Interview: Brenneke

Come vi abbiamo riportato recentemente nelle nostre news, il nostro amato Brenneke si è lanciato in un’iniziativa sui generis: pubblicare un EP di due canzoni, intitolato Sottostanza, solo su YouTube e solo tra il 12 giugno e l’8 luglio. Spinti dalla voglia di approfondire, abbiamo contattato al telefono Edoardo Frasso in persona e abbiamo chiacchierato a lungo partendo proprio da quest’ultima mossa, ma finendo per discutere di molto altro.

Ho provato a pensare a alcuni motivi che ti hanno spinto a mettere in atto questa iniziativa. Il primo è che, in fondo, quando esce musica che possiamo “archiviare”, non è che il tempo che le dedichiamo sia molto superiore a un mese, anzi, spesso è inferiore.

Questo è assolutamente uno dei motivi che mi hanno spinto a fare questa cosa. Viviamo nella sovra esposizione di tutto e nell’ansia per la permanenza, chi fa qualunque cosa, non solo la musica, desidera soprattutto che questa cosa rimanga, e abbiamo la possibilità tecnica di far sì che le cose rimangono, però, siccome lo fanno tutti, nella pratica non rimane niente. Così mi sono chiesto cosa poter fare per dare un messaggio di tipo diverso, anche contro intuitivo, solo per il gusto di provarlo e vedere cosa succede. Ho pensato, quindi, all’impermanenza, ovvero l’opposto di ciò che ogni musicista desidera.

Ho poi pensato che le canzoni, e chi le fa, dovrebbero avere il diritto di poter cambiare. Mi è venuta in mente la tua Piscine, che, rispetto a com’è nell’EP del 2016, per come la fai ora è un’altra canzone. E un artista dovrebbe avere il pieno diritto di cambiare una canzone, quando se la sente, e invece, oggi come oggi, quasi quasi non ce l’ha.

È verissimo! Io, come molti del resto, sono un grandissimo fan di Bob Dylan, che ha inventato il cantautorato moderno e che poi, da questo punto di vista, lo ha distrutto. Oggi, cioè negli ultimi 30 anni. Dylan fa questo gioco, overo prende le sue canzoni e le destruttura fino all’irriconoscibilità, perché, in qualche modo, rivendica il diritto di fare quello che vuole con la propria opera e dà all’ascoltatore un grande potere, ovvero quello di essere parte attiva dell’ascolto, perché deve prestare attenzione in un modo nuovo. Nessuno, oggi, ha il coraggio di farlo, soprattutto nessuno della mia generazione, infatti noi andiamo sul palco con le basi per rifare le canzoni allo stesso modo. Invece, l’idea di dare delle canzoni che poi scompaiono fa sì che, effettivamente, esse possano riapparire in altra forma e la gente non si ricorda nemmeno bene com’erano prima quelle canzoni. Chissà se queste due riappariranno e in quale forma, non lo so nemmeno io, è questa la cosa figa.

Del resto, questo messaggio l’avevi dato quando hai pubblicato Da Dove Proviene Il Rumore.

Effettivamente sì, infatti quel disco lo sento abbastanza simile all’universo che ho creato con Sottostanza EP, con l’unica differenza che quel disco è sulle piattaforme. Se fosse per me, ogni anno farei un disco solo con miei pezzi vecchi rifatti in modi nuovi, e chissà che non lo faccia. Ho pensato spesso, ad esempio, di rifare proprio Piscine, nel modo in cui l’hai sentita dal vivo, però poi non l’ho mai fatto proprio perché mi piace che questa versione possa essere ascoltata solo da chi viene a vedermi dal vivo.

Oltre che trovarla nei video di YouTube…

Quello, dal mio punto di vista, rientra nella classificazione dal basso che in varie forme alternative può essere recuperata.

Il terzo e ultimo motivo che ho immaginato per questa tua iniziativa è che, in fondo, le canzoni rischiano di essere prigioniere del contesto in cui vengono proposte. Ad esempio, io ammetto di non aver mai ascoltato, se non nei giorni scorsi quando ho saputo che ti avrei intervistato, Ogni Mai Più per intero, perché tanto avevo ascoltato le singole parti quando erano uscite. Ma se lo ascolti tutto, fa un altro effetto.

Sono d’accordo, e non è nemmeno un disco così lungo, solo che capisco che non venga in mente di ascoltarlo tutto quando si conoscono già le singole parti. In generale, trovo che il tema del contesto sia più che mai fondamentale, quasi più delle singole canzoni, perché oggi siamo in un mondo in cui il digitale sta dominando la musica e ciò crea un appiattimento totale. Chi mette la musica nel digitale, infatti, usa sempre gli stessi percorsi: canzoni su Spotify, promozione su Instagram, se si vuole fare una cosa più alterativa si usa Bandcamp, però, in realtà, il digitale è un universo comunicativo, che nessuno in realtà usa mai. Nessuno sperimenta altre cose perché questo universo non lo controlliamo noi, e questo è un fattore potentissimo. In realtà noi siamo controllati da questi signori.

Ci danno l’illusione di avere noi il controllo ma in realtà ce l’hanno loro.

Bravissimo. Tu di che anno sei?

Del 1975.

Io del 1989, quindi ho visto la coda di ciò che hai vissuto tu, ovvero che la musica era un oggetto.

Sì, andavi nel negozio di dischi, spendevi le tue 30mila lire e avevi l’oggetto.

Oppure usavi Napster o Emule.

Ma difficilmente scaricavi un disco intero, visto che ci voleva mezz’ora solo per una canzone.

Ci voleva un giorno per un disco, però amavo quel mondo strano, anche perché ero un bambino. In ogni caso, mi affidavo quasi completamente al CD, ed era un bellissimo modo di ascoltare musica, perché ne possedevi anche il lato emotivo, perché c’era una forte affezione per l’artista, per la canzone e per l’esperienza. Io, questa mattina, avevo voglia di ascoltare gli Who mentre andavo al lavoro, ho messo su Quadrophenia ed è stato bello, però se l’avessi ascoltato in vinile quando avevo 14 anni mi avrebbe totalmente fulminato e mi avrebbe cambiato la vita, invece oggi è un’esperienza come tante. E in realtà ho creduto di aver ascoltato gli Who, ma ho ascoltato Spotify, ovvero un’applicazione, che trascende da tutto ciò che c’è dentro. Trovo che muoversi in questo contesto sia molto frustrante e molto difficile, ragion per cui questa mia idea è un piccolo tassello che spero di sviluppare pian piano, cioè liberare la musica da questa gabbie e queste costrizioni e far sì che ci sia più immaginazione anche nella divulgazione. È molto difficile coinvolgere gli addetti ai lavori, io per fortuna sono stato fortunato ad avere un ufficio stampa, RC Waves, che ha fortemente voluto fare questa cosa con me, ma non era così detto.

Parlerei ora delle canzoni, perché poi si finisce a parlare di ciò che sta loro attorno e non del loro contenuto. L’impressione che ho avuto è che, dal punto di vista sia della composizione che del suono, ci sia una voglia da parte tua di tornare a cose più dirette e d’impatto. Ogni Mai Più ha diversi brani dalla struttura più articolata e dal suono stratificato, e invece qui troviamo, in entrambi i casi, tre minuti scarsi di strofa-ritornello e chitarre, in una canzone più morbide e nell’altra più robuste, ma sempre e solo chitarre.

Musicalmente, secondo me questo potrebbe sembrare il primo EP di un artista, e sento che sto un po’ ripartendo da zero, Questo mi dà nuove emozioni, anche perché è buffo avere queste sensazioni a 35 anni, dopo che lo faccio da molto tempo e mi sono creato un mio immaginario. Più Raro Di Per Sempre è una demo che è rimasta quasi del tutto fedele a com’era, l’ho solo sistemata un pochino a livello di mix, e Promemoria avrei potuto scriverla quando avevo 20-22 anni, anche a livello di tematiche. Come abbiamo detto prima, le canzoni sono un’entità che respira, quindi mi è sembrato giusto farle respirare e non inserire troppa roba, anche per dare loro la possibilità di evolversi, magari anche dal vivo.

Quindi, le canzoni stanno dando un messaggio di come ti senti in generale, da un punto di vista artistico.

Effettivamente, tutte le ultime cose che sto facendo hanno questa dimensione, anche perché ciò che sto ascoltando più volentieri sono demo o comunque musica non particolarmente lavorata, che non ne ha la necessità. A oggi, vedo le canzoni troppo lavorate come una forma di marketing, come se fosse necessario vestire le canzoni in un certo modo, mentre in questo momento apprezzo la musica che non è vestita, e spero di poter approfondire questo aspetto, anche perché pure gli ultimi miei concerti vanno in questa direzione. Qualche anno fa volevo scrollarmi di dosso questo tipo di concerti, e invece oggi li ho recuperati con gioia. Inoltre, in questo mio privilegiare questi riferimenti ha contribuito anche la scomparsa di Paolo Benvegnù, che mi ha segnato tantissimo, artisticamente e umanamente. Lui suonava dappertutto, non aveva il problema di quale fosse la dimensione più giusta per lui, perché era lui a far diventare giusta la dimensione in cui era. Per me è questo che, a oggi, dovrebbe definire la musica alternativa, perché altrimenti non esiste più.

Hai scritto che Più Raro Di Per Sempre è una canzone dimenticata nella memoria RAM. Quante altre ce ne sono?

Molte, la maggior parte credo che siano brutte, ma ogni tanto ne sbuca fuori una e io mi chiedo “perché non do una chance a questo pezzo? Perché non l’ho mai fatto uscire?”. C’è, in generale, il problema, per i musicisti, che da quado scrivono il pezzo a quando viene pubblicato passa un anno e mezzo, tra registrazione, promozione, ecc… così, quando arrivano, spesso perdono la forza che avevano quando sono stati scritti, anche perché, nel frattempo, il mondo è cambiato e siamo in un’altra fase, in un’altra epoca. Questo per me è molto frustrante, penso a Instant Karma che John Lennon scrisse e pubblicò nel giro di una settimana, e all’epoca era difficilissimo perché come minimo la dovevi stampare e dare ai negozi, mentre oggi con un click potrebbe essere a disposizione, solo che, se lo fai, non raggiungi nessuno perché è una goccia nell’oceano.

In effetti, parlando con vari musicisti, sento dire da tutti che è importante far uscire le canzoni poco alla volta per dar loro valore.

È un po’ un ritorno al singolo, inteso come 45 giri, anche se, a lungo andare, siamo sempre lì, ovvero se lo fanno tutti, rimane solo una grande confusione.

Del resto, lo dicevamo prima, tu stesso hai fatto uscire Ogni Mai Più in tre parti e così quando lo si poteva ascoltare per intero, io non l’ho fatto.

E probabilmente nemmeno io! Secondo me, oggi, la vera sfida per gli artisti è accettare che sono delle gocce nel mare. Noi amiamo pensare di fare cose importanti per tante persone, ed è bello, ma ci sono migliaia di altre voci oltre alla nostra, e le mie due canzoni parlano proprio di questo, sia col sound delle canzoni stesse che col metodo di distribuzione che ho scelto. Mi rendo conto che ho una voce, ma è vaga, temporanea, un riverbero. Molti artisti non riflettono su questo tema, fanno uscire la musica “alla vecchia” e pensano di portar fuori la next big thing. Però, forse la musica non dev’essere questa cosa qui, dev’essere più una lenta costruzione di comunità attorno a quello che fai, un messaggio fatto di contatti, di momenti, di concerti dal vivo, so che tu sei uno che ancora ci va, quando può. Io sono contento che si stia parlando dei finti sold out e dei concerti sovraffollati, perché casini ai concerti ne sono sempre successi, ma io ho la sensazione che oggi chi gestisce questo tipo di eventi, semplicemente non lo sappia fare, perché viene posto troppo l’accento sul fatto che il concerto debba essere per forza un evento.

A me ha mandato a male aver letto che al Carroponte hanno aumentato la capienza a 12mila persone, io lì ci sono stato un sacco di volte, dove cazzo le metti tutte queste persone.

Certo, è sempre stata 8mila, la porti a 12, è ovvio che c’è gente che si è sentita male. Poi con la mega struttura in mezzo, che certamente serve per i fonici, ma mi sembra fatto tutto in modo scriteriato.

Voglio vedere come andrà il resto della loro stagione dopo questi due concerti, perché se la gente sa com’è, a un certo punto non ci va.

In effetti due concerti su due andati così sono tanti. Purtroppo, però, ho il sospetto che la musica undergound oggi non esista più, e vorrei anche capirlo da te che hai visto tante fasi.

Diciamo che è limitata, una volta a Milano c’erano molti locali in cui si poteva andare a suonare, oggi ne sono rimasti molti meno, ovvero quelli che hanno avuto la forza di resistere più degli altri, oppure di partire in un periodo di difficoltà. Va detto che, per fortuna, queste realtà sono poche ma hanno una programmazione fitta: in un paio di casi, amici che conoscono gli organizzatori mi dicono che se vuoi suonare lì devi prenotare per l’anno prossimo.

Poi c’è anche un tema generazionale…

Quello l’ho notato andando a vedere i Been Stellar, proprio al Bellezza. Gente sul palco: tra i 22 e i 24 anni. Gente in platea: il più giovane ne aveva 35.

Questo ti dice tutto, ed è il motivo per cui non sono andato a vedere i Fontaines DC, che mi piacciono, anche se li ho sempre considerati un mezzo plagio dei Whipping Boy. Mi fa strano andare a vedere uno spettacolo che, dal punto di vista generazionale, non parla a me, visto che i musicisti sono sensibilmente più giovani rispetto alla mia età. E in realtà mi chiedo cosa ne pensino i musicisti nell’avere un pubblico dall’età media così alta rispetto alla loro.

In effetti, quando sono emersi gli Strokes avevano una fanbase della loro età, invece teoricamente questa sarebbe ancora musica per giovani, ma oggi la seguono i vecchi.

E di giovani che la seguono non ce ne sono più. Forse stiamo tornando agli anni Novanta, in cui di giovani che seguivano questa musica ce n’erano pochi come ce ne sono oggi.

Parlando della tua musica in generale, vorrei tornare a Ogni Mai Più, dato che finalmente, come dicevo prima, l’ho ascoltato per intero. Mi sono detto che dev’essere stato molto difficile organizzare la tracklist e, forse, hai preso quelle 3-4 canzoni che stanno bene nel posto in cui stanno, ovvero Buona Miseria e La Vita Immaginata verso l’inizio, Diventerò Di Destra poco prima della metà e Le Ultime Parole Che Ho alla fine e le altre sono cadute di conseguenza.

Il disco ha avuto una genesi lunghissima, alcune canzoni sono nate nel 2020 e, sulla tracklist, in linea di massima è giusto quello che hai detto, nel senso che mi sono tenuto una serie di parti che comprendevano alcune canzoni e che potevano essere riempite da altre canzoni, e la scelta è avvenuta anche dal punto di vista tematico. È andata a finire che il volume 1 è uscito com’è poi rimasto nel disco, mentre il 2 e il 3 un po’ li ho cambiati, ma era proprio l’idea inziale, ovvero che i volumi evolvessero con l’evoluzione generale del progetto. In realtà speravo che il progetto coinvolgesse un pubblico più ampio, e quindi nei fatti si è evoluto meno di quanto pensavo all’inizio.

Un’altra cosa che pensavo in generale sulla tua musica è che i testi sono sempre molto centrali, per cui ti chiedo se per caso ti sia capitato di partire dai testi stessi per scrivere le canzoni, invece che dalla musica come succede di solito.

Ogni tanto è capitato, ma è quasi sempre la musica che mi fa capire dove andrà un testo, un’idea, un’ispirazione. Senza musica, i miei testi non verrebbero fuori, magari verrebbe fuori un’idea iniziale, ma non si andrebbe al di là di questo. Ultimamente, però, ho provato a scrivere dei testi che volevo musicale ed è un’esperienza diversa che mi ha dato degli input molto fighi.

Le idee sul suono a che punto arrivano nel processo di realizzazione delle canzoni?

Io non faccio una scissione particolare tra composizione, arrangiamento e testo, in qualche modo arriva tutto assieme. È la fase di mix che mi affatica, perché lì bisogna dare un senso a tutto, magari c’era un suono che mi piaceva particolarmente, ma nel mix sta male.

Quando tornerai sul palco prevedi, in base a quello che mi hai detto prima, di mantenerti come le ultime volte che ti abbiamo visto, oppure immagini dei cambiamenti?

Non lo so per certo, so che oggi sento molto mai quella dimensione, come dicevo prima, nella quale sento di esprimermi meglio e al meglio, però, a oggi, la difficoltà è proprio quella di suonare. Mi piacerebbe avere il problema di come pormi, se da solo, in band o in duo, ma purtroppo di concerti ce ne sono pochi e non è solo un problema mio, ma di tutti quelli che conosco.

E tu sei in giro da molto tempo, ricordo ancora la prima volta in cui ti ho visto all’Ohibò coi Gouton Rouge, che tra l’altro sono ancora oggi tra i gruppi italiani che mi mancano di più tra quelli che si sono sciolti.

Lo dirò a Euge, lo sento spesso e recentemente mi ha venduto il basso che ha usato proprio nei loro dischi, ora è a casa mia.

Insomma, tu hai dei contatti, un vissuto, eppure fai fatica a trovare posti in cui suonare. Uno di vent’anni come fa?

Bisogna vedere com’è stilisticamente, anche se facesse la roba che faccio io, probabilmente la unisce a cose che generazionalmente non mi apparterrebbero, tipo la trap, queste cose qui, e magari fa musica figa. Magari all’interno di quell’ecosistema esistono dei giri, come succedeva per noi a vent’anni, che suonavamo al baretto di Castellanza, oppure magari non hanno la cultura dei concerti come ce l’avevamo noi e non suonano dal vivo. Forse siamo noi che ci teniamo a questa cosa dei concerti, e temo che i quarantenni che vanno ai concerti per il gusto di andarci siano rimasti in pochi.

In effetti prima dicevi che forse stiamo tornando agli anni Novanta e ultimamente noto che ai concerti ci sono sempre le stesse facce come succedeva allora, invece nei decenni scorsi c’era molto più ricambio e non incontravi sempre le stesse persone.

Speriamo comunque che tra queste stesse facce ci siano dei giovani e che da quei pochi possano nascere giri nuovi, e, anche se non avranno a che fare con noi, l’importante è che ci siano.

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