David Salvage: un viaggio dentro la bellezza di Bologna
Ha deciso di intitolare questo disco prendendo a prestito l’antico nome etrusco di Bologna. Esce “Felsina”, un nuovo lavoro pianistico a firma di David Salvage, compositore americano (ormai di stanza nel capoluogo emiliano) che decide di rendere omaggio ai luoghi più antichi e celebrativi della città ormai divenuta sua seconda casa di vita. E lo fa dentro volute di solo pianoforte, in un disco ampio e impegnativo con ben 25 tracce, movimenti tanto per usare termini cari alle opere classiche, perlustrazioni visionarie che non di rado si concedono anche richiami alle forme pop come proprio nel video ufficiale, davvero emozionante, che arricchisce uno dei brani dediti ad uno dei palazzi storici di Bologna. Disco che ovviamente esce dai canoni della scena indie a cui siamo abituati ma che riporta in auge la voce della “musica classica”, la composizione che qui si legge in chiave moderna, quella stessa chiave che dalla didattica classica continua fin dentro il futuro del nostro tempo nelle sue tante nuove forme e codifiche ma anche dentro gli inevitabili richiami alla scuole eterne.
“Felsina” è sicuramente un disco per palati fini. Eppure spesso ha fatto affidamento a strutture anche assai “pop” o sbaglio? È una mia impressione oppure hai pensato anche ad una codifica più “popolare” della tua musica?
Nel senso che volevo comporre un vero e proprio “album”, che è un concetto ancora un po’ controcorrente nel mondo di musica classica, sì, una struttura raccolta dal pop c’è. Cantautori o complessi di rock danno spesso ai loro album un aspetto narrativo, mentre i musicisti classici preferiscono interpretare un repertorio già determinato. È la prima cosa che mi interessa di più.
Domanda assai spirituale: questo disco somiglia alla città di Bologna? Oppure in questo disco hai racchiuso quello che tu pensi sia la città che hai attorno? O quello che ti piacerebbe che fosse…
Sicuramente il secondo. “Felsina” è un raccolto di impressioni individuali. Non è nè specchio né idealizzazione.
Che tipo di riscontro hai trovato nel pubblico italiano? “Felsina” è stato compreso, accolto… oppure “bistrattato” dai media come spesso accade alla cultura che richiede attenzione e immersione?
Le tempistiche per dischi come “Felsina” sono lunghe: recensioni compaiono anche un anno dopo l’uscita. Quindi, rimane a vedere. Ma a Bologna sono finora contento con la risposta. Una recensione positiva su LucidaMente, un bell’articolo su La Repubblica di Bologna. Un invito a presentarmi alle Collezioni Comunali d’Arte a marzo. E mentre la maggior parte delle vendità sono online e sul streaming, un negozio qui—con loro sorpresa—riesce a vendere qualche copia ogni mese. Rispetto alle aspettative per un album di musica “pop” è una risposta modesta—anche da fallimento. Ma capisco quanto mi posso aspettare e per adesso sto tranquillo.

Un disco come questo ha aperto a nuove frontiere e nuove ispirazioni?
Spero di sì. È un disco che porta un forte elemento narrativo e affronta il passato in una maniera insolita. La breve durata delle tracce e il poco interesse per il virtuosismo pianistico—tutto sommato è un lavoro che sfida molto gli ascoltatori e che spero trovino stimolante. Da parte mia, ho voglia di seguirlo con un disco che rafforza e supera le sue idee prima di proseguire a qualcosa del tutto nuovo.
A chiusa: ormai italiano a tutti gli effetti possiamo dirlo… ma pensi che in qualche modo, la cultura pianistica americana abbia fatto il suo ingresso dentro i brani di “Felsina”? E quale se posso chiedere?
Lo trovo inevitabile che la mia parte americana si esprime in qualche modo in “Felsina”. Ma faccio fatica a precisare. L’influenza di jazz, minimalismo, sì. Il sentirsi libero di raccogliere ciò che si vuole dal passato. Il senso che ci si può staccare dal tempo e non scrivere in un modo del tutto “contemporaneo”, qualunque cosa significhi. Potrebbero essere questi gli aspetti americani che spiccano. Ma penso che si tratti di un tema di cui il punto di vista del compositore non è necessariamente il più illuminato. Scrivere un brano convincente è compito abbastanza. Avvolgerlo anche in una coerente filosofia di cultura è tutt’altro.