Interview: Dardust

Dopo aver molto apprezzato il suo secondo disco e la sua apparizione all’interno della giornata di musica dal vivo a Piazza Maggiore a Bologna il primo maggio, non potevamo farci sfuggire l’occasione di mandare un po’ di domande a Dario Faini, aka Dardust. Dario ci ha risposto molto velocemente e con grande disponibilità; le sue risposte aiutano a capire meglio diversi aspetti legati al suo progetto e a immaginare cosa potrebbe succedere in futuro.

Come è nata l’idea di questa trilogia?
Ho pensato che un progetto particolare come Dardust che non appartiene di default a uno stile preciso ma che ha come obiettivo quello di unire due mondi distanti come quello neoclassico con un certo tipo di elettronica, avesse bisogno di almeno tre dischi per arrivare ad un certo equilibrio in termini di identità e per essere accettato dal pubblico. Vorrei che questa non appartenenza totale ad un genere sia la forza di Dardust e non il difetto. Con 7 eravamo su itunes in categoria Classica con Birth in Elettronica. Ecco questo è il dilemma. In ogni caso credo che mantenere un certo tipo di onestà creativa sia la base di Dardust aldilà del pubblico o delle categorie.

Hai registrato e registrerai le tre parti della trilogia in altrettante fredde città del Nord Europa. L’hai fatto e lo farai per assorbire l’atmosfera dei luoghi in questione o se avessi trovato uno studio adatto, ad esempio, in luoghi caldi e soleggiati ci saresti andato?
Non è una questione di studi, ma di atmosfere di luoghi e di immaginari che sono collegati ad essi. Sono un appassionato del nord-europa e meno di luoghi ed atmosfere calde. Ma potrei cambiare idea dopo questi 3 dischi.

In particolare, l’ascolto di Birth è un’immersione nell’Islanda, nei suoi paesaggi, si ha la sensazione di respirare questa aria nordica, immaginare luoghi di quelle terre a noi lontane. Questa è la percezione di chi ascolta. Qual è, invece, la tua sensazione? L’incidenza che ha avuto davvero l’Islanda nella concezione e realizzazione di questo disco?
L’Islanda è stata fondamentale nella concezione di “Birth”. Se fossi andato in Brasile a scriverlo credo sarebbe uscito un altro disco. “Birth” è la mia creatività pura senza sovrastrutture. E’ fuoco e ghiaccio. E’ la convivenza di due opposti. Capisci che tutto questo a a che fare con l’Islanda.

Il tuo lavoro principale è quello di compositore ed autore di brani fondamentalmente pop e destinati al circuito radiofonico. Hai sentito l’esigenza di staccare da quel mondo per immergerti in qualcosa di nuovo e diverso?
Si e mi piacerebbe che un certo tipo di pubblico non fosse condizionato da questo. E’ difficile accettare il fatto che uno possa scrivere un brano pop e contemporaneamente fare un project come Dardust? Per fortuna certi confini non esistono più. Ad esempio ci sono cantautori indie come Tommaso dei Thegiornalisti o Calcutta o Bianconi che lavorano nel songwriting “pop”. Non ci vedo niente di male. Manuel Agnelli che è un simbolo per tutti di appartenenza ad un certo mondo, è ad Xfactor. Io ho fatto il percorso inverso. Non è la direzione che conta ma il risultato.

Quanto ha influito questo tuo background in Birth ed in generale sul progetto Dardust?
In parte ha influito, soprattutto nelle strutture a volte “quadrate” dei brani. Ma questa è una sfida in arrivo. Nel prox disco voglio lavorare su questa mia attitudine, e allontanarmi da essa.

Le due personalità (quella neoclassica e quella elettronica) riescono a convivere ed a trovare un equilibrio. Come sei riuscito a trovare questo equilibrio?
Con tanta fatica spesso sacrificando alcune componenti dei due generi per trovare un punto di incontro. In Birth ho dato più attenzione al flow e al sound design sacrificando e rendendo ancora più minimale la scrittura melodica e armonica.

In Birth, però, l’anima elettronica viene enfatizzata rispetto al capitolo precedente, 7. La scelta di estremizzare la parte elettronica è stata voluta, premeditata, fin dal principio?
Niente di premeditato. in 7 c’erano spunti in fase embrionale che andavano sviluppati e questo è accaduto in “Birth”.

Anche se l’anima elettronica è emersa maggiormente, rispetto al disco d’esordio, lo ha fatto senza mai davvero esplodere. Cosa dovremmo aspettarci nel successivo capitolo londinese? Un’esplosione di pura elettronica?
O magari un disco solo di piano e archi.

Nei tuoi live, almeno in quello che ho visto io il 1° maggio a Bologna in Piazza Maggiore, c è molta cura ed attenzione dell’ estetica (penso all’esecuzione quasi coereografica di Bardaginn)…
Voglio che il nostro live sia un’esperienza singolare e unica e cerchiamo di farlo con i nostri mezzi. Mi piace la teatralità della performance live. Non a caso Bowie è stato sempre il mio mito da Ziggy Stardust e mi sembra che questo si capisca a partire dal nome d’arte di questo project. Immagino che questo sarà un altro problema di definizione per chi si aspetta in Dardust, un Einaudi in versione più elettronica. Ma non mi interessa:)

Hai suonato in molti teatri italiani. Immagino sia differente rispetto ad esibirsi in altri contesti, come in quello in cui ti ho visto io ad esempio. Ci vuoi dire di più?
Nei teatri tutta la parte “slow” e neoclassica dello spettacolo, è più consona al contesto e mi piace partire da li. Quando suoniamo all’aperto o nei festival ovviamente cambia tutto e cerchiamo di adattarci cambiando leggermente set-list senza però snaturarci ma concentrandoci più sulla parte “loud”. L’adrenalina è devastante, spesso prima di salire sono terrorizzato ma quando il live finisce l’energia che hai addosso è pazzesca. Piazza Maggiore a Bologna è stato il primo test importantissimo di questo disco. Ed è stata gioia pura. Gioia perché vedo che di volta in volta conquistiamo un pubblico diverso e ti garantisco che io non do mai niente per scontato. Anzi.

La tua musica ha decisamente un tiro internazionale. Sono previste date all estero?
In autunno spero. Si dovrebbe partire con la Francia. E non vedo l’ora.

La foto è di Alessio Panichi

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