodotto, patinato e con un suono grosso. Frutto di lavori di post produzione, molto lontano da come veniva poi proposto in veste live. Questo non è bene e la scelta di sovraincidere pochissimo su ‘Juliet Grove’, e di restare ancorati a un’idea di suono che fosse successivamente rispettata nel live, è stata presa da subito. Il disco nuovo è ruspante, curato si ma con i piedi per terra, reale, non editato, esattamente come siamo dal vivo sul palco (al di là di qualche rifinitura orchestrale che ti puoi permettere quando registri in studio).

Da quello che ogni tanto raccontate, mi sembra che i testi prendano molto spunto da storie di vita vissuta, spesso proprio dalla band. È così?

C’è qualcosa di reale e vissuto (‘Ask Me For A Cigarette’) ma molto nasce da una mia sensibilità nel guardare il mondo e riflettere, immaginare situazione, partire da bozze di vita personali per poi allargarle a situazioni e dinamiche che possono appartenere potenzialmente a tutti. La verità è che quando scrivo una canzone sto cercando di mettere ordine nelle cose, come se volessi piazzare una griglia sul mondo per renderlo intellegibile; l’effetto dura un po’ e poi si ritorna punto e a capo, avvertendo la necessità di una nuoca composizione.

Raccontate a chi ha ascoltato il disco cosa può aspettarsi da un vostro live.

Siamo discretamente fedeli al disco. Non c’è il pianoforte dal vivo ma il mandolino, e molte più voci. Un piglio più sporco ma non troppo. Ruspanti, folk rock, emotivamente presi, a volte con gli occhi chiusi.

Non so se pensate mai al profilo tipo del vostro ascoltatore medio, ma non credo di sbagliare se immagino che chi vi apprezza abbia oltre trent’anni e apprezzi band come Ocean Colour Scene, Travis, Turin Brakes, Starsailor. Un po’ vi dispiace il non poter ambire a puntare a un pubblico più vasto, oppure siete dell’idea che sia meglio un seguito più ristretto, ma fedele e appassionato?

Il pubblico è il pubblico e la musica viaggia su tremila strade diverse. Possiamo arrivare a tutti e non ti nascondo che le statistiche dicono che l’età media del nostro ascoltatore tipo è dai 24 ai 32 anni. Ultimamente sto scoprendo molti ventenni che si sono appassionati. Ogni musica segmenta, credo sia normale. Però devo dirti che ad Arezzo un paio di settimane fa abbiamo fatto un concerto bellissimo e l’età media era 50 anni! Il che si è tradotto in un numero spropositato di dischi venduti. Ogni tanto ci sta. In ogni caso credo che la musica che facciamo possa ambire a un pubblico vastissimo, l’ho visto quando Virgin Radio ha iniziato a passare il nostro secondo singolo Steve Lamacq.

Voi stessi dedicate la maggior parte dei vostri ascolti a queste band o altre simili, oppure avete gusti più eclettici?

Non siamo chiusi nel grande cerchio del britpop. Divoriamo musica vecchia e nuova. Oggi per esempio ho scoperto tali Messenger che sono inglesi e fanno una specie di prog folk dalle chiare influenze seventies e floydiane manco fossero i Blackmore’s Night!

Anche per la conclusione scelgo la domanda più classica. Cosa prevedete di fare nei prossimi mesi? Suonare dal vivo, oppure concentrarsi su canzoni nuove, o lavorare su qualcosa che è rimasto fuori dal disco per fare ad esempio un EP, o cos’altro?

Saremo in tour fino alla fine dell’estate. Finora abbiamo toccato le principali città italiane come Napoli, Milano, Roma, Firenze, Bologna e tante altre come Orvieto, Arezzo, Benevento, Matera…. In autunno inizieremo a lavorare sui pezzi nuovi che andranno a comporre il nostro terzo album per il quale ho già pronto il nome e il vestito. Quello della grandi occasioni.

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