Roccia Ruvida: Eugenio Ripepi

Come dire: una delle rare volte in cui l’intento di queste domande è stato codificato come doveva. E non a caso dietro la penna digitale c’è un Artista che vive di musica, di teatro, di parole… cose decisamente antiche per una vita liquida oltre tutte le aspettative anche di un Bauman. Eugenio Ripepi è figlio di questo tempo e a questo tempo dedica una visione sincera, trasparente anche se alla fin della fiera dentro un disco come “Roma non si rade” – sottotitolato “Colori a occhi chiusi – Occhio destro” – ritroviamo la forma ormai usata ed abusa da generazioni. Forse è questa un poco la colpa degli artisti o forse sono tutte stupide allusioni le mie che cercano, anzi che si illudono, di dare una spiegazione a questo enorme paradosso che viviamo ogni giorno. E lui, oltre ad aver retto il gioco con intelligenza, ha preso le lance acuminate e ha detto la sua… parole da cui prendere spunto. Cantautore di fino per quanto non disdegna i fuori pista da “festa di piazza”… ce ne fossero oggi, diremmo noi!!!

Con i cantautori pop ci piace sempre, ma dico sempre affrontare un tema spinosissimo. Ma non avete l’impressione di quanto la canzone pop d’autore, che da generazioni si ripete sempre allo stesso modo, con (sommariamente parlando) gli stessi suoni e le stesse forme, abbia ormai saturato il mercato? Ma cosa c’è di nuovo da “succhiare” via da un modello che ormai si ripete sempre uguale a se stesso?

Niente, assolutamente niente. Non c’è proprio niente di nuovo. Alleluja. Sposo in toto le affermazioni contenute nella tua domanda. I frusti stereotipi usati e abusati dal pop hanno completamente dilaniato un tessuto musicale che si ritrova svuotato di contenuti. La canzone d’autore è sempre stata necessità creativa: ho qualcosa da dire, e lo dico in musica. Il pop era concepito inizialmente, e parlo della storia della musica pop, come qualcosa di più leggero e più orecchiabile, ma non necessariamente melenso e autoreferenziale. Annullata la capacità critica di ascolto, parallelamente a una diminuzione progressiva della soglia di attenzione, la fruizione di contenuti oggi è appannaggio di un’utenza assolutamente impreparata a riconoscere un quid novi all’interno di un brano. Ciononostante, le nuove generazioni, pure sommerse di facilità musicale produttiva, emblema della povertà di contenuti, riescono a riconoscere con più agilità un linguaggio diverso rispetto ad altri. Nelle nuove generazioni ho più fiducia. Anche se sono assediate da boomers che provano a ingannarli quotidianamente. D’altronde alle vecchie generazioni appartiene anche il cantautore chiuso nella torre d’avorio del suo autocompiacimento espressivo, che butta stanchi accordi in do minore su una chitarra pensando di dire qualcosa che nessuno ha detto prima.

E sei cosciente che dischi come il tuo ce ne sono un’infinità… talmente tanti che quasi non si riconoscono più l’uno dall’altro? Allora perché scegliere “Roma non si rade”?

Se intendi il disco come supporto, sì, ne sono cosciente. Perché sceglierne uno rispetto a un altro ? Per la diversità dei contenuti espressi, per quello che c’è dentro. Lo so che non va più di moda, lo so che si tende ad ascoltare una musica priva di contenuti letterari. Il mio ha questo in particolare, differente dagli altri: esprime contenuti che si spingono alla ricerca di una valenza letteraria all’interno di una varietà di forme musicali che possa risultare orecchiabile e fruibile. Questo è il motivo per cui sceglierlo. Perché è diverso dagli altri.

Che poi hai lanciato un singolo che, a dirla tutta, sembra il suono della festa di piazza del paese. Queste sono le prime impressioni. Come nasce un simile “fuoripista” dentro un disco che vuol sembrare altro?

Parli di “Nicole”. Esattamente, una festa del paese dopo la guerra, una festa swing per tutti, in strada, senza mascherine, durata poco purtroppo. Speriamo si possa tornare il prima possibile e speriamo di poter usare altre forme musicali allegre come questa per sancire la fine della paura. Hai perfettamente ragione, è un fuori pista, serviva a dare una scossa di allegria all’uscita di un momento molto buio; è bene anche non prendersi troppo sul serio, altrimenti poi troviamo qualche intervistatore che ci bacchetta con le sue domande (sto ridendo mentre scrivo, siete forti ragazzi)

Domanda delle domande che spesso rivolgiamo a tutti perché adoro sentirne le risposte. Se la musica è LAVORO (giustissimo tra l’altro), perché voi artisti che siete i primi a dover difendere il significato di questa parola, PAGATE per essere distribuiti e per apparire dentro contenitori che SVENDONO – anzi rendono GRATUITO – il vostro LAVORO? E mi riferisco a mille mila piattaforme digitali come spotify e simili che alla fine distruggono il concetto primigenio del LAVORO. Eppure nessuno protesta… anzi PAGATE per esserci.

E io che c’entro? Prenditela con loro. Comunque ti spiego perché lo fanno. Parti dall’assunto di un’industria discografica che non esiste più. Arriva uno e mi chiede di produrgli un disco: ma come faccio a produrre un bene che non si vende più? Non è colpa loro, ma non è colpa neanche di persone che decidono di non fare investimenti in cui sicuramente non hanno possibilità di rientro. Qualcuno un certo punto ha deciso che la musica potesse essere un bene da fruire gratuitamente. Ma se ti mettono un supermercato di alimentari in cui ti regalano la roba, tu vai nel supermercato accanto in cui ancora sei costretto ad acquistarla? Questa cosa non è successa con i libri. Molto difficile trovare un libro gratis in rete, a parte siti che non conosco, che sicuramente ci saranno, per carità. Ma i libri ancora si comprano. Se uscissero tutti gli e-book in rete gratuiti, come reggerebbe l’editoria letteraria? Perché questo ragionamento non è stato fatto con la discografia? Questo è il motivo per cui gli autori che scrivono libri ricevono ancora degli anticipi sui diritti di edizione: il libro è un bene che si acquista, le case editrici hanno degli introiti, possono pagare gli autori, gli autori sono stipendiati. Fortunatamente non mi hai chiesto come si può uscire da tutto questo nella musica, perché francamente io non ne ho idea. Sembra uno scenario futuristico di quelli post-apocalisse, tipo Mad Max – Ken il guerriero.

E poi però scendiamo in piazza perché, per emergenze di natura altra, chiudono i teatri. Altra cosa su cui posso essere d’accordo ma il punto è: protestate per una cosa e non per l’altra? Che paradosso viviamo?

Ma sai, i teatranti, e non lo dico in senso dispregiativo perché è la schiera a cui io appartengo, non hanno mai avuto una coesione vera, soprattutto come coscienza di ruolo. La vogliamo scoprire oggi, nell’emergenza: ma è tardi punto purtroppo. Da una parte abbiamo persone che hanno sempre predicato che con la cultura non si mangia, seminando dati falsi, perché è vero esattamente il contrario, perché vengono dal Canada a mangiare sulla cultura italiana, si fanno delle scorpacciate, sono più furbi di noi, hanno ragione loro e noi torto. Noi ignoriamo i numeri della cultura, numeri che potrebbero farci primi al mondo. C’è una strategia in tutto questo? Probabilmente sì, ma è comunque un harakiri. Quindi anche quelle proteste lì, purtroppo non attecchiscono, perché la coscienza del ruolo del teatro non è stata assunta in tempi in cui si poteva fare, e hanno prevalso le gelosie e i nepotismi soliti italiani, e ora dalla maggior parte delle persone il teatro è visto come un ambiente elitario, da snob, mentre ci sono ragazzi che valgono da soli quanto tutto il tristissimo panorama televisivo nostrano. Per quanto riguarda la musica, purtroppo le nuove generazioni hanno poca colpa: si trovano attorno questo deserto, provano ad abbeverarsi a qualche fonte, ma non se ne intravedono molte all’orizzonte. Dovranno creare un nuovo sistema per irrigare la sabbia. Mi chiedi se è facile? Non me lo chiedere, per favore.

A chiudere, come sempre, abbassiamo l’ascia di guerra di questo gioco. “Roma non si rade” è un disco che mi piace definire elegante e variopinto, un Arlecchino dei tempi moderni. Una maschera che in fondo maschere non ha. E lo testimoniano i tanti cambi di scena e di colore. Una canzone d’autore come la tua, trasparente e reale, secondo te oggi, in questo mare di indifferenza, di assurde mode, di altro che non sia mascherato… che ruolo continua ad avere?

Ti ringrazio  molto per gli apprezzamenti. Ce ne fossero giochi come questi capaci di buttare giù le maschere, e andare al nocciolo dei problemi. L’unica cosa che mi insegnano le mode è quanta distanza devo tenere da loro. Se non segui le tendenze, puoi creare tu una tendenza. Comunque, questo tipo di canzone d’autore che mi ha accompagnato fino ad ora, è un discorso in evoluzione. Il mio prossimo lavoro avrà un’altra forma, e sarà una forma che mi apparterrà per molto tempo.

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