Roccia Ruvida: Angelo Iannelli
Intelligente Angelo Iannelli. Quando inchioda al muro le mie spalle con la sincerità di una frase che suona tipo “Ma sempre schiavi si rimane, schiavi dei margini, non se ne esce…”. Ha ragione: siamo tutti schiavi. La differenza, mi accodo io, sta nell’esserlo con consapevolezza tanto da poter misurare non solo i gesti quanto i risultati che ne otteniamo. Le aspettative insomma… “Vicini Margini”, dopo questa intervista, è tutt’altro dimostrazione di inanità (tanto per usare questa bella parolina sconosciuta ai più). Un disco indie-pop-d’autore che di certo ha basi solide e richiami forti… ma con consapevolezza. Il futuro? Magari ha ragione quel tale che dice che in fondo non esiste. Esiste solo un eterno presente…
Quanto sapore vintage in questo disco. Ma il futuro fa paura? Meglio calpestare cose conosciute vero? Si sta al sicuro…
In uno dei miei romanzi preferiti, “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, il dottor Cardoso dice al protagonista: “La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro”.
A questo punto sono forse la dimostrazione vivente dell’inanità delle parole di Cardoso?
Che poi in molti tratti ti ci sei impegnato a pescare a piene mani da Baglioni e/o da tutto quel mondo pop indie “moderno” strascinato e cantilenante… insomma, sei rimasto dentro i margini degli altri direi. O no?
“Chi rompe i coglioni/copiando Baglioni” cantava lo straordinario e ormai leggendario Rino Gaetano in un concerto nella seconda metà degli anni Settanta, cambiando le parole della sua “Ma il cielo è sempre più blu”, e lo faceva in tempi non sospetti, a questo punto, e comunque prima di scrivere (anche lui…) la baglioneggiante “Scusa Mary”. La mia voce credo che a un primo ascolto possa far pensare un pochino a quella del primissimo Baglioni, perché scrivo molto sulle note basse e bassissime, avendo lì il grosso della mia estensione vocale; come se non bastasse, pure per quanto riguarda le frequenze, quelle basse sono preponderanti anche nelle note medie e in quelle più alte. Abbiamo provato a tagliare qualcosa nel mix, ma poi ho deciso di lasciare la mia voce così come veniva fuori in modo naturale, anzi approfittando del fatto che il salto improvviso di ottava è un po’ una mia peculiarità sin dal primo disco, oppure in realtà l’ho fatto tanto per “rompere…” un po’, insomma, e per abbandonare ogni tanto questi margini che mi pesano sulle spalle, ma se solo li avessi abbandonati del tutto a quel punto forse avrei spinto di più l’acceleratore anche a strascicare e cantilenare. Quando ero piccolo pensavo a questa definizione ascoltando i primi meravigliosi dischi di De Gregori: ultimamente penso che l’indie pop all’italiana, così svogliato, strascicato e cantilenante, sia nato con “Il signor Hood” del 1975 (uno su tutti, la parte in cui dice: “E che fosse un bandito/negare non si può”), ma forse già in “Signora aquilone” e nel disco del 1974 si poteva apprezzare qualcosina. E ora penso al Venditti di “Scusa, devo andare via”, una sorta di protoindiepop. Nessuno inventa niente, insomma. E se solo avessi avuto più coraggio nel saltare il recinto, forse in questo disco avrei cantilenato, strascicato e baglioneggiato ancora di più, e come un pazzo, sempre in base alla tua interessante impressione di ascolto, ovviamente. Immaginate che botta perturbante sarebbe un Baglioni che cantilena e strascica la sua, che so, “Uomini persi”? La cito perché è uno dei suoi pezzi migliori, a mio avviso, forse proprio perché è uscito dai comodi margini delle canzoni d’amore che lo hanno reso celebre.
Che poi questo titolo: una dichiarazione di resa a combattere le battaglie della vita? Come a dire: avvicinati se vuoi ai recinti ma non superarli che è vietato…
I personaggi del disco in realtà sono fuori dai margini, li hanno superati ma restano vicino a essi, come a voler scrutare ancora il mondo che hanno appena lasciato. Forse è la condizione dell’artista. O forse sono intrappolati dagli stessi margini da cui sono usciti, che più o meno è la tua arguta interpretazione e che mi fa pensare sempre alla condizione di chi scrive.
Fuori dai margini, ma non troppo fuori…
E anche a te la domande delle domande: tanto lavoro dedicato al disco e poi tutto gratis sulla rete. Non ti pare un controsenso? Certo che rispettare le regole del sistema è decisamente conveniente per restare dentro i famosi margini… ma non pensi davvero che sia merito tuo il fatto che la tua musica e il tuo lavoro sia gratis per tutti?
Lasciare al mondo un pezzo della mia discutibile arte, che sia “sostenibile” nel senso di “a disposizione anche delle generazioni future”, che sia quindi metastorica, mi è sufficiente, e a proposito di questo sono felicissimo che l’enciclopedia Treccani ha dedicato una voce a uno come me, a uno che per scelta artistica non ha mai fatto domanda per partecipare a un talent show televisivo o a un qualsiasi contest canoro, ma che ha scelto l’impervia strada della gavetta artistica e non del facile successo instagrammabile… hai capito cosa intendo, insomma, e ti direi tutto questo e forse anche di più, se solo avessi il coraggio di abbattere i recinti.
E fuori da questi recinti, in questo non-luogo che è la musica, sta per esplodere una bomba in tal senso, almeno questo è ciò che respiro. E tutti noi, così schiavi del Sistema e di questo sistemino musicale, cercheremo allora di fuggire dall’esplosione. E quale posto migliore dove rintanarsi se non in una sorta di luogo di romitaggio come il Margine? Ma sempre schiavi si rimane, schiavi dei margini, non se ne esce…
E poi chiudiamo abbassando l’ascia di guerra. Anzi grazie per esserti reso disponibile per queste domande velenose. Però è vero che c’è tanto mondo “antico” dentro questo disco ed è reso volutamente personale. Il disco investiga a fondo sulla condizione “border line” del vivere quotidiano immersi negli altri e con gli altri. Personalmente hai esorcizzato qualcosa, emancipato qualcosa… superato qualcosa di te? Oppure è un disco che serve solo ad esplicitare le domande e le perplessità? Farebbe bene anche solo questo…
Grazie a te per le divertenti domande fuori dagli schemi, e poi forse è proprio mediante l’ironia che può uscire fuori una lucina di verità, leggendo tra le righe, ovviamente. A volte è proprio nelle pause e nei silenzi, nei sottotesti, che si può scorgere qualcosa di vero.
Ecco, hai scritto perfettamente il senso di questo disco: sollevare domande, dubbi, riflessioni, prima di tutto a me stesso.