Giulia Impache – “IN:titolo”

Se dovessimo scegliere quelli che sono – ad oggi – i migliori esordi del 2025, non includere nella lista “IN:titolo” di Giulia Impache sarebbe davvero impossibile. Il primo lavoro discografico dell’artista torinese giunge dopo una striscia di singoli che aveva preso il via già nel 2022, e raccoglie quanto prodotto finora con l’aggiunta di alcuni brani inediti. L’anima poliedrica e camaleontica di Giulia, già ben rappresentata nei singoli, trova il suo pieno compimento all’interno di una tracklist che sembra sfidare l’ascoltatore; sebbene a dominare sia un approccio elettronico che strizza l’occhio alla psichedelia, risulta davvero impossibile elencare per intero i riferimenti e i generi a cui l’artista si appoggia per dar sfogo alla propria creatività. Dal pop all’ambient, passando per parentesi legate al folk e addirittura alla musica antica, le tracce includono una serie di suggestioni sonore e artistiche profondamente diverse fra loro, ma unite dall’utilizzo che Giulia fa della propria voce. Trasformando il suo canto in un vero e proprio strumento e mettendosi totalmente a servizio del proprio impeto creativo, l’artista sperimenta infatti con la scrittura dando vita ad un linguaggio nuovo che abbatte ogni limite e convenzione logica per creare una realtà parallela da cui è impossibile staccarsi. Dall’avvio altisonante di “Oh Girl” fino alle ritmiche incalzanti della bonus track “When My Eyes”, l’album scorre in una massa indistinta di emozioni e sensazioni, passando da episodi più delicati come “In The Dark” e “Life Is Short” a veri e propri momenti solenni come in “Occhi” e “Sailor (for Fin)”. L’ascoltatore si ritrova così inglobato in un mondo nuovo in cui a dominare non sono più la logica e la ragione, ma l’espressività e l’ipnosi. In sintesi, con “IN:titolo” Giulia Impache si dimostra non solo un’abile cantante e musicista, ma riesce a presentarsi come un’artista a 360 gradi, capace di plasmare paesaggi onirici in cui far smarrire l’ascoltatore. Quel che ne risulta è un album che stupisce e convince, ma che soprattutto fa ben sperare per le sorti di un genere, quello elettronico-sperimentale, che in Italia ha sempre avuto fortune alterne.

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