Laura Vittoria: la ricerca, la sperimentazione, il nuovo folk
È un disco speciale, un esordio che merita di essere sottolineato senza mezzi termini. Indagherò poi cosa significhi esattamente per lei “Kein Traum”, titolo che evoca molto del suono che ha confezionato lei stessa, Laura Vittoria, assieme alla preziosa collaborazione di Marco Fasolo. Lo troviamo in vinile e dentro gli streaming service. La parola, il suono scarno, la ricerca di un “altrove” nell’immaginario di un lavoro scuro, concentrato su un concetto che per me significa “emancipazione”. Sono binari alternativi della nuova e bella musica italiana.
Se ti usassi parole come “avanguardia”? Che cosa mi risponderesti?
Sinceramente non saprei cosa rispondere. È un termine che è già stato utilizzato da altri per descrivere alcuni brani del disco – mi vengono in mente Berkeley e Kein Traum, per esempio – e, in generale, la sua atmosfera. Però non so se è calzante, non posso dirlo. Ciò che posso dire è che non ho lesinato per ciò che riguarda la sperimentazione, pur rimanendo nell’ambito di un disco che io considero comunque, in qualche modo, pop.
Dall’approccio cantautorale si prendono derive minimaliste… che rapporto hai avuto con questo risultato? Hai vissuto la “violenza” della trasformazione o il fascino della scoperta?
Ho provveduto in prima persona a questa trasformazione, sostituendo quasi tutte le chitarre con sintetizzatori, strings e pads. Pur essendo la chitarra lo strumento con cui ho scritto buona parte delle canzoni, non volevo che il mio fosse un disco indie folk. È stato eccitante dare una nuova veste ai miei brani: era la prima volta che lo facevo, pensavo di non essere in grado; invece, li ho portati tutti a un buon livello di preproduzione e arrangiamenti, prima di lavorare con Marco Fasolo.
Eppure, ci sono brani che restano fermi su radici d’autore folk – almeno per molti aspetti… come mai la scelta di fermarsi lì per certi brani?
È stata una scelta obbligata, per me. Ho provato e riprovato a rimaneggiarle, ma non funzionavano. In quel caso, non sono stata in grado di staccarmi dall’idea che avevo di quelle canzoni. Forse avevano girato per troppo tempo nella mia testa come provini voce e chitarra, e non sono riuscita a reinventarle.
Fortissimo il potere cinematico del disco. Belli i video: che rapporto hai con l’immagine e con la dimensione del video? Come hai scelto queste clip?
Anche i video sono stati un esperimento che non avevo mai fatto prima. Ho comprato una piccola videocamera e ho incominciato a utilizzarla a tempo perso, per familiarizzare con lo strumento. Poi, ho obbligato mia madre, mia sorella, una mia amica e lo stesso Marco Fasolo a farmi da cavie per i due video dei due singoli, che sono scritti, diretti e montati da me. Mi sono divertita moltissimo. Ho preso il mio immaginario e ho cercato di dargli una concretezza visiva. È stato piuttosto appagante. Rincorro continuamente le immagini: le cerco quando ascolto un brano o quando leggo. Mi piacciono le figure retoriche come le metafore, le similitudini, le allegorie, e amo i poeti che, attraverso l’accostamento di parole, creano immagini che baluginano nella mente del lettore, come lampadine improvvisamente accese.
Dal vivo il disco come suonerà?
Dal vivo il disco suona più dinamico ed elettronico. Sono accompagnata da due musicisti straordinari: Giovanni Venturini, che suona le tastiere, e Simone Apostoli, che suona la batteria elettronica e la chitarra.
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