a/lpaca: parliamo di questo secondo grande disco

Ecco il nuovo disco degli a/lpaca, lavoro che stavamo attendendo da tempo visto il grande successo dell’esordio. Una lunga gestazione che in fondo ha richiesto la maturazione anche per certe soluzioni davvero dense di sintesi e, proprio per questo, di efficacia. “Laughter” suona come pochi altri dischi suonano, con forme che non vanno rintracciate dentro le abitudini. È per tratti che meno si affidano al punk e drum machine rigide e ostinate, io parlerei anche di avanguardia del tempo nuovo. Ecco un altro caso in cui l’elettronica, pur lavorando a pieno regime, sempre fa solo da corredo all’uomo che detiene la centralità del tutto. Encomio a questo nuovo disco degli a/lpaca

L’Italia underground si risveglia. La ricerca che fate affonda le mani nel passato o nel futuro?
L’obiettivo di ogni artista immagino è quello di essere originali e fare qualcosa di valore. Quindi chiaramente c’è sempre un occhio al futuro, ma non è un pensiero fisso e ossessivo. Abbiamo cercato di fare qualcosa di maturo e che ci desse soddisfazione, senza pensare a passato e futuro particolarmente.

Ai suoni di questo disco che cosa avete chiesto e che cosa avete voluto raggiungere?
Abbiamo chiesto un suono più maturo e personale, pur mantenendo le cose che sappiamo fare meglio (forse) e che si sono già viste nel primo album “Make it Better”. Volevamo fare qualcosa di eterogeneo, di non confinato nel garage, psych o kraut e basta.

Sembrano coesistere due monti distanti tra loro ma che poi nel disco si trovano a sfoggiare coerenza: da una parte brani come “Brano Fantuzzi” o anche “Kyrie”… dall’altra invece le visioni dispotiche di “Laugther, Us Us” che ci riportano al cemento dei club fumosi delle periferie. Quante facce ha un disco simile?
Diverse perché come dicevo prima, c’era il bisogno di mostrarci maggiormente, di far vedere un nostro mondo più intimo e fragile in qualche modo. Ma anche di non perdere la nostra ironia, il non prendersi troppo sul serio e non perdere l’anima più tagliente e fredda del post punk/kraut. Quindi nel disco cercano di convivere queste sfumature.

Il video di questo brano, visto che l’abbiamo citato: lisergico, psichedelico… allegorico… rischiamo tutti la pazzia dentro i confini delle nostre regole? Mi ha ispirato questo il video… tutti voi dentro riquadri…
Sì, per noi la pazzia si allontana o si limita solo attraverso il contatto umano, l’album parla di questo alla fine. E se non è pazzia, comunque si parla di solitudine o di paura del futuro. È dura crescere in qualche modo.. realizzare che non sei più giovane.

Dichiarate: “solo la presenza degli amici, dell’offuscamento delle bevute e delle “risate” che allontanano le responsabilità e il quotidiano è il rimedio momentaneo alla vita”. Nichilisti o cosa? Perché una visione così densa di resa? Oppure l’ho letta male io?
C’è una sensazione di resa, è vero, ma non è una resa da nichilisti o disillusi totali. C’è comunque la consapevolezza che nonostante tutto sia così troppo più grande di noi a volte, nel nostro piccolo possiamo tenere testa al presente e al futuro. Solo, non possiamo farlo da soli.

Sempre pescando dalla vostra presskit: parlando della follia e della ricerca di soluzioni libere e molto devote al punk dire che “la sperimentazione è necessaria per stare bene”. In che senso? Dunque un disco simile che responsabilità ha?
Non mi ricordavo questa frase nel press kit! Comunque forse era riferito al fatto che abbiamo sentito le necessità di fare qualcosa di più “particolare”, di rischiare di più, e vedere se saremmo riusciti a raggiungere un risultato interessante. Non penso che “Laughter” sia un album sperimentale, ma sicuramente noi abbiamo provato a sperimentare soluzioni, suoni, idee che prima non avevamo pensato, cercato ecc. e questo ci serviva per trovare una nostra pace in qualche modo; dire “ok ci abbiamo provato, ora vediamo che succede”.

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