Interview: Antonio Firmani
I lettori più attenti di Indie-Roccia, quelli che magari si sono andati a spulciare le nostre classifiche personali, avranno sicuramente notato nella mia il nome di Antonio Firmani, che, con La Galleria Del Vento, ha saputo realizzare un disco raffinato e splendidamente curato, sia dal punto di vista melodico ma anche in quello degli arrangiamenti, a tratti più che preziosi e intensi. Fin dal primo ascolto ho pensato che mi sarebbe piaciuto scambiare due parole con lui e, se di persona non è ancora stato possibile, beh, ci proviamo almeno via mail. Antonio ha gentilmente (e con grande premura) risposto alle mie domande…
Ciao Antonio, come stai? Da dove ci scrivi?
Ciao a te e a tutti i vostri lettori, vi scrivo da Napoli.
Ti va di fare un piccolo riassunto del tuo 2016? Anno positivo immagino, anche alla luce dell’uscita del disco o comuqnue qualche rimpianto c’è sempre?
È vero, è stato un anno molto intenso e pieno di cose positive, è uscito La galleria del vento il mio primo disco, abbiamo girato video, inciso, e in parallelo ho firmato anche la mia prima colonna sonora per un corto che vedrà la luce nel 2017. Proprio un bell’anno.
Mi avevi già colpito molto nei brani con The 4th Rows. Quella collaborazione è finita proprio perchè volevi comunque lavorare su una cosa “tutta tua”?
Sì, soprattutto è nata in me l’esigenza di esprimermi nella mia lingua, l’italiano, e la volontà di provare a raccontare qualcosa in prima persona, di espormi completamente e mettermi a nudo.
Hai una sensibilità pop quasi “nordica”, più di una volta mi trovo ad accostarti ad artisti del Nord Europa che sanno lavorare magnificamente soprattutto con gli arrangiamenti. A questo punto non si può dire che sia “il freddo” a dare l’ispirazione, visto che tu sei napoletano.
No, è vero, sono d’accordo. Credo che la composizione sia una questione di stato d’animo, di mood. È vero che ci influenzano i posti in cui viviamo, ma il posto può essere anche interiore, non per forza esteriore, per fortuna aggiungerei. È bello che nel mondo artisti dalle più disparate latitudini possano contaminarti, pensa che noia se a Napoli tutti suonassero la stessa musica, a Roma idem, a Bologna idem e così via…
Possiamo definire ‘La Galleria del vento’ come una specie di concept album? Come una serie di polaroid legate una all’altra dal filo della quotidianità che circonda ua vita di una coppia normale…
Assolutamente sì. Mentre scrivevo questo disco ho avuto la fortuna di “conoscere” Raymond Carver, e questo “incontro” mi ha segnato tantissimo. Mi piaceva tantissimo il modo che aveva lui di raccontare, quasi come se scattasse delle polaroid che ritraessero dei momenti precisi nelle vite delle persone. Nel mio piccolo ho provato a raccontarla così la mia galleria del vento, partendo però da un comun denominatore per tutte le storie: Mario e Alice.
Parlavo prima degli arrangiamenti, così ricchi tra archi e strumenti a fiato. In fase di scrittura nascono già così nelle tua testa o sono sicuramente più scarne?
Di solito sì. Sono uno di quelli che ama tanto arrangiare i propri pezzi, forse l’arrangiamento è proprio la fase che mi piace di più. Suonando il piano sono facilitato, la tastiera mi permette di avere una visione a 360 gradi del brano, e di conseguenza mi viene naturale immaginare tutti gli strumenti.
Adoro il fatto che tu voglia spesso ritagliare uno spazio importante alla musica, anche senza le parole ad accompagnarla. Penso alle canzoni iniziali e finali o anche alle lunghe code sonore di ‘Semplice’ o ‘Scena 8′. Tra l’altro per me sono anche momenti in cui rielaborare e ripensare alle parole sentite in precedenza. Che ne pensi?
Per quanto io di fatto sia un cantautore e quindi per me le parole hanno un ruolo sicuramente fondamentale, non bisogna mai dimenticare che stiamo parlando di dischi, e quindi la musica ricopre sempre il ruolo di protagonista, per questo mi viene spesso naturale lasciare agli strumenti lo spazio che meritano, l’aria per respirare.
In più di una recensione si fa riferimento a tuoi omaggi cinematografici e televisivi. Ti immagino quindi molto attento anche su quel versante, no?
Decisamente, anche perché confesso che in parallelo alla carriera da musicista, coltivo quella da sceneggiatore, soprattutto seriale, quindi è inevitabile che questi due miei grandi amori si incontrino.
Bellissima la scelta di duettare con una bambina in ‘Gli ultraventenni’, ci sta proprio per rafforzare ancora di più il senso del brano…
Ti ringrazio. Sì l’idea di base era quella di far parlare Alice bambina come fosse un’adulta e viceversa far raccontare al Mario trentenne le paure e le aspettative tipiche della sua generazione che hanno però radici nell’infanzia di ognuno di noi.
Grazie ancora Antonio per la tua disponibilità Con quale brano potremmo chiudere la nostra chiacchierata?
Grazie a voi. Pensavo che sarebbe carino chiudere questa chiacchierata con Pacey Witter. È uno dei brani che sta piacendo di più di quest’album, forse perché è un brano simbolo di questa galleria, il brano che meglio di altri racchiude le storie di noi “ultraventenni”.
(foto di Emilia Sagitto, dal Facebook di Antonio Firmani)