Intervista: Nicolò Piccinni
Nicolò Piccinni ci ha sempre affascinato. Attivo in vari ambiti artistici è ora diventato anche scrittore. Con il nuovo lavoro, ricco di ospiti, mareAmore, come sempre ricco di idee e originalità, non si poteva non porgli qualche domanda a riguardo e come sempre non si è tirato indietro.
IR: Il tuo percorso artistico non è esclusivamente musicale ma comprende sempre anche altre ‘arti’. Un paio di anni fa mi parlavi del teatro ora ti sei dato alla scrittura con un libro di racconti e c’è anche una raccolta video.
Come riesci a districarsi tra tutte queste discipline?
NP: Non saprei bene descriverlo, provo però a chiamare in aiuto il concetto di “gioco”.
Fin da bambino mi piaceva giocare ritagliando dei cartoncini, creando un piccolo teatrino in cui facevo muovere dei personaggi, scrivevo delle storie e mettevo in scena il tutto per i miei compagni. Oppure creavo una specie di fotoromanzo mettendo peluches e pupazzi in posa, li fotografavo facendo costumi con vecchie calze e scenografie con cartoni e buste della spesa, scrivevo anche lì delle storie che potevano essere parodie di storie già esistenti oppure nate da zero. Mescolavo un po’ di strumenti che mi servivano per raccontare una storia e divertirmi.
Di base ancora adesso è la stessa cosa credo!
IR: L’argomento che esce maggiormente dai tuoi testi di mareAmare è la dimensione virtuale che ormai ci avvolge da ogni lato. C’è la possibilità di fuggirla?
NP: Se intendiamo la dimensione digitale, so che a volte la tentazione di scappare lontano è forte, però purtroppo fa parte della società in cui viviamo, non possiamo negarla. Possiamo scegliere come usarla. Poi ci sono altre dimensioni virtuali, parallele alla dimensione concreta per così dire. L’innamoramento è una dimensione virtuale. Ma anche il pensiero o l’immaginazione sono dimensioni virtuali, se uno si sofferma a rifletterci. Quando ti metti a pensare a cosa farai domani, a quando incontrerai quella persona o farai quella cena, la nostra mente inizia a vagare, e inevitabilmente a creare la situazione, a immaginare cosa succederà. Lì senza accorgercene siamo già in una dimensione virtuale. Oppure l’arte è una dimensione virtuale potentissima. Quindi non si tratta di fuggire da queste realtà, ma accoglierle, bilanciarle e cercare di non affogarci dentro.
Anche la realtà concreta è pericolosa a suo modo, vivere solo di quella realtà può diventare alienante, pietrificante. Il mio maestro Emilio Locurcio diceva “Tutti abbiamo bisogno di un po’ d’arte, per non morire di realtà”.
IR: Ancora una volta ti accompagnano Gli Internauti, che mi sono sembrati più ‘solidi’ di due anni fa, li hai coinvolti di più nel processo creativo?
NP: In realtà “mareAmare” è un progetto più antico di “Autrement”.
Ho iniziato a raccogliere le canzoni e a lavorare con la band verso la fine del 2017, quindi parliamo di sette anni di lavoro.
Il processo creativo è stato molto strano, a intermittenza ma con momenti molto intensi. C’è stata la pandemia di mezzo, durante la quale è nato questo disco inaspettato che è stato “Autrement”, che però ha dato a suo modo un’occasione di respiro, di pausa. Quando siamo tornati a lavorare su mareAmare molte cose erano cambiate, certamente eravamo più solidi nell’affrontare le registrazioni, avevamo più consapevolezza di quale suono volevamo dare all’opera, quale patina e quale direzione.

IR: Come hai coinvolto e come ti è venuto in mente, Bunna, che apparentemente è distante dal tuo ‘mondo sonoro’?
NP: Per me che sono torinese e che suono, Bunna e gli Africa Unite fanno parte di una mitologia imprescindibile.
Chi li ha visti dal vivo sa che è un’esperienza incredibile, pura potenza e coinvolgimento. Aldiqua è una canzone di mareAmare che ho scritto a quattro mani con il chitarrista e compositore Lorenzo Favero.
Il brano ha un’intenzione reggae sotterranea, soprattutto nella pulsazione ritmica che irrompe nella terza strofa.
Mi è venuto in mente Bunna immediatamente. L’ho contattato raccontandogli il progetto, cercando di dargli un quadro della canzone, che parla di migrazione, di chi soffre perchè viene da fuori e riesce a integrarsi, ma una volta dentro è il primo a reiterare la discriminazione verso i prossimi che arrivano.
Lui ha accettato subito e ha cantato la strofa nel suo modo, facendo emergere quel reggae sommerso.
Mi emoziono ancora quando la ascolto.
IR: Giulia Impache è una delle più belle novità tra le voci femminili di questi ultimi anni, come l’hai conosciuta?
NP: Sempre per Aldiqua, per la seconda strofa, c’era bisogno di una presenza vocale avvolgente e limpida, che poi tornasse nel finale strumentale.
Giulia Impache ha fatto un lavoro incredibile, ha capito subito cosa serviva al brano e ha ricreato sonorità alla Ennio Morricone.
Ho chiesto a Giulia perchè ci conosciamo da moltissimi anni, da quando eravamo adolescenti. Abbiamo condiviso il palco e molte serate.
Giulia è una grande voce, nel senso più ampio del termine: non solo a livello sonoro e non solo per la tecnica vocale, ma per l’ampiezza della sua creatività, della sua ricerca nell’ambito della canzone, da quella popolare alla sperimentazione elettronica.
Tutte le partecipazioni vocali femminili presenti nell’album sono autrici di alto livello e voci di questo tipo: da Liana Marino a Vea, da Rossana De Pace a Stefania Tasca, da Fausia a Holly Wilson.
IR: Coinvolgere così tanti ospiti ha allungato il processo compositivo o sei riuscito a coordinare tutto secondo i tempi che ti eri prefisso?
NP: Il lato positivo dell’essere un artista indipendente è che non ho delle scadenze imposte dall’esterno. Non mi ero dato un tempo preciso di uscita, diciamo più un tempo sperato che è stato disatteso a più riprese, per cui ho seguito il flow.
A dire il vero coinvolgere tanti ospiti nella fase finale ha dato nuova linfa all’album, nuova energia alle canzoni ma anche a me nel concluderle.
Amo molto le situazioni collettive, partecipate e condivise, e in questo caso davvero tutti e tutte hanno dimostrato grande disponibilità e interesse nel progetto.
IR: Quale brano ti ha dato meno problemi e quale il più complesso da chiudere?
NP: Bellissima domanda.
Dunque forse il brano che ha dato meno problemi è stato Malladrone, che ho eseguito voce e chitarra dall’inizio alla fine in due take fatte in due sessioni diverse, una in Toscana e l’altra a Torino. È stata scelta la seconda a cui poi Gabriele Prandi ha aggiunto i suoi graffi di chitarra elettrica e Federico Bertaccini rumori e ambientazione.
Il brano più complesso da chiudere invece è stato il brano successivo nella tracklist, cioè Il pozzo. Il cuore del brano è stato registrato a Exilles in Val di Susa nel 2018.
Si tratta del reparto ritmico composto dal basso di Michael Pusceddu e da due batterie, piatti rotti e una stufa suonate dai fratelli Cornaglia, Francesco e Filippo. Da lì in poi abbiamo aggiunto e tolto strumenti, in cerca di una soluzione per far suonare il pezzo in modo autentico e originale. Federico Bertaccini che aveva un’idea forte ha aggiunto suoni oscuri e contorti, modulato urla e rumori, compreso il suono roboante della Dora che era a due passi da noi e che è diventato il gorgoglio del pozzo.
A un certo punto a Torino sempre con la guida di Federico si sono aggiunti la chitarra distorta di Errico Canta Male e i cori di Davide Mitrione. Io successivamente ho registrato una chitarra acustica inzuppando una biro nella resina in modo da ricreare il suono di un violino infernale. Ma il colpo di grazia al pezzo è stato dato da Andrea De Carlo che in fase di mix ha letteralmente fuso e modellato questa orchestra deforme in una versione definitiva inaspettata.
IR: Pesce Nero e Lampade ad Olio sono due brani decisamente fuori schema, il primo quasi senza testo e dal sound stoner, il secondo un blues d’altri tempi, perchè queste scelte?
NP: Pesce Nero è un brano che ho scritto appositamente per l’album, cioè dopo aver ordinato le canzoni in fila mi sono accorto che c’era bisogno di un momento di respiro dopo l’oscurità infernale di Malladrone e Il Pozzo.
Suonando tanto con la band in quel periodo ho sviluppato questa idea sonora dividendola in tre parti, con tre tempi distinti in 4/4 e due dispari in 7/4 e 5/4, seguendo un istinto di divertimento e di rock suonato, potente, liberatorio.
Lampade ad Olio invece in modo simile a Il Pozzo è una canzone che ha rappresentato un enigma fino alla fine. In origine, quando la scrissi molti anni fa, era addirittura un walzer. Poi si è trasformato in uno shuffle blueseggiante.
Mi sarebbe piaciuto a un certo punto metterci un po’ di fiati, trombe soprattutto, ma il musicista che doveva registrare le parti è svanito nel nulla senza motivo. Per cui io e Gabriele Prandi ci siamo ritrovati a reinventare il pezzo. Seguendo il consiglio di Andrea Calabrò in arte Fra Diavolo, grande musicista e cantautore, abbiamo deciso di prendere la direzione opposta e abbiamo scarnificato all’osso l’arrangiamento.
Abbiamo coinvolto il cantautore genovese Federico Sirianni che ha diviso con me le strofe. Poi il nostro amico di lunga data Boris Borasco insieme alla cantautrice Vea, voci e armonica, hanno dato il giusto tocco al sound: ed ecco un blues grezzo e sporco come una bettola in faccia al mare, gonfia di sale e immersa nell’oblio alcolico.
IR: Dal vivo come saranno gli show? Userai i video?
NP: Essendo mareAmare anche un libro di racconti illustrati edito da Morsi Editore, il progetto sarà presentato nei locali, nei teatri ma anche nelle librerie.
Quindi ha più forme, per così dire, c’è una versione teatrale in band completa, una più leggera in duo o in solo e infine una versione reading con la partecipazione del poeta Paolo Assandri, che ha anche curato la postfazione del libro.
Nella versione teatrale c’è anche una componente video molto particolare, ma non direttamente quei video che sono presenti sui social e su YouTube.
L’unico modo per scoprirlo è seguirci e venirci a vedere live!